Veronica & The Red Wine Serenaders
Per me è difficile recensire un disco di Veronica & The Red Wine Serenaders, dico sul serio: a livello musicale sono per me infallibili, qualunque cosa suonino, perciò se quel che suonano non mi piace sicuramente sono io quello che non è in grado di capire, sono cioè io quello che sbaglia.
Perchè ci si può fare ingannare dall’argento vivo di Veronica, dal suo essere ironicamente, ma seriamente showgirl, ci si può far confondere dall’allegria dei loro show, dalla forza delle loro esibizioni, ma prima che intrattenitori Veronica & The Red Wine Serenaders sono studiosi. Non sto mica parlando a vanvera, sapete? dietro a quel che propongono al loro pubblico c’è un meticoloso lavoro di ricerca nella musica americana Pre War che li avvicina ai vari Lomax o A.P. Carter, c’è un lavoro di selezione e di archiviazione. E di analisi e comparazione: non avete idea di quante canzoni ci siano, di quel periodo, che hanno testo e melodia simili, e allora bisogna andarsi a cercare la versione originale, o la più vecchia, individuarne le origini e scoprire che magari risale a una ballata irlandese del ‘600… e poi ci dite che suoniamo del semplice blues. Come si può trovar pecche a chi fa dello studio un modo di vivere?
In ogni caso qui di pecche ce ne sono proprio pochine e questo disco mi piace assai, è bello e lo è di per sè, è un opera che va oltre il proprio autore per guadagnarsi una sua autonoma dignità, proprio come i dischi dei Beatles, anche se con proporzioni meno planetarie. Quindi questa sarà la recensione più breve del mondo. Pronti? via: “Il disco è forte, andate subito a comprarlo, infedeli che non siete altro!”
Non vi basta, vero? so che volete sapere di più, ma mi conoscete, sapete che se mi lascio andare vado in confusione e dico, scrivo, tutto quel che mi viene in mente rischiando di tirar fuori grandi sciocchezze. Ma è un lavoro duro e a qualcuno tocca pur farlo. Bisogna rischiare e il rischio è il mio mestiere…
L’artwork del disco è molto retrò e decisamente gradevole, la panchina di pietra è molto bella e anche Veronica lo è anche se pare abbagliata dalla visione della madonna di Loreto. Ci ho messo due settimane a rendermi conto che nel retro del CD c’è la foto della panchina senza Veronica. Sapete perchè ci ho messo tanto? perchè nel retro ci sono i titoli delle song e ogni volta che guardavo lì mi chiedevo come mai non si usa più mettere, vicino ai titoli, i nomi degli autori delle canzoni. Non sono solo i V&TRWS che non li inseriscono più, lo fanno un po’ tutti, ho recentemente comprato un cofanetto di vecchie ballate americane contenente la bellezza di 86 canzoni senza neppure un cenno agli autori. E visto che anche io, nel mio piccolissimo sono un Lomax/A.P. Carter, sono costretto a immergermi nella cupa depressione e a buttarmi su wikipedia od oscuri siti internet in generale per indagare o almeno cercare di raccapezzarmi. Ma dalla vita non si può sempre avere tutto ciò che si desidera, vero? L’interno del CD invece è ricco di informazioni sui dieci (10) musicisti che hanno suonato cinque dei quali li troviamo anche ritratti in una deliziosa foto.
È la prima volta che inserisco il CD nel lettore e rimango qualche istante con il fiato sospeso, prima che la musica cominci. La prima canzone è un po’ il biglietto da visita, si sa, è quella che ti dice se vale la pena di ascoltare anche le seguenti o se è più saggio e costruttivo lasciar perdere. Bootleggers Blues è suonata dal nocciolo duro dei Red Wine Serenaders cioè da Veronica Sbergia, Max De Bernardi e Alessandra Cecala. Il brano è molto raffinato con un mandolino accattivante e mai prepotente (come a volte può capitare a questo meraviglioso strumento), il canto di Veronica è leggermente, e volutamente, strascicato in alcuni tratti, e inevitabilmente si visualizza un locale, da qualche parte lì nell’ovest, e un gruppo che accompagna una cantante che corre alla fine della strofa per tirare un altro sorso di gin. Una interpretazione magistrale e Bootleggers Blues è di gran lunga il brano che preferisco dell’intero disco…You Drink to Much, si avvale della partecipazione di Alberto Gurrisi e Andrea Sirna, rispettivamente al piano e al clarinetto.
Negli anni ’70 si usava spesso inserire nelle note di copertina anche marca e modello degli strumenti, questo serviva a collocare meglio i musicisti nel posto che gli competeva oltre che a comprendere meglio il brano stesso. Se per esempio un chitarrista noto per la sua fedeltà ai pickup humbucker avesse suonato una traccia con una chitarra dotata di single coil l’ascoltatore avrebbe immediatamente compreso che in quella traccia era necessario una attenzione ulteriore per intendere ciò che l’artista voleva comunicare. Non si trattava solo di musica, come Pete Townshend dimostrava, ma di gesto artistico, non era altro che Pop Art, e se non lo era si trattava comunque di informazioni utili. Non che mi interessi conoscere marca e modello del piano e del clarinetto di You drink to Much, io sono un uomo del blues e concepisco solo strumenti a corda, tamburi e piccoli parallelepipedi con dieci fori e venti ance. Dopo i primi secondi di ascolto di questa canzone istintivamente fermo il riproduttore.
You drink to Much, in trio o in duo, dal vivo, è favolosa e da bluesman quale mi sento (anche se non appaio) mi domando che bisogno c’era di questi altri strumenti, mi chiedo a cosa serve uno strumento come il clarinetto che, per sua natura fa di solito a borsettate con il violino.
Vado al primo capoverso di questo articolo e capisco che devo capire. Questo non è un disco di blues. Questo è un disco di musica e basta, dove c’è blues, country e molto altro, dove You Drink to Much è lì per riportarmi al proibizionismo e alle orchestrine di Chicago che continuavano a suonare anche quando nel locale faceva irruzione la polizia, forse per coprire gli spari in aria e le grida delle ballerine, forse perchè non sapevano fare altro. You Drink to Much riesce perfettamente nel suo intento e l’inciso di piano di Alberto Gurrisi scivola via piacevole come quello di Andrea Sirna al clarinetto. Mi piacciono, sì, non sono mica così troglodita come credete.
E non sono neanche così fissato col blues: so apprezzare ogni genere di musica. O almeno ci provo. Per esempio apprezzo alla follia Jimmie Rodgers e la versione che V&TRWS danno della sua Nobody Knows But Me è bluesy come poche al mondo con Paolo Ercoli a dar man forte con la sua dobro slide guitar. Ma qui c’è il trucco però, lo sapete, Jimmie Rodgers era un bluesman bianco che agli altri bianchi diceva di suonare country per potergli suonare uno sfacciato blues e farglielo anche piacere. Potere delle etichette e prova schiacciante che l’abito non fa il monaco. Ma c’è Busy Bootin’ ancora nella formazione tipo con Max De Bernardi alla slide e al canto. Bella tirata, polverosa e assetata come piace a me, questi sono i V&TRWS che mi piacciono quelli che vi fanno saltare sulla sedia, quando andate a vederli e non quelli di Lullaby Of TheLeaves. Se ogni disco deve avere un punto debole questo lo è per questo disco. Rileggo il primo capoverso e sono davvero convinto di avere torto. Ascolto il bellissimo cantato di Veronica, l’ottimo ukulele di accompagnamento e continuo a non capire. Mi sembra una cosa da musical, una di quelle trovate di Paul McCartney quando pretendeva di inserire canzoni come A Taste of Honey in un disco dei Beatles. Lullaby Of The Leaves non è solo un corpo estraneo in questo disco, è un corpo estraneo in tutto il repertorio dei V&TRWS in generale perchè loro mordono accidenti, sono resofonici e brillanti e dovrebbero decisamente lasciar perdere queste cose.
Pensate che sono stato troppo cattivo? Me, Myself & I è un altro di quei brani cantati da Veronica in “stile” che te la immagini su un pianoforte a ballare il foxtrot accompagnata da Yan Yalego che fa la trombetta. Yan Yalego è uno splendido ukulelista, lead vocal in questo brano e mi scuso per il termine “trombetta”, in effetti la sua Mouth Trumpet è eccellente ma da quando ho sentito quella di Victoria Vox tutte le altre mi sembrano, appunto, solo trombette. Una bella interpretazione, in ogni caso come quella di Doggone My Soul. Accidenti, io amo questa canzone nella interpretazione di Maria Muldaur e la Jim Kweskin Jug Band, la versione di V&TRWS quasi la eguaglia e in alcuni punti, quelli dove interviene Marcus Tondo all’armonica addirittura la supera. questa canzone, da sola, vale il prezzo del CD, cosa aspettate a correre a comprarlo, infedeli? V&TRWS mi perdoneranno credo ma anche se questo articolo è dedicato a loro non posso fare a meno di consigliarvi la visione della versione della Muldaur presente nel film di Martin Scorsese, No Direction Home: vi consiglio di andare a rivedervela proprio ora! Grandioso, vero? Lovesick Blues da molti è considerata una canzone di Hank Williams ma in realtà quando è stata scritta il buon Hank doveva ancora essere concepito, è comunque una canzone che sintetizzava bene lo stereotipo del cowboy singhiozzante che si portava, volente o nolente appresso. La versione di V&TRWS non è singhiozzata, e un po’ mi dispiace, è tuttavia compatta e fluida, suonata in trio e dove si percepisce il buon background vocal di Alessandra Cecala, mentre in alcuni punti si avverte una certa aggrassività nella voce di Veronica, quell’aggressività che troppo spesso trattiene, forse per non eccedere in protagonismo all’interno del gruppo, forse per altre ragioni. A me quando comincia a scartavetrare le corde vocali, Veronica, mi fa letteralmente impazzire.
In Mr. Ambulance Man c’è di nuovo il clarinetto…come si è ampiamente capito il clarinetto va oltre la mia comprensione e non sono in grado di giudicarlo, in ogni caso un’armonica l’avrei preferita, perchè, si sa, mi piace l’armonica, perchè l’armonica è blues e il clarinetto non lo è, perchè l’armonica avrebbe scaldato molto di più il brano. Il duetto vocale tra Veronica e Max è rovente, e il feeling che ci mette Veronica è davvero notevole, senza quel clarinetto la canzone sarebbe stata ghiaiosa, sporca e sexy proprio come piace a me.
Quando parte You May Leave (but this will bring you back) mi sembra di essere piombato in un vecchio disco di Bennato con l’incipit e poi i vari incisi di kazoo. Ma è una canzone incalzante e meravigliosamente cantata da Veronica in un aggressivo trattenere l’energia liberata infine dal bel’assolo di armonica di Beppe “Harmonica Slim” Semeraro. I Wanna Go Back To My Little Grass Shack è un altra di quelle canzoni fuori genere che dal vivo van bene, ma che su disco lasciano un po’ perplessi ma non è certo stucchevole come Lullaby Of The Leaves è anzi divertente e, nonostante tutto, abbastanza bluesy da avere comunque il mio gradimento, anche per la presenza, di nuovo, della dobro slide di Paolo Ercoli.
I Whish I Could Shimmy Like My Sister Kate mi restituisce i V&TRWS che preferisco, in trio, blues striato di jazz, e con Max De Bernardi in vena di divertirsi. Un brano da ascoltare più e più volte, prima di passare al successivo. You Must Come In At The Door è una canzone che non conosco e che non voglio conoscere in nessuna altra versione, perchè questa versione ti spinge nell’angolo e se non tieni alta la guardia ti colpisce con un diretto e ti manda KO: i V&TRWS qui sono in quartetto, e presto si lasciano andare in un coro indiavolato, non prima di aver sguinzagliato la chitarra slide di Mauro Ferrarese ad azzannarvi le caviglie e la washboard di Veronica a farvi muovere il culo. Così si si fa, ragazzi, questa è musica.
Un altra canzone che non conosco è l’ultima, dal vivo. Qui sento che sto facendo una figuraccia peerchè il respiro della canzone è importante e sono sicuro che la canzone stessa è molto importante: Good Old Wagon. Interpretata da Veronica Sbergia, accompagnata da Alberto Gurrisi al piano, è densa di disperazione, termine che adopero per non abusare di quello giusto, feeling, e non potendo usare il corrispettivo italiano perchè non abbastanza incisivo. Non è sentimentalismo che ci mette Veronica, tutt’altro, è proprio blues, ragazzi, quello vero, quello che troviamo nelle canzoni di Memphis Minnie o Bessie Smith. Quello che ci piace e che ci spaventa un poco, che sa di delusioni, di fallimento, di gin e di vestitini eleganti ma rattoppati, di attese snervanti e nuovi inizi, sempre peggiori. Per questo ho parlato di disperazione. Ve l’ho gia detto, no? questo è il blues.
Credo di avere straparlato abbastanza, voglio solo aggiungere che Alessandra Cecala e Max De Bernardi sono molto contenuti, in questo disco, al completo servizio della band e un pochetto mi dispiace perchè a me piacciono i bassi scatenati e le resofoniche rugginose e mi piace anche quando Veronica libera la voce e morde il microfono. Un disco, il prossimo, tutto e completamente scatenato e ululante, per me sarebbe il massimo. Lo so che i veri artisti ragionano diversamente da me, ma sognare non fa male e poi non è detto che i veri artisti ragionino bene.
Il disco, in teoria, dovreste trovarlo dappertutto, anche nel negozietto sotto casa gestito da quella simpatica vecchina che vende ancora gli stereo8 degli anni ’60, ma si tratta di teoria appunto, andate sul sicuro ordinandolo al Mercatino dell’Ukulele nella sezione dischi. Nel precedente articolo che ho scritto su Veroniva Sbergia vi avevo invitato a investire saggiamente il vostro danaro comprando il suo vecchio lavoro, è un invito che rinnovo: tra tutto il ciarpame che c’è in giro dischi così sono un piccolo miracolo, avete certamente capito che Lullaby Of The Leaves non mi piace, ma la preferisco di gran lunga a qualunque spazzatura stiano cercando di infilare nelle nostre cuffie, nelle radio, alla TV. Se vi piace la spazzatura allora tenetevela, se invece vi piacciono le cose belle correte subito a comprare Veronica & The Red Wine Serenaders e sarò orgoglioso di voi!
I link di Veronica & The Red Wine Serenaders, se li avete dimenticati, sono i seguenti: www.redwineserenaders.it – www.myspace.com/veronicasbergia e ora sotto con l’intervista!
Manodipietra intervista Veronica Sbergia (The Red Wine Serenaders)
Ciao Veronica, hai il diritto di non rispondere, ma se rispondi poi non te la prendere con me. Cosa pensi di fare, quindi?
Affontero’ tutti i rischi, annessi e connessi…spara!
Come si fa a chiamare Totally Unnecessary Records una etichetta discografica e incidere per una etichetta che si chiama così che cos’è? un colpo di sole? una sfida al destino? un bicchiere di troppo?
La T.U.R. e’ un’etichetta indipendente di Milano che trae il suo nome da un libro che consiglio a te e a tutti i tuoi lettori di leggere, si tratta de “La versione di Barney”, di Mordecai Richler, dove si parla di una fantomatica “Totally Unnecessary Productions”. Dietro il concetto di inutilita’ si nasconde una provocazione, ovviamente. Al giorno d’oggi siamo continuamente bersagliati da messaggi mediatici che inducono il bisogno e la necessita’ di avere quella cosa o quell’altra, spesso oggetti di scarsa qualita’ mascherati come prodotti del millenio (tra questi anche la musica, in forma di dischi, e’ inclusa)…quindi perche’ non stimolare il “non bisogno”, il superfluo, che per dirlo con una frase di Einstein che rappresenta la TUR, e’ la prima necessita’ dell’uomo. Comunque ti invito a scoprire qualcosa in piu’ sulle proposte e la filosofia dell’etichetta clikkando sul sito www.totallyunnecessaryrecords.com
Praticamente tutto viene da Oscar Wilde, passa per Einstein e finisce con George Best (“ho speso un mucchio di soldi in donne, auto, e alcol. Tutto il resto l’ho sprecato”), ma mi sembra che lì a Milano si dia troppo credito all’acume e alla preparazione culturale degli italiani, o poco credito, dipende dai punti di vista. Per quanto riguarda l’invito alla lettura, a malincuore, declino: son cresciuto con i grandi classici e la lettura di scrittori contemporanei mi porta disturbi assai simili all’estrazione di un dente.
Ho notato che vi state trasformando in artisti seri e organizzati: oltre all’etichetta discografica c’è ora anche la distribuzione e l’info & booking su due piattaforme delle quali una francese. Pensi che la maggior parte degli italiani sappia cosa vuol dire info & booking?
Oddio…diciamo che mi interessa che sappiano in che modo contattarci, per il significato possiamo organizzare corsi di inglese, che ne dici? Scherzi a parte…il nostro progetto e’ nato in Italia ma con una forte ambizione “mondiale” (non prendermi per megalomane eh?!?). E’ evidente che la nostra proposta musicalmente parlando incontra maggiori successi col pubblico estero, non so spiegarmi se per una questione di cultura o semplice evoluzione umana. Per farti capire meglio cosa intendo: in Francia abbiamo un agente che si occupa di noi in tutto e per tutto e quest’estate saremo ospiti di uno dei piu’ importanti eventi blues europei, il Cognac Blues Passion (www.bluespassions.com). In Italia fai fatica a entrare nelle grazie degli organizzatori di un Festival se non appartieni a qualche scuderia “collaudata”…io mi chiedo spesso se gli italiani non siano stufi di vedere continuamente gli stessi artisti, tutte le estati, nei vari Festival organizzati sul territorio nazionale. Anyway…per tornare alla risposta concludo dicendo che sono sempre piu’ convinta che il progetto Red Wine Serenaders, sia validissimo e in grado di competere con artisti stranieri, e per fare cio’ devi essere organizzato e visibile a 360 gradi…quindi distribuzione, ufficio stampa, etichetta discografica, siti internet…tutto concorre a raggiungere l’obiettivo!
Probabilmente qui da noi è lottizzato anche il circuito dei Festival e dei locali….
Anche se le domande precedenti possono far credere che io sia Vergassola, rimango sempre Manodipietra, una persona estremamente seria e al limite del litigio tra corpo eterico e quello astrale o semplicemente, come direbbero gli Squallor, al limite del guaio. Ho intenzione di lanciare due campagne molto importanti, la prima è quella relativa al Dusty & Sexy Sound™, che significa aborrire i suoni fighetti e pulitini e considerare quelli grezzi e ruggenti non solo migliori, ma addiritura sexy! La seconda nasce da una chiacchierata con Mimmo Peruffo e si chiama Sdoganiamo l’Ukulele™ che in pratica vuol dire che per essere considerato dalla gente uno strumento al livello della chitarra a considerarlo tale devono essere per primi gli artisti che lo suonano e che di conseguenza dovranno rinunciare ai vari simboli che lo accompagnano caratterizzandolo eccessivamente: vestiti hawaiani, fiori nei capelli e così via. Significa non farsi più ritrarre come se l’ukulele fosse un orsacchiotto o un amabile passatempo e soprattutto non inserirlo più nel nome dell’artista (Ukulele Pasquale, Uketta Giuseppina). Te lo immagini Eric Clapton che si fa fotografare mentre sbaciucchia la chitarra, vestito da pinguino e che si fa chiamare Chitarra Enrichetto? l’ukulele per fare il salto di qualità deve fare un passo indietro e divenire semplice strumento di espressione e non più simbolo. L’adesione a questi due movimenti non richiede alcuna iscrizione o dichiarazione pubblica è richiesto solo che l’artista capisca e dica: “Bella idea Manodipietra, ci credo anch’io!”. Pensi di aderire a queste campagne o no? e perchè? ti rendi conto che secondo la campagna Sdoganiamo l’Ukulele™ tu sei la sintesi di ciò che non si dovrebbe fare?
Caro Manodipietra, non mi sento affatto la reincarnazione dell’artista “ukeaddict” per dirla all’inglese…se amo mettermi un fiore nei capelli e’ piu’ un richiamo ad alcune cantanti jazz degli anni ’30, non vesto gusci di cocco al posto del reggiseno e non ho nemmeno comprato un gonnellino di paglia, anche se ho adorato le gonne hawahiane indossate da Daniela (Gaidano…mercatino dell’ukulele) in occasione dell’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana. Inoltre sia io e che Max siamo convinti della bellezza di uno strumento come l’ukulele, ma che rimanga tale! E’ uno strumento, come la chitarra, il piano…certo ha una serie di facilitazioni che altri strumenti non hanno. E’ cosa molto curiosa che attorno a questo piccolo strumento sia nato un mondo piu’ o meno nascosto che “ghettizza” l’ukulele…non so se rendo l’idea…comunque per farti contento gridero’ anche io a squarciagola “Bella idea Manodipietra, ci credo anch’io!” ma i fiori nei capelli me li tengo, ok? [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”]
Anche il vestito che indossavi tu a Sarzana non scherzava, invito tutti ad ammirarlo nella galleria di Manodipietra. Chi è il direttore artistico dei Red Wine Serenaders? ovvero chi ha scelto i brani da inserire nel disco? se mi rispondi “tutti insieme” non ci credo…
Io e Max De Bernardi
La line-up dei RWS che io preferisco è quella che vede Max alla chitarra dobro e te alla washboard, con Alessandra al contrabbasso, naturalmente. Non è che non mi piaccia sentirti suonare l’ukulele, è che la musica con una base percussiva mi piace di più. Non avete mai pensato di aggiungere un percussionista alla vostra formazione? nel caso mi offro io! ho una bella conga, a casa, che non so suonare ma che è molto scenografica.
Grazie ma per le scenografie siamo gia’ apposto…bastiamo io e Alessandra a fare un po’ di cinema, come si dice dalle nostre parti! Un percussionista non lo vedo necessario o particolarmente migliorativo per il nostro sound…tuttavia ci e’ capitato di suonare con il nostro amico Pablo Leoni, che ha preso parte all’incisione del primo disco “Ain’t nothing in ramblin'”. Grande batterista e percussionista! Ma il nostro suono e’ diverso…te la immagini la Memphis Jug Band con un percussionista?! Naaaaaa….
Io la immagino, sì…e Chepito Areas con Armando Peraza ce li metterei anche nei canti gregoriani[superemotions file=”icon_rolleyes.gif” title=”Rolling Eyes”] , sarà per questo che mi piace Santana? ma non divaghiamo e dimmi perchè suoni la washboard con le spazzole per capelli e non con i ditali?
Ho provato anche con i cucchiai da minestra e coi ditali ma il suono delle spazzole e’ decisamente piu’ morbido e affine al mio modo di suonare, da perfetta ignorante dello strumento! [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”] P.s. Oltretutto c’e’ un sacco di gente che mi sta rubando l’idea…quindi vuol dire che piace!
Magari vuol dire che non hanno fantasia, ricorda che noi italiani siamo, oltre che lottizati, anche un popolo di scopiazzatori, soprattutto per ciò che riguarda compiti in classe e washboard. Alessandra Cecala deve essere un bel personaggio e mi piacerebbe conoscerla meglio, puoi dirmi qualcosa di lei?
Alessandra e’ la nostra contrabbassista da ormai 3 anni. Io e Ale ci conosciamo da molti anni, ma non grazie alla musica…ci siamo ritrovate, dopo anni, un pomeriggio di qualche anno fa al Parco Sempione di Milano e il progetto Red Wine stava iniziando a concretizzarsi cosi’ l’abbiamo coinvolta nella cosa ed eccoci qui! Alessandra e’ una forza della natura, la ami o la ami…venite ad ascoltarci dal vivo e scoprirete perche’…ehehhe
Come è avvenuto l’incontro con Yan Yalego e perchè suonate così spesso con lui?
Con Yan ci siamo conosciuti grazie a Myspace, a Yan e’ piaciuto molto il nostro stile e ha cercato di organizzare per noi qualche concerto in zona provenza…e noi, per contro, abbiamo fatto un piccolo tour con lui come special guest in Italia. In occasione della sua permanenza qui a Milano abbiamo registrato la traccia Me Myself & I che fa parte del nostro ultimo disco,e che io trovo tra le piu’ belle del cd. A dirti la verita’ e’ da qualche tempo che non sento Yan, so che e’ stato per 3 mesi in tour in australia con Bosko & Honey, ma non so se sia gia’ ritornato in patria…e’ un personaggio davvero particolare, un vero ramblin’ man!
Puoi dirmi qualcosa anche dei due armonicisti che hanno suonato con voi in Red Wins Serenaders?
Certamente! Uno di loro e’ Beppe “Harmonica Slim” Semeraro, storico armonicista milanese che ha suonato con Max De Bernardi per oltre 15 anni…hai presente un duo alla Sonny Terry e Brownie Mc Ghee? Uno dei piu’ talentuosi armonicisti che io conosca, il gusto e la classe di Beppe sono davvero rari…ha un solo difetto, parla troppo! [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”] L’altro e’ Marcus Tondo, che nel disco veste anche i panni di fotografo e grafico. Marcus ha un suono diverso da quello di Beppe, e’ piu’ cittadino e rockeggiante…e’ il giusto pizzico di peperoncino che ci vuole per i Red Wine, e’ poi e’ il barzellettiere ufficiale della band! [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”]
Sonny Terry e Brownie McGhee erano famosi per essere uno cieco e l’altro zoppo, oltre che per odiarsi fino all’ultimo bullone. Spero che per Max e Beppe non sia così…Nel blues l’armonica è un elemento fondamentale, alcuni lo considerano addirittura lo strumento principe. Invece che rivolgersi ad altri armonicisti perchè non impari tu a suonarla? in fondo non è difficile e in un paio di settimane chiunque può già avere ottimi risultati (io che in quarant’anni ancora non ho imparato non faccio testo).
Ahahah!!! No, no…sarebbe uno strazio per il nostro pubblico, mi piace cosi’ tanto soffiare nel mio piccolo Kazoo…non potrei mai tradirlo per una piu’ seria armonica…e poi meglio dare spazio a chi suona per davvero, vedi sopra…
Lo so che il vostro repertorio è strettamente pre war, ma avete fatto molte eccezioni, qua e là, e allora perchè non vuoi suonarmi Early in The Morning di Buddy Holly che Woody Harris e Bobby Darin hanno scritto apposta per voi oltre che per lui? anche solo una volta, in qualche posto sperduto, e poi mi mandi il video…
Ma la suoniamo!!! E poi…stai pronto perche’ ci sono sorprese in vista…..suspence…
Ehi, la voglio mooolto più scatenata di come la faceva Buddy Holly, ricordatelo!!! voglio il video anche, che lo metto sul sito e sul telefonino!
Cosa ti affascina in Max de Bernardi, intendo come musicista. Io trovo straordinaria la naturalezza con la quale suona, come se facesse parte della chitarra (e non viceversa) e anche le scelte solistiche sempre un po’ più di classe del chitarrista che hai ascoltato prima. Non vale rispondere le stesse cose che ho detto io.
Uffi pero’!!!! Sei davvero dispotico in questa intervista, ti preferisco dal vivo, piu’ accogliente e accomodante! [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”]
Allora ti diro’ che oltre a quanto tu hai appena citato, la naturalezza, di lui mi affascina la capacita’ di riprodurre qualsiasi stile chitarristico e non…vuoi ascoltare Blind Blake? Eccoti accontentato…preferisci Leadbelly? Eccolo qui! Ok…vuoi ascoltare Charlie Patton? Son House? Rev. Gary Davis? O ancora Blind Lemon jefferson? Merle Travis? Tony Rice? Doc Watson? Hey…io posso andare avanti in eterno…Inoltre Max ascolta TUTTA la musica, tutti i generi…dal prog al rock, alla musica sperimentale degli anni ’70. E’ un ottimo chitarrista elettrico, un po’ alla Freddy King per intenderci. Ha un talento talmente naturale, autodidatta al 100%, che credo non possa fare nessun altro lavoro al mondo che non sia suonare la chitarra. Inoltre e’ anche un eccellente cantante…puo’ bastare? Che dici?
A me piace più Max De Bernardi di Freddie King che mi è sempre sembrato eccessivamente freddo (magari da qui il nome Freddie). Da cosa è venuta la scelta di usare pianoforte e clarinetto, in alcuni brani di RWS?
Sono tremendamente anni ’30…e io ho una specie di fissazione con quell’epoca storica…e poi si abbinano perfettamente al nostro suono.(NDR Veronica non ha ancora letto l’articolo e non sa ancora che pianoforte e clarinetto non si abbinano affatto al loro suono[superemotions file=”icon_wink.gif” title=”Wink”])
Quanto è durata la gestazione dell’album e perchè lo avete registrato al Pop Life Studio di Milano?
L’album e’ stato registrato in qualche mese, 3 o 4…con vacanze estive incluse…ci siamo presi tutta la calma per farlo bene e con amore. La scelta del Pop Life Studio e’ venuta da se, Paolo Di Lello e’ un nostro caro amico nonche’ fonico di studio dei dischi precedenti solisti di Max e del nostro disco bianco (white album!)…da Paolo si registra con la giusta dose di calma e buone vibrazioni, senza ansia da prestazione o altre tensioni nemiche dell’arte. E poi Paolo conosce bene i nostri suoni e sa come trattarci…www.poplifestudio.com
Chi si è occupato di produzione mixaggio ecc. ?
Sempre io e De Bernardi.
L’artwork della copertina del cd è bello, dove si trova la panchina utilizzata?
Felice che ti piaccia, la panchina si trova in quel di Malcesine, un paese molto carino sul Lago di Garda dove l’estate scorsa io e i ragazzi spesso suonavamo in strada, facevamo i buskers per dirla all’inglese…la foto e’ stata scattata dal bravo Marcus Tondo (che si e’ occupato anche della grafica del cd) a tarda notte e dopo un concerto in strada davvero esauriente, nel senso che ho perso le poche energie che mi erano rimaste saltando di qua e di la per la piazza di Malcesine e cantando a squarciagola…non ti dico in che stato ero e come ho fatto impazzire Marcus per stare ferma mentre mi fotografava! Crollavo letteralmente dal sonno! =)
Io a volte registro qualcosa nel mio ridicolo home studio, questa fase, a meno non sia preda del demone della creatività (e quando mai?) è per me quasi una sofferenza, tu come vivi il rapporto con lo studio di registrazione? c’è sempre la tentazione di provare a far meglio o è sempre buona la prima? te lo chiedo perchè ho notato, nel disco, una certa ricerca dell’interpretazione, e forse anche della perfezione. Questo naturalmente esclude o limita l’immediatezza e anche l’energia, che è una parte importante delle vostre esibizioni live.
La nostra filosofia e’ “buona la prima”, e il prossimo disco che uscira’ a nome Red Wine Serenaders sara’ registrato dal vivo, all together, in una stanza e come va…va. Nel caso di questo disco tuttavia, ho voluto piu’ strumenti rispetto al ridotto organico “live” e spesso per problemi legati al tempo dei singoli musicisti non e’ stato possibile per tutti i pezzi adottare questa scelta, ti vorrei rassicurare pero’ sul fatto che non c’e’ stata ricerca della perfezione…anzi! Ci sono parecchie sbavature evidentissime nel disco, che abbiamo volutamente deciso di tenere…ascolta per esempio Good Ol Wagon e poi dimmi. Concludo dicendo che io nasco come cantante, fa parte del mio lavoro “interpretare” un pezzo, ma non intendo con questo snaturarlo o perdere io di naturalezza nel cantarlo. Ti confesso che negli anni ho cambiato moltissimo il mio modo di cantare, ho alleggerito i toni e ridotto all’osso gli “arzigogoli” vocali (quelli che piacciono tanto alle varie Giorgia e Pausini, per intenderci). Quando sento una cantante che snatura la sua voce perche’ adesso va di moda cantare alla Amy Winehouse o perde il senso di quello che sta cantando per dare sfoggio delle proprie capacita’ tecniche mi si accappona la pelle, cantare questo tipo di musica ti forza a guardare all’essenza, less is more come diceva qualcuno…
Concordo pienamente, io poi preferisco i ruggiti agli arzigogoli! Quello che io considero il più gande cantante di tutti i tempi è John Lennon che ci lasciava le corde vocali quando cantava rock’n’roll, vedi Twist’n’Shout! non so se mi spiego…eppure mi viene in mente una sua canzone, I’m So Tired, così semplice e così complicata da cantare che comincio a credere di non aver mai capito niente…meglio non pensarci. Nel disco c’è Gold Old Wagon come bonus track. Ma è una bonus track rispetto a che cosa? al vinile? c’è un vinile e io non lo sapevo?
Mah…in realta’ e’ l’unica traccia davvero live del disco, registrata con Alberto Gurrisi al piano. Fino all’ultimo sono stata indecisa se includerla o meno, proprio per il discorso delle evidenti sbavature di cui sopra…poi ha prevalso l’amore per quella canzone e l’abbiamo inserita. In effetti non e’ corretto chiamarla bonus track in senso letterale…ma a te non ti fa le scarpe proprio nessuno, eh?! 😉
Nel ciddì compaiono i marchi del Mercatino dell’Ukulele e di Aquila String. Cosa vuole dire questo? c’era dello spazio da riempire o c’è una collaborazione tra voi e le due realtà imprenditoriali vicentine?
Con Daniela e Mimmo collaboriamo dai tempi del primo Festival dell’ukulele di Vicenza, sono persone straordinarie con una grandissima passione per il loro lavoro e tanto rispetto per i musicisti e gli artisti in genere. I nostri cd sono venduti dal Mercatino dell’ukulele di Daniela e i nostri ukuleli “indossano” sempre e solo Aquila Corde…
Parliamo degli strumenti che avete usato, sempre e solo ukulele Ohana e chitarre National?
Gli ukuleli sono Ohana, non abbiamo ancora cambiato il parco “macchine”…e le chitarre sono National Resophonic oppure Martin acustica triplo 0 mogano Auditorium. Mauro Ferrarese suona una vecchia Dobro mentre Paolo Ercoli una chitarra resofonica squareneck, realizzata da un liutaio e in legno di Koa (preso dal bancone di un bar alle hawahii….)
Lo strumento più importante, nella vostra formazione è il microfono. C’è differenza tra quelli che usate dal vivo e quelli in studio? in studio suonate live, intorno al microfono oppure ognuno registra la sua parte? che microfoni usate? come è amplificata Alessandra?
Ma ti interessa davvero? =)
Accidenti se mi interessa…è possibile trovare in commercio microfoni che vanno da pochi euro a diverse migliaia, microfoni a condensatore, cardioide, omni o unidirezionali, a nastro, wireless, a metano e a cherosene, con airbag o cintura di sicurezza. c’è poca informazione, intorno ai microfoni e spesso i ragazzi (e anche io) buttano via parecchi soldi prima di raccapezzarsi. Ne parleremo un’altra volta…
Diciamoci le cose come stanno, la tirata sul vino, nel retro del ciddì è carina, lo ammetto, ma non corre eccessivamente il rischio di farvi passare per avvinazzati senza speranza?
Si…puo’ essere, correremo anche questo rischio…dico solo che ultimamente ai concerti dedico sempre 5 minuti alla spiegazione del progetto e del nome e come e’ nato…a te non l’ho ancora raccontato? O si? [superemotions file=”icon_smile.gif” title=”Smile”] Un abbraccio e un bacio a te! V.
Aspetta! racconta ai miei lettori del progetto RWS e del nome del gruppo!
Questo e’ un segreto che mi conservo solo per le nostre esibizioni dal vivo…quindi…questa volta, caro Manodipietra, se vuoi la risposta devi venire a un concerto…cosa che non hai ancora fatto!!!
Lo nego, ho assistito alla vostra performance di Sarzana e allego la foto dove si vede il resto del pubblico(Ovviamente scherzo, il grandangolo allunga le distanze e la bambina è a due, tre metri al massimo dal palco, si era presa una seggiola e si era piazzata proprio davanti a me e al resto della gente per meglio godersi la performance, a parer mio era anche molto interessata alla washboard!)
Grazie per la disponibilità e scusa per le domande non molto intelligenti, Veronica, vi aspetto a Torino.