Tubular Bells
Quando uscì Tubular Bells l’impatto che ebbe su di me fu devastante. Amavo gli strumenti musicali, ne possedevo alcuni, un po’ li strimpellavo e il mio grande desiderio era quello di entrare stabilmente in una band come gli Emerson, Lake & Palmer o i Rolling Stones ma Mike Oldield mi fece capire che non avrei più avuto bisogno di un gruppo se fossi stato capace di suonare tutto quanto io e così mi misi d’impegno per riuscire a realizzare questo incredibile sogno. Il risultato, certamente non preventivato, è che adesso mi ritrovo a non saper suonare nulla veramente bene. Però ho imparato a trarre musica da qualunque cosa e se qualcuno di voi, cari i miei 7 lettori, dovesse mettermi tra le mani un oscuro manufatto sonoro originario del nord della Cambogia, state pure certi che in capo a qualche minuto ne verrò a capo e sarò in grado di tirarci fuori alcune melodie oppure delle armonie o alla peggio dei ritmi plausibili, poi starà a voi diventare virtuosi dell’aggeggio, che io avrò già ampiamente raggiunto i miei limiti. Soffro inoltre di una specie di amnesia circoscritta al mondo delle sette note la quale, anche se con l’esercizio divento molto bravo su uno strumento, mi costringe a dimenticare irrimediabilmente tutto se solo per qualche tempo ne rimango lontano. Per esempio da ragazzo ero piuttosto bravo alla chitarra acustica, riuscivo a eseguire parti sulle corde basse mentre accompagnavo il canto su quelle alte e non sto inventando la cosa per bullarmi: ho antiche registrazioni che lo testimoniano! è però bastato dedicarmi per qualche tempo esclusivamente alla chitarra elettrica per dimenticare completamente la tecnica che usavo prima. Intorno ai 18/19 anni suonavo il mandolino decisamente bene ma ora, per via di un abbandono temporaneo, ne ricordo a malapena la teoria generale. Vecchie incisioni stanno a dimostrare che potevo cantare, agire sulla chitarra come spiegato poco sopra e soffiare nell’armonica in modo valido ed efficace, possiedo ancora il vecchio reggiarmonica e ne ho perfino comprato uno nuovo, ma quando mi cimento con i dieci fori riesco tuttalpiù a fare ululare il cane. Le mie pause fanno tabula rasa di quanto so e se voglio reimparare quello che ho dimenticato debbo ricominciare da zero.
Insomma, il mio rapporto con gli oggetti musicali, per indole personale e con l’influenza di Mike Oldfield, è alquanto complesso, l’attento esame delle opere del musicista anglosassone mi ha insegnato a orchestrarli in una certa maniera all’interno di un brano, privilegiando il loro inserimento in progressione e questo, unito all’ascolto di un po’ di jazz e fusion ha fatto sì che usassi quanto imparato in composizioni basate su variazioni di un tema. Composizioni inedite che, un paio di anni fa, decisi incautamente di incidere. Smisi dopo due settimane perchè non mi divertivo affatto e tutta quella musica la amavo assai di più dentro la mia testa che fuori.
Certo che Tubular Bells è un vero capolavoro, non lo pensate anche voi? sia chiaro che quando parlo di Tubular Bells e della sua grandezza mi riferisco solo alla prima parte, quella che dal fraseggio iniziale ripetuto all’infinito con leggere variazioni (vedi sopra) si conclude con la liberazione delle campani tubolari, dopo la presentazione di tutti i protagonisti da parte del Maestro di Cerimonie. Imparai a suonarli sulla chitarra, quei 25 minuti, in una trance emotivo/musicale che non ho mai più sperimentato: altro che sesso, droga e rock’n’roll, Tubular Bells Part One era capace di sostituire tutto, a parte le lasagne di mia madre, ma questo è un altro discorso. Tubular Bells Part Two non era male, ma era solo buona musica, capito cosa voglio dire? non era la quadratura del cerchio come il primo movimento.
Comprai Tubular Bells all’inizio della primavera del 1974, quasi un anno dopo il suo lancio perchè a quei tempi le informazioni viaggiavano lente e l’Esorcista, che gli avrebbe dato una forte spinta mediatica, non era ancora stato distribuito nel nostro paese anche se i giornali ne parlavano molto. Più per sentire come l’opera di Mike Oldfield fosse stata utilizzata per commentare le immagini che per altre ragioni, il primo giorno in cui il film venne proiettato a Torino mi recai, bel bello, a vederlo al non più esistente cinema Augustus. Le scene di panico e terrore che si favoleggiava si fossero verificate durante le proiezioni americane le vidi con i miei occhi qui, nel Bel Paese, anche se in versione riveduta e corretta dall’italico ardimento frammisto a sprezzo del ridicolo e della dignità. Il pubblico era, misteriosamente, in grandissima parte femminile e gli svenimenti a causa della tensione e della paura preventiva si verificarono già durante la coda per comprare il biglietto, aumentando esponenzialmente quando partì l’agghiacciante cinegiornale. Poi finalmente si entrò nel vivo della storia e le ragazze presero a urlare, a vomitare, a fuggir fuori per poi rientrare e fuggire ancora. I ragazzi non fidanzati pensarono bene di approfittare del trambusto per tastare e palpeggiare a man bassa, facendo incazzare i ragazzi fidanzati (abbiate pazienza se vi sembra una cosa da commedia trash, è tutto vero: eravamo nell’autunno del ’74 e si era ancora nella fase naif di quella che poi sarebbe diventata la splendente cultura italiana d’oggi della quale tutti andiamo giustamente fieri, soprattutto per la parte relativa all’onestà, alla trasparenza e al rispetto delle donne). Così calci e pugni fecero sì che il sangue si mischiasse al vomito che già sporcava gran parte della pavimentazione e quando alcuni se la fecero addirittura addosso la tavolozza dei colori e degli odori che ci avvolgeva tutti come in un mistico sogno di merda divenne pura perfezione scatologica: ciò che si narrava sullo schermo, in confronto a quel che si verificava in sala, era più simile a un cartone animato di Walt Disney che a una pellicola horror.
Ma torniamo alla primavera di quello stesso anno e a me che attraversavo via Barletta con Tubular Bells sottobraccio. C’era un sole caldo abbastanza da spingerti a sbottonare il giubbotto e quell’aria frizzante che, a causa dello smog, è poi emigrata da qualche altra parte del mondo. Dalla finestra al pianterreno di una casa mi sentii chiamare all’improvviso: era la fidanzatina del mio amico Ennio, Lisa, che abitava proprio lì (Lisa e Ennio sono nomi di fantasia, perchè quelli veri non riesco a ricordarli) e che a livello musicale era appena un po’ più all’antica dei miei nonni.
“Che cos’hai lì?”
“Un disco, l’ho comprato adesso alla Standa”
“E che roba è?”
“Musica inglese, non ti piace di sicuro”
“E come fai a saperlo? chi sei, Nostradamus? fammelo ascoltare, così decido io!”
“Figurati se te lo presto, non l’ho ancora nemmeno portato a casa”
“Non ti sto chiedendo di prestarmelo, decerebrato insopportabile, ma di ascoltarlo adesso insieme a me”
“Va bene, aprimi il portoncino”
“Sei scemo? se mia madre ti vede entrare chissà che si mette in testa, poi valle a spiegare che quasi non ti conosco”
“Scusa ma come posso ascoltare un disco con te se non mi fai entrare in casa?”
“Lo vedi che ho ragione quando dico che sei un idiota? E’ semplice, ti arrampichi e ti aggrappi al davanzale della finestra, oltretutto il giradischi è proprio qui”
Valutai la situazione e notai che le lastre di granito che ornavano la parte bassa della facciata della casa offrivano una specie di piccolo gradino sul quale avrei potuto appoggiare i piedi e accettai. Perchè lo feci? perchè non si poteva dire di no a Lisa: era bionda, più bella di Michelle Pfeiffer e mentre ti insultava era capace di sfoggiare un sorriso che era un’arma impropria. Poteva ottenere tutto quel che voleva da chiunque, dai genitori, dai fidanzati, dai negozianti, dagli amici e anche dai coglioni che passavano sotto la sua finestra con un 33 giri appena acquistato. Quando ruppe con Ennio io ero presente. Lei si era messa con una specie di armadio a due zampe ma si era dimenticata di dirlo al mio povero amico, così lui un pomeriggio andò a prenderla da qualche parte, senza farci caso passò vicino a me che, seduto su una panchina, stavo avidamente sfogliando l’ultimo numero di Ciao 2001 e svoltò l’angolo. Dopo due minuti apparve Lisa, venne a sedersi alla mia destra, fece una enigmatica smorfia in direzione della rivista e iniziò tranquillamente a parlare del più e del meno, del fatto che se mi fossi tagliato i capelli e se mi fossi messo qualche vestito più alla moda sarei stato molto, ma molto più interessante, del fatto che aveva capito di preferire il mare alla montagna e del fatto che il suo fidanzato si stava attardando un po’ troppo e che cominciava a scocciarsi.
“Ma Ennio l’ho visto poco fa, quasi sicuramente stava venendo a prenderti” esclamai sorpreso.
“Ennio sta appunto parlando col mio fidanzato, li ho lasciati soli così si chiariscono tra di loro” disse lei rilassatissima poi, quando l’orrido energumeno apparve sullo sfondo mi salutò frettolosamente e gli corse incontro cinguettando.
Preoccupato mi precipitai anche io dietro l’angolo svoltato dal mio amico e lo trovai riverso in un aiuola, con gli occhi neri, il naso e le sopracciglia grondanti sangue e un odore che stava a testimoniare chiaramente che si era cagato addosso, una roba da fare invidia alle scene viste al cinema Augustus.
“Io e Lisa ci siamo lasciati” spiegò Ennio con grande dignità tentando di togliersi il sangue dal viso e di rimettersi, almeno parzialmente, in sesto. In qualche modo ci incamminammo insieme verso una direzione a caso, lui però mi precedeva sempre di un passo, pensieroso e probabilmente afflitto. Improvvisamente si fermò, sospirò e guardandomi fisso negli occhi esclamò deciso: “Però l’amerò sempre. Questa è solo una fase nella quale lei non distingue il bene dal male”.
Lisa era bella e svitata, il mio amico soltanto svitato. Qualche tempo dopo lei accalappiò un tizio che faceva parte di una banda di motociclisti e lui si ficcò in testa che l’avevano traviata e che quindi era suo preciso dovere salvarla e riportarla sulla retta via. Affrontò da solo i motociclisti e questa volta lo picchiò anche Lisa. Con un bastone.
Ma torniamo ancora alla finestra in via Barletta. Cercando di non cascare di sotto (va bene, l’altezza era minima, ma anche venendo giù da un metro ci si può slogare la caviglia) tentavo di spiegare alla ragazza, che non diceva nulla ma si limitava ad ascoltare attentamente, i vari passaggi di Tubular Bells che non avevo ancora ben capito neanche io. Il tempo passò e mentre le dita con le quali mi ancoravo al davanzale cominciavano a diventare seriamente biancastre dallo sforzo, il disco (facciata A e B, oltre 48 minuti) finì. Lisa mi guardò severa, poi scosse il capo e con uno dei suoi famosi sorrisi rimise il Long Playing nella busta e me lo riconsegnò.
“Ma come” sospirò “non ti piace Gianni Nazzaro e poi ascolti questa roba? se mi costringi un’altra volta a sentire qualcosa di simile ti tolgo il saluto per sempre. E poi, guarda, non volevo dirtelo ma visto che siamo qui mi permetto di farlo perchè siamo amici e a te ci tengo davvero: cos’è quel pezzo di tovaglia che usi come toppa sui pantaloni? e questa camicia l’hai rubata a un morto durante il suo funerale? la lavi soltanto se l’esposizione universale coincide con un anno bisestile? e come mai porti tutti quegli anelli e quei bracciali? non sei mica una donna! non è che per caso ti piacerebbe esserlo? e per l’amor di Dio, ti rendi conto che ho usato tutta la mia fantasia per capire che quella cosa stampata sulle tue scarpe da ginnastica non è piscio di scimmia ma una bandiera inglese? Lo sai che volevo presentarti la mia amica Caterina? sì, quella che a parte la zoppia e un po’ di peluria in eccesso sotto e sopra il naso è molto carina, ma tu insisti a conciarti come un pagliaccio scappato di casa e per evitare di fare brutta figura ho deciso di non presentartela più. Ciao, ti voglio bene, adesso levati dalle scatole e tagliati i capelli che così fai schifo ai porci, figuriamoci agli esseri umani”
Neanche i miei mi facevano ramanzine così.
Saltai giù dal davanzale e mi incamminai di nuovo verso casa, sempre con Tubular Bells sottobraccio e con tutti gli anelli che portavo in onore di Ringo Starr.