The Other Side Of The Mirror. Bob Dylan live at the Newport Folk Festival
Chi conosce tutto il percorso dell’avventura musicale di Bob Dylan (i fanatici come me, tanto per intenderci) ben comprende l’importanza che il Newport Folk Festival ha avuto per la sua carriera, nel bene e nel male; chi invece è completamente all’oscuro di questi misteriosi e nebbiosi dettagli vorrebbe esserne messo al corrente, e vorrebbe che lo facessi io, altrimenti che senso avrebbe questo articolo? non sarebbe molto più utile e proficuo tornare a pettinar le bambole e lasciare le cose serie alle persone serie?
Ecco la mia interpretazione della losca faccenda: per Bob Dylan il festival di Newport non ebbe alcuna importanza, fu invece Dylan a essere fondamentale per Newport che, grazie a lui, si trasformò da oscuro meeting di giovani appassionati e vecchi parrucconi, in leggenda immortale, in qualcosa che rimarrà per sempre nei ricordi e nei racconti di musica e di costume, che da quell’altra parte dell’oceano presto sfociano in mitologia. Dylan viaggiava con un tale carico di talento e carisma che trasformava in oro e grandezza tutto ciò che sfiorava e tutti si inchinavano al suo passaggio, anche artisti affermati e star internazionali come Johnny Cash, Joan Baez, Pete Seeger, Dave Van Ronk, Doc Watson. Che cosa volete che contasse per lui il Newport Folk Festival?
Possiamo ben sostenere, con questo illuminato giudizio, di avere soddisfatto la curiosità di tutti i lettori non dylaniani? Possiamo considerare le parole che avete appena scorso, cari i miei 7 lettori, come postulato globale da incastonare come chiave di volta nell’arco della storia della musica? Non ne sarei così sicuro in verità, e non solo a causa dell’evidente svaporamento dell’astuto scrivente ma anche perchè fu proprio da Newport che partì la famosa contestazione che coinvolse Bob Dylan a causa del passaggio all’elettrico, fu da lì che cominciarono le accuse di mercificazione, di tradimento e di altro ancora non ben definito ma molto fantasioso e tutto questo, nella carriera del nostro eroe fu davvero importante. Molto molto importante.
Alla fine degli anni ’50, primi anni ’60 il movimento folk americano fu conquistato dai giovani. Il rock con le sue ribellioni e le sue deviazioni era ancora di là da venire e i ragazzi cercavano una bandiera, una musica, un ideale e il folk che da sempre si occupava di attualità e di problemi sociali sembrò la scelta migliore, per dar voce alle proteste, e alle proposte, di una nuova, grande, generazione. Il fatto che tutti gli esponenti di questo movimento fossero trotskisti, comunisti, o simpatizzanti tali, non destò stranamente la minima preoccupazione nei media o nell’opinione pubblica forse perchè, lungimiranti, capirono subito che tutti quegli strani personaggi da lì a poco sarebbero diventati hippies, più colorati e rompiballe, forse, ma molto meno pericolosi di come erano adesso, rubizzi, ben pettinati e incazzati come bisce.
Non appena questo movimento culturale giovanile irruppe nel conservatore ambiente folk, tutte le icone che fino ad allora erano state quasi santificate e portate sugli altari, sbiadirono, offuscate dall’astro nascente di Bob Dylan, il nuovo profeta, il leader della nuova giustizia mondiale. L’uomo della verità. Che fosse solo un teenager poco importava. Lui accettò, o parve accettare questo ruolo per un po’, poi passò oltre facendo impazzire tutti quelli che si aspettavano tirasse la luna giù dal cielo.
Il film di Murray Lerner documenta le partecipazioni di Dylan alle edizioni del Newport Folk Festival del 1963, 1964 e, naturalmente, quella del 1965, la più controversa. Nel DVD è presente anche una bella intervista al regista e nella confezione è allegato un libretto in carta lucida, contenente foto, informazioni e un piccolo e interessante saggio di Tom Piazza.
Il capitolo del 1963 vede il nostro eroe perfettamente calato nel ruolo di cantante di protesta folk e forse di guida spirituale, con canzoni come Only a Pawn in The Game, Who Killed Davey Moore, Talkin’ World War III Blues, North Country Blues, With God On Our Side, Blowin’ in The Wind, divise tra performance serali e workshop pomeridiani. With God On Our Side è eseguita, in modo idilliaco, in coppia con Joan Baez mentre Blowin’ in The Wind è l’apoteosi dell’immaginario politico/culturale di ogni giovane presente al concerto, con tutti gli artisti sul palco a cantarla insieme, con gli occhi chiusi e tenendosi per mano.
Il 1964 è un po’ strano. Dylan è sicuramente la star incontrastata dell’evento e riceve omaggi da molti colleghi, tra i quali il grandissimo Johnny Cash che, dopo una serie di lodi sperticate, esegue Don’t Tink Twice It’s All right e Joan Baez che, in un eccesso di confidenza, interpreta Mary Hamilton imitando la voce di Bob. Ma c’è qualcosa che non va. A parte il solito duetto con Joan di With God On Our Side e la splendida Chimes of Freedom, l’uomo a cui tutti famelicamente guardano, stupisce gli astanti con due brani che possono essere tutto quello che volete, ma non certo canzoni di protesta: Mr. Tambourine Man e It Ain’t Me Baby. Anche il suo aspetto è diverso dall’anno precedente così come il modo di proporsi, meno riconoscente e più strafottente. E’ chiaro che grandi mutamenti sono in corso anche se nessuno vuole accorgersene…
Ed ecco il 1965, lo stesso anno della tournè inglese raccontata da D. A. Pennebaker nel film Dont Look Back. E’ il periodo della sovraesposizione concertistica di Bob Dylan, sovraesposizione che letteralmente lo consumò fino al giorno del famoso incidente motociclistico, in seguito al quale diede un taglio netto a tutto e decise, finalmente, di rilassarsi per un po’. Le contestazioni di cui fu vittima Dylan presero spunto da quanto accaduto nell’esibizione notturna del 25 luglio, al Newport Folk Festival, e da tutti i miti da lì derivati, come quello di Pete Seeger che, con un’ascia, vuole tagliare i fili dell’impianto di amplificazione e molte altre. Nel pomeriggio del 24 Bob aveva eseguito, in acustico, All I Really Wanto To Do, You gotta Go Go Now e Love Minus Zero/No Limits senza che nulla lasciasse presagire il dramma che sarebbe stato messo in scena da lì a poche ore. Effettivamente qualche segno già era evidente: Bob Dylan era diventato una superstar. Dimagrito, quasi affilato, aveva un look molto più ricercato e i suoi atteggiamenti riflettevano una forte presa di coscienza della propria grandezza.
Nell’esibizione notturna del 25 si presentò sul palco insieme alla Paul Butterfield Blues Band, senza Paul Butterfield, e suonò Maggie’s Farm e Like A Rolling Stone. Al termine dell’esibizione fu richiamato a gran voce dal pubblico e come bis, da solo e in acustico, eseguì Mr. Tambourine Man e It’s All Over Now Baby Blue.
E le epiche contestazioni, madri di infiniti articoli, libri, reportage, trasmissioni, versioni di se’ stesse?
Le contestazioni non sono avvertibili e comunque è strano che a un artista contestato venga richiesto di eseguire dei bis, non trovate miei cari 7 lettori? e sarebbe ancora più strano se lui ci andasse, a fare quei bis. La Paul Butterfield Blues Band era ospite abituale del Newport Folk Festival e non si capisce come l’unione con Bob Dylan potesse dispiacere al pubblico.
I pareri e i ricordi sono in contraddizione tra di loro ma sicuramente ci fu un certo sconcerto tra gli addetti ai lavori che i media trasformarono in una specie di rivolta. E lo sconcerto, debbo ammetterlo anche se sono un fan sfegatato e irriducibile di Bob Dylan, in questo caso è assolutamente giustificato in quanto l’esecuzione di Maggie’s Farm lascia davvero molto a desiderare: i volumi degli strumenti sono chiaramante sbagliati, soprattutto per quanto concerne la chitarra di Mike Bloomfield. Inoltre la canzone sembra poco provata, i fill sono ridondanti e la batteria suona troppe cose. Dylan va accompagnato, non ci si può sovrapporre a quello che canta, come fecero i membri della banda ed è perfettamente comprensibile che la gente fosse piuttosto perplessa. Da qui a creare contestazioni e rivolte ce ne corre, però. Quando Al Kooper si siede all’organo per Like a Rolling Stone, una canzone che avevano provato di più e meglio, tutto si aggiusta e la performance è bellissima, con la chitarra a ricamare sottilissime trame e la voce del cantante di nuovo protagonista.
In pratica al Newport Folk Festival non successe nulla e tutto ciò che avvenne in seguito e che chiaramente fece del male a un artista del calibro di Bob Dylan fu causato da una stampa ignorante, approssimativa e sensazionalistica, una stampa che non abbiamo più, nella nostra epoca, sostituita da qualcosa che non so se si possa chiamare ignorante, approssimativo o scandalistico, ma che di certo non merita di fregiarsi del titolo di “stampa”.
The Other side of The Mirror, in qualche modo forma una trilogia con Dont Look Back di D. A. Pennebaker e No Direction Home di Martin Scorsese e se siete interessati a conoscere il fenomeno Bob Dylan, allora dovreste vederli tutti e tre. Questo film relativo al Newport Folk Festival è sicuramente rivolto allo zoccolo duro dei fan ma può risultare utile anche per chi è interessato a conoscere come le cose possano iniziare, finire, o anche solo continuare. Può cioè piacere a tutte le persone intelligenti come voi, miei cari 7 lettori.
God Bless You (…and forgive all of us)