The Lucky Ones
Fare la critica musicale è abbastanza facile, nessuno pretende che tu sia un musicista o che capisca qualcosa di musica, per assurgere allo status di principe tra i recensori le uniche cose che ti vengono chieste sono l’inserimento, all’interno dei tuoi articoli, di citazioni relative a musicisti di riferimento e a generi musicali, ricordando che:
- i generi musicali possono essere inesistenti come il nu-prog-folk o l’industrial-waltz
- i musicisti di riferimento debbono essere rigorosamente sconosciuti meglio se componenti di gruppi squallidi nei quali sono considerati del tutto inutili. Alla bisogna possono essere inesistenti anche loro.
questo getterà sul recensore un’aura di misticismo pentagrammatico che farà di molto, ma di molto, inorgoglire il recensito e meravigliare, se non addirittura maravigliare, il felice lettore.
La musica poi non conta molto. Eccovi un esempio di recensione perfetta del tutto simile a quelle che giornalmente leggete di qua o di là senza neppure più incazzarvi: “Geppo Franfippo, con il suo secondo lavoro, fa propria la lezione di Jack Pinzuliano e vena le sue composizioni di pragmatismo utopistico, così simile alla visione distopica di Alex Taylor, confluendo nel Rock Neo Irrealistico che tanto fa discutere nei nostri giorni“.
Girate un po’ per i siti che parlano di musica e divertitevi a contare migliaia di pseudo-recensioni uguali a questa scritte da gaglioffi senz’arte ma con molta parte.
Con il cinema le cose si fanno un po’ più complicate perchè non sempre è facile menarla per il naso a lettori e addetti ai lavori. Ho recentemente visto in TV un critico che, con grande scioltezza, scambiava Edward Norton per Michael Keaton e, credetemi, lo spettacolo è stato tristissimo. Una figura così barbina è praticamente impossibile che la faccia un critico musicale, per quanto impreparato, visto che solitamente parla di cose che non esistono e che è il solo a saperlo. Dunque per quanto riguarda il cinema non è così semplice fingere competenza, soprattutto quando ci si rivolge a chi ne possiede sia pure in quantità minime, e quindi recensori o aspiranti tali, ben consapevoli dell’insormontabile ostacolo, neppure tentano di di simularla nel loro parlar d’altro, di niente, di quanto è bello questo film, di quanto è noioso quell’altro, di quanti minuti d’applausi si è fregiato questo regista, di quanto è profondo lo spacco nel vestito di quell’attrice. La professionalità è difficile da raggiungere e loro neppure ci provano tanto sanno già scrivere bene, e se non riescono a farsi assumere da una TV o da un giornale riempiranno il web di brillante spazzatura, spesso radunando intorno a sé frotte di idioti celebranti le loro disumane cazzate. E allora girate anche un po’ per siti che parlano di cinema e arrabbiatevi come delle bestie, leggendo di sciocchezze inaudite e di ardite stronzate, io ogni tanto lo faccio e ringrazio il cielo di non essere un critico musicale o cinematografico ma soltanto uno che ama la musica e il cinema e che evita di parlare di quel che non capisce perchè farebbe una figura molto peggiore di quella già abbastanza brutta che fa quando parla di quel che capisce.
Dopo un primo inevitabile inserimento nel filone road movies, diventa subito evidente che The Lucky Ones è un film difficilmente catalogabile così la sua immissione in uno specifico genere è sempre causa di qualche dubbio decisamente plausibile ed è proprio causa di questo che la critica ufficiale non si è mai sbilanciata troppo a riguardo mentre i genialoidi del web lo hanno, per manifesta incapacità, quasi sempre ignorato.
Eppure non è così difficile è tutto spiegato in quel botta e risposta tra Cheaver, Bob e Peter, più o meno a meta della pellicola:
“Cosa state facendo laggiù?” (in Iraq)
“Cerchiamo di rimanere vivi”
Si passa dai colori caldi dell’Iraq a quelli altrettanto caldi della Germania a quelli assolutamente uguali del paesaggio urbano, agricolo o rupestre americano, colori caldi ma mai così troppo accesi da tramutarsi in arte da quattro soldi, sono colori capaci di scaldare il cuore senza agitarlo più di tanto, colori uguali in tutto il mondo perchè il mondo intero è un unico grande paese dove puoi trovare nemici inaspettati e amici da amare per il resto della vita.
I protagonisti della storia seguono un personale percorso che un vero critico definirebbe di crescita interiore, ma in fondo non è che questo abbia una grande importanza, nel dipanarsi della narrazione, perchè loro non sono The Lucky Ones in quanto sopravvissuti alla guerra, lo sono perchè si sono incontrati in un momento di pausa dall’orrore che li vede quotidianamente interpretare il ruolo di soldati dispensatori di morte e dolore e insieme hanno riscoperto la normalità che dovrebbe essere normale, quella parte di innocenza che non hanno mai perso nonostante la barbarie che li vede mettere in gioco la propria vita e quella degli altri ogni santo giorno e che li farà rimanere vicini domani, quando tutto sarà finito. Se sopravviveranno.
Le dichiarazioni degli autori sono, ovviamente, piuttosto caute e generalizzanti ma questo, credetemi è un film contro la guerra che partendo da una posizione differente arriva esattamente dove arriva anche Full Metal Jacket, contestando forse al capolavoro di Stanley Kubrick la solitudine sostanziale di ogni protagonista e proponendo al suo posto una speranza di tipo nuovo che si può chiamare, amicizia, solidarietà, generosità.
E i protagonisti sono davvero così spudoratamente magnifici che viene da domandarsi come sia possibile che non sia stato loro assegnato nessun tipo di premio, per le loro interpretazioni. Tim Robbins è perfetto e misurato in ogni scena e Michael Pena interpreta magistralmente il soldato, almeno esteriormente, motivato e gonfio di leadership. E che dire di Rachel McAdams se non che nessun’altra attrice avrebbe saputo infondere come lei così tanta grazia, sex appeal, innocenza e determinazione in un personaggio proveniente dal più basso sottoproletariato americano?
La musica è garbata per tutto lo scorrere delle immagini, proprio come la chitarra che Colee/McAdams si porta sempre appresso e che per tutto il film non suonerà neppure una volta, quella chitarra che è la ragione che l’ha fatta partire dall’Iraq e con la quale ci tornerà in Iraq, una chitarra utile per strimpellare in un futuro non troppo lontano e con la quale poter misurare l’amore della gente che la circonda.
Come vedete io non so fare la critica di questo bellissimo lavoro cinematografico, non ci provo e neppure voglio raccontarvi la trama: è davvero necessario che voi, cari i miei 7 lettori, facciate uno sforzo per procurarvi The Lucky Ones in DVD e che gli dedichiate una tranquilla serata sul divano, magari accompagnata da una birretta e qualche patatina. Sarà una serata davvero bella e mi ringrazierete per avervela consigliata.