The Concert for Bangla Desh
La guerra d’indipendenza del Pakistan Orientale fu un brutto affare. Nacque come nascono sempre queste spiacevoli cose: un partito vinse inaspettatamente le elezioni e quello allegramente al potere si rifiuto di riconoscerlo, poi da cosa nacque cosa e si cominciò con le fucilate. Anche se so per certo che alcuni nostri baldi politici amerebbero risolvere le nostre questioni elettorali alla medesima stregua, vi renderete conto, miei cari 7 lettori, che in quello specifico caso ci trovammo di fronte a uno dei classici comportamenti che da sempre caratterizzano il genere umano e cioè che chi ha il potere ci si crogiola e non ha più alcuna intenzione di cederlo, ne’ con le buone ne’ con le cattive. Certo, la situazione dei due Pakistan era strana già di per se’, con 1600 chilometri di India a dividere le due frazioni, e forse le elezioni furono giusto l’occasione propizia per dar fuoco alle polveri, ma il risultato fu quello di sempre: morti a centinaia di migliaia, probabilmente milioni. Le cifre sono tutte approssimative e nessuno è mai riuscito a stilare un bilancio preciso perchè in fondo, in un paese che conta oltre 150 milioni di abitanti, un milione di morti in più o in meno, statisticamente parlando, appena si nota. La situazione divenne talmente spaventosa che l’India si trovò costretta a intervenire per arginare la furia devastatrice della fazione occidentale (e magari anche perchè sono sempre stati nemici ed erano appena usciti da un aspro conflitto in cui era in ballo il territorio del Kashmir) e gli Stati Uniti, che stavano già facendo del loro peggio in Vietnam, non persero occasione per fare l’ennesima figura di merda mandando una flotta nel golfo del Bengala e minacciando l’India ti innaffiarla di bombe atomiche se non avessero subito smesso di ficcare il naso negli affari interni del Pakistan dove, tutto sommato, si stava solo facendo del sano genocidio in famiglia, mica chissà che. Bisogna ammettere che la politica estera americana, a parte un paio di colpi di fortuna in occasione delle due guerre mondiali dove per puro caso scelsero la parte giusta, è sempre stata bizzarra, sbagliata, quasi sempre perdente e a volte criminale. In ogni caso i milioni di morti non erano il vero problema, in quanto morti avevano solo bisogno di essere seppelliti, il vero problema era la sovrappopolazione, la mancanza di generi alimentari, le malattie, la carestia, le condizioni metereologiche e gli sfollati che a milioni si precipitarono in India per sfuggire a tutte queste cose, oltre che alle bombe e alle fucilate. L’India si trovò in difficoltà inimmaginabili perchè nel Gange scorreva allora, come adesso, solo acqua, mica oro e, a causa della delirante posizione americana, la comunità internazionale fingeva amabilmente che da quelle parti invece che un conflitto cruento ci fosse un club Mediterranèe.
Il Bangla Desh è in realtà la parte orientale del Bengala, quella a maggioranza islamica, ed è in virtù di questo che quando il Pakistan si separò dall’India si portò dietro anche questa “mezza” regione. Di conseguenza ci furono esodi e controesodi di massa, ma non tutte le famiglie si riunirono e qualcuno di qua continuava ad avere parenti di la’. Uno di questi era Ravi Shankar che, angosciato dalla situazione nel Bengala sempre più disperata, chiese aiuto e consiglio al suo amico George Harrison. Cosa possono fare un suonatore di sitar e un chitarrista di fronte a un sanguinoso conflitto che minaccia di diventare atomico da un giorno all’altro? possono suonare, incidere un disco, fare un film e devolvere i soldi all’Unicef che li convertirà in medicine e generi alimentari e li manderà laggiù, dove finiranno in una mezza giornata. Se però il chitarrista è un ex-membro dei Beatles che può radunare nel Madison Square Garden, intorno a se’, alcuni dei migliori musicisti viventi e interessare i ragazzi di New York prima e quelli del resto del mondo subito dopo, ecco che la situazione del Bengala/Bangla Desh diventa di dominio pubblico e gli squallidi governi occidentali cacasotto non possono più far finta di niente. Milioni di morti e milioni di sfollati diventano così un problema anche per i capi di stato più menefreghisti e inetti e poichè l’opinione della gente è contro il massacro e la fame, e poichè la gente ha diritto di voto, ecco che quella della gente diventa anche, magicamente, l’opinione di chi si è assunto l’onere di governarla. Ehi, signor Nixon, lì non cè un club Mediterranèe, lì c’è una guerra terribile!
Con poco tempo a disposizione, George Harrison mise su un cast eccezionale e il primo Agosto 1971, tenne due concerti storici al Madison Square Garden che, di fatto, furono i primi grandi eventi musicali di beneficienza della storia. Da questi concerti furono tratti un film e un disco che andò praticamente a costituire l’album di George Harrison successivo a Al Thing Must Pass, essendo accreditato a George Harrison & Friends. Nel DVD in versione deluxe potete trovare alcuni simpatici gadget, e un secondo DVD di contenuti speciali interessanti, a mio parere, soprattutto nella bella versione di If Not For You eseguita da George Harrison e Bob Dylan durante il soundcheck. Tutti i guadagni andarono all’Unicef, in favore del Bangla Desh e, per quanto ne so, continua a essere così anche adesso (theconcertforbangladesh.com) perciò, cari i miei 7 lettori, se comprate il CD o il DVD continuate a dare una mano a George Harrison nell’aiutare quel bellissimo paese eternamente in via di sviluppo che è il Bengala Orientale.
Quello che interessa noi, volgari e insensibili musicisti, musicanti e musicofili, è la musica cioè il concerto e il concerto è qualcosa di fantastico, a cominciare dalla “temibile” banda, composta da George Harrison, Ringo Starr, Leon Russell, Billy Preston, Eric Clapton, Jesse Ed Davis, Klaus Voorman, Jim Keltner, I Badfinger (Pete Ham, Tom Evans, Joey Molland, Mike Gibbins), The Hollywood Horns ( Jim Horn, Chuck Findley, Jackie Kelso, Allan Beutler, Lou McCreary, Ollie Mitchell), The Soul Choir (Don Nix, Claudia Linnear, Jo Green, Dolores Hall, Jeanie Greene, Marlin Greene, Don Preston). La scaletta prevede molte canzoni di George Harrison e qualcuna di altri autori tra cui Bob Dylan. Questo è l’elenco: Wah-Wah, My Sweet Lord, Awaiting on You All, That’s the Way God Planned It, It Don’t Come Easy, Beware of Darkness, While My Guitar Gently Weeps, Jumpin’ Jack Flash, Young Blood, Here Comes the Sun, A Hard Rain’s A-Gonna Fall, It Takes A Lot To Laugh It Takes A Train To Cry, Blownin’In The Wind, Just Like A Woman, Something, Bangla Desh. Altre canzoni eseguite non sono state incluse nel film, ma alcune le potrete trovare nei contributi speciali del DVD.
Le performance sono entusiasmanti, credetemi, anche se per ragioni non molto chiare Eric Clapton sembra un po’ in ombra, in un’intervista compresa negli extra lui asserisce di avere scelto la chitarra sbagliata, ma chissà….
Tuttavia il pezzo forte del concerto è, e se non lo avete mai visto vi prego di credermi sulla parola, una canzone intitolata Bangla Dhun secondo i credits ma che forse sono due canzoni distinte e che sono eseguite da Ravi Shankar al sitar, Ali Akbar Khan al sarod, Alla Rakha alle tabla e Kamala Chakravarty alla tambura. Quando ho inserito il DVD nel lettore, per la prima volta, e ho premuto play, ho davvero pensato di saltare l’esibizione di questi quattro indiani che pregavano il pubblico di non fumare e che bruciavano incenso sul palco, ma poi mi sono sforzato di seguirla tutta, in fondo durava solo un quarto d’ora. Quando la performance è finita sono stato costretto a rimetterla dall’inizio perchè mi ero appena reso conto di avere ascoltato raramente qualcosa di così bello. E poi l’ho rimessa ancora e ancora e quando poi mi sono deciso a guardare le stelle del rock’n’roll che venivano dopo, mentre i brani immortali di George e Bob venivano gettati al pubblico nel loro magnifico splendore, non potevo fare a meno di pensare che, accidenti, mi sarebbe piaciuto capire meglio certi passaggi di sarod e che la tambura, mannaggia, non l’avevo seguita abbastanza bene e che forse al termine del film potevo ricominciare dall’inizio e riascoltare meglio la musica indiana. Magari solo un paio di volte ancora. Non più di tre. Lo giuro.
Questo DVD non è particolarmente economico, purtroppo, ma vale ogni centesimo speso per acquistarlo e non dimentichiamo che gli utili sono impiegati per una buona causa. Bisogna averlo assolutamente, proprio come Woodstock. Vi ho già parlato di Woodstock, vero?