Terrore dallo schermo profondo: Cyndi Lauper, Girls Just Wanna Have Fun (1983)
Tante e imprevedibili sono le cose di cui si ha paura da piccoli. Uno dei miei primi ricordi – deve risalire al 1975 o al 1976, perché mio fratello non era nato – ha a che fare con un armadio in camera mia. La notte, immaginavo che in quell’armadio ci fosse uno scimmione. Finché io non mi muovevo, lo scimmione non usciva dall’armadio. Però dovevo stare proprio fermo fermo, e respirare piano, il che escludeva la possibilità di avvisare i miei genitori – che dormivano nella camera dirimpetto alla mia, proprio oltre lo scimmione. Il fatto di respirare piano, lo sforzo di concentrarmi per non indispettire lo scimmione, mi aiutavano paradossalmente ad addormentarmi. E ancora oggi, se immagino di trovarmi su un cornicione o su una trave di ferro sospesa a grandi altezze – come in un cartone animato di Topolino o di Mr Magoo – a volte riesco a vincere l’insonnia. Altrimenti visualizzo una lenta serie di scambi brevi rasoterra fra gli attuali centrocampisti dell’Inter – ma qui mi fermo, non voglio togliere il sonno a voi.
Qualche anno dopo, ne avevo forse già una decina, mi sono preso uno spavento enorme guardando Terrore dallo spazio profondo, che era poi un rifacimento dell’Invasione degli ultracorpi. Lo davano in TV, il sabato sera, e i miei lo stavano guardando a casa dei miei zii. Io ero lì con loro, e minuto dopo minuto mi dicevo che era meglio piantarla e andare nella stanza dei miei cugini a giocare a calcino. E invece ho continuato a guardare fino in fondo, niente calcino, e quella scena finale – in cui lei che si è salvata chiama per nome lui, e lui le fa l’urlo stridulo dell’alieno che avverte i suoi simili – ha continuato a terrorizzarmi per anni, costringendomi ogni notte, anche nel caldo più soffocante, a tirarmi il lenzuolo sopra la testa. Non ricordo quando ho smesso di farlo – ma dev’essere stato quando gli ormoni hanno cominciato a urlare più forte degli alieni.
Gli extraterrestri, le bestie che vengono a divorarti nel sonno: suppongo siano fobie abbastanza normali, per un bambino di piccola stazza costretto a contare sulla benevolenza dei propri simili per sopravvivere. Un po’ meno normali, anche se tutto sommato riconducibili alle due grandi categorie dell’alieno e dello scimmione, sono le paure legate ai cantanti e ai gruppi musicali dei primi anni Ottanta, che spesso e volentieri si mascheravano e si atteggiavano per imporsi alla nostra attenzione. I Pink Project, incappucciati e infagottati in tuniche nere, erano una via di mezzo fra i fantasmi e gli alieni. I Kiss, intravisti una volta in non so quale programma televisivo, avevano la bizzarria degli invasori intergalattici e l’aggressività delle bestie feroci. David Bowie veniva senz’altro dallo spazio, anche se era molto meno aggressivo dell’ultracorpo medio. Billy Idol era un extraterrestre molto minaccioso, e mi faceva pensare anche a certi giovani teppisti del quartiere in cui mi ero trasferito con i miei nei primi anni Ottanta. Il video di Sweet Sixteen mi ricordava che se dovevo proprio allontanarmi da via Bartolo Rossi, la direzione giusta era verso il centro.
Sembra strano anche a me, oggi, ma fra i cantanti e i musicisti che mi mettevano un po’ di inquietudine c’era anche Cyndi Lauper. Non arrivava a farmi paura, lei, ma il video di Girls Just Wanna Have Fun non mi lasciava neanche indifferente. C’era questa ragazza piccola, bruttina, ghignante e aggressiva che saltellava qua e là come un’indemoniata, e riduceva all’impotenza omoni panciuti che erano il doppio di lei. C’era questa voce altissima, sguaiata, che non stava mai ferma su una nota più di mezzo secondo. Io avevo undici-dodici anni, cominciavo a guardare le ragazze con occhi diversi e non avevo idea di come avvicinarmi a quella specie aliena che era, rispetto ai Kiss e agli ultracorpi, meno spaventosa ma altrettanto incomprensibile. Nelle mie condizioni era già difficile da digerire Madonna – figurarsi Cyndi Lauper, che stava alla Ciccone come la palla pazza stava al Tango Mundial.
Imparo, oggi, che Cyndi Lauper è stata costretta a registrare il suo primo album cantando canzoni imposte dalla discografica, e che questa canzone del 1979 le era sembrata talmente maschilista che aveva dovuto modificarne il testo. Capisco, oggi, che il personaggio “Cyndi Lauper” era un po’ punk e un po’ femminista, anche se nei modi spettacolari e patinati permessi dal commercio musicale degli anni Ottanta. Ma oggi come ieri, il femminismo punk urlato e il contorno occhi marcato mi fanno un po’ paura, o perlomeno mi mettono a disagio. Perciò, per fare mia questa canzone, per fare mio tutto il decennio, ho dovuto ricantarlo e risuonarlo in modo più posato, meno sguaiato, meno alieno. Cyndi Lauper, dovesse mai interessarsene, mi perdonerà: è stato come tornare indietro di quarant’anni, aprire quell’armadio, non trovarci lo scimmione.