Sweet Child o’ Mine
E’ solo una canzone ma, chissà perchè, ascoltandola ti par di sentire suoni che non provengono dalle casse,
avverti profumi che non sono nell’aria e colori diversi da quelli che vedi infiammano i tuoi occhi.
I casi sono due: o quella canzone ha risvegliato dentro di te ricordi che erano assopiti, o è meglio che ti fai vedere da un dottore!
Vidi per la prima volta i Guns n’ Roses nel 1986, a tarda notte su Videomusic, mi par di ricordare. Probabilmente c’era un buco nella programmazione e avevano messo su un nastro qualunque che avevano ottenuto chissà come. La band suonava in un club piccolo, forse di Los Angeles, su un palco grande come un francobollo dove era proibito ogni tipo di gesto inconsulto per evitare gomitate negli occhi altrui, cadute, fratture multiple composte e scomposte, sputazzate. Credetemi, non ho mai più visto niente del genere, relativamente a quella che in un paio d’anni sarebbe diventata la nuova banda di riferimento del rock: Axl non era ancora il bulletto vanitoso che conosciamo e non si era ancora messo in testa, del tutto arbitrariamente, di essere il nuovo Robert Plant. Con la sua danza del serpente sull’asse traballante del proscenio sprizzava energia repressa e musica da ogni poro della pelle, la versione di Knockin’ on Heaven’s Door nella quale trascinò il gruppo fu epica e lontana mille miglia da quella poi inserita in Use Your Illusion. Inoltre c’era Slash.
Una volta, tanti anni fa, entrai in una chiesa attirato dalla musica che il portone semiaperto lasciava scappar fuori. Era il tempo delle messe rock, che quelle beat erano ormai già passate di moda e alla fine della funzione, mentre la gente se ne andava via lentamente, afferrai la chitarra lasciata incautamente incustodita e mi misi a suonare. Improvvisai delle variazioni su un giro di accordi, arpeggiato, che si concludeva sempre con il medesimo breve riff sulle ultime due corde, una cosa banale a dir la verità, ma qualcuno dei fedeli, invece che tornarsene a casa si fermò ad ascoltare finchè il proprietario dello strumento, invero piuttosto garbatamente, se lo venne a reclamare. Il fatto è che io credevo fermamente di essere un grande chitarrista e la mia totale ignoranza, musicale e no, mi impediva di appoggiare i piedi sulla solida e cruda realtà: ogni occasione era buona per mettermi a strimpellare o a cantare e qualche volta a fare lo scemo. Collezionavo impressionanti figure di merda ma non me ne rendevo per niente conto ed ero seriamente convinto che se fossi andato ad esibirmi nella metropolitana di Parigi sarei in brevissimo tempo diventato arcimilionario.
Questo magari vi ricorda qualcosa, cari i miei 7 lettori? vi ricorda voi stessi che appena vedete uno strumento lo acchiappate per lanciarvi in qualche performance che immaginate divertentemente brillante e che invece è senza ombra di dubbio malinconicamente penosa o, nel migliore dei casi, squallidamente dilettantesca? sì? ebbene non dimenticate che io vi sto parlando di quando ero uno sprovveduto quindicenne mentre voi siete dei frescoloni che ondeggiano pericolosamente intorno alla mezza età, quindi non ridete troppo delle mie inconsapevoli figuracce che, forse forse, la maggior parte del ridicolo non sta dalla mia parte. La chiave di tutto è chiaramente nell’ignoranza che non consente di capire quando si è fuori posto, inadeguati o macchiettistici e io in quell’ignoranza ci sguazzavo allora proprio come voi ci sguazzate oggi: non avevo paura di niente e potevo letteralmente far qualunque cosa pur di regalare al mondo la mia arte. Ho suonato dappertutto con l’orgoglio del genio in erba pronto a deflagrare in migliaia di piccole creazioni inimmaginabili, con la prosopopea di un gigante nano capace di insegnare ai maestri, a quelli davvero capaci.
Roba da matti.
Chi mi conosce per come sono ora stenterà a credere in queste memorie, adesso se c’è uno strumento in giro lascio che siano altri a usarlo, difficilmente canto e se proprio prendo una chitarra in mano davanti a qualcuno e se questi mi guarda le mani vado in confusione, sbaglio corda, mi tremano le ginocchia e lascio subito perdere.
Perchè succede questo?
Perchè in quella notte del 1986, su Videomusic, vidi Slash.
Slash era la reincarnazione dei vecchi guitar hero, una specie di Jimmy Page giovane, e a vederlo improvvisamente mi venne voglia di suonare la chitarra elettrica. Ne avevo una che non usavo mai, preferendo di gran lunga l’acustica, così la tirai fuori solo per accorgermi che i pick-up non erano per nulla adeguati. Comprai un humbucker Di Marzio e lo montai al ponte poi potenziai l’altro al manico proprio come avevo letto su una rivista e alla fine capii che il problema non erano i magneti ma ero io: semplicemente non sapevo suonare in modo dignitoso o anche solo lontanamente paragonabile a quello di Slash. Mi armai di pazienza e principiai comprando un buon metodo. Da allora dedicai ogni minuto del mio tempo libero a studiare la chitarra elettrica rendendomi conto, come inevitabile conseguenza, che non sapevo suonare bene neppure quella acustica, almeno non bene come immaginavo, e che per anni avevo fatto ridere i polli in giro per il mondo. Forse fui un pochino troppo severo con me stesso, adesso lo riconosco, ma la sostanza dei fatti era quella lì, c’era poco da girarci intorno. Sei anni dopo, nel 1992, eseguivo scale a 300 bpm ed ero perfettamente consapevole di non valere niente, ero conscio del fatto che in giro c’erano ragazzini di quattordici anni assai più bravi di me e nonostante capissi benissimo che la musica non era una gara, nel mio intimo sapevo che per noi chitarristi in realtà lo era, almeno quando ci si incontrava in qualche stanza munita di amplificatore, e questo aumentava in me la consapevolezza di valere poco, di aver perso tempo prezioso e di aver buttato via anni importanti. Avevo sì migliorato la mia capacità di scrittura ed ero davvero in grado di comporre una canzone in pochi minuti e poi anche di arrangiarla decentemente, ma questo faceva di me al massimo un autore, non un vero strumentista, un virtuoso, cioè quello che volevo diventare. Ovviamente il problema stava anche nella testa, non tutto nelle mani, ma che ci volete fare? da quel giorno del 1992 la consapevolezza di avere ancora un mondo di cose da imparare e quindi di non sapere, in realtà, nulla, invece che fungere da stimolo per una ulteriore crescita mi bloccò completamente e nonostante il successivo ritorno alla chitarra acustica e a una rilassata accettazione dei miei limiti, anche ora le esibizioni continuano a rimanere improponibili per me e magari questo è un bel vantaggio soprattutto per voi.
Tutto per colpa/merito di Slash. Sweet Child o’ Mine non mi pare fosse nella scaletta di quel concerto notturno del 1986, ma rimane sempre una bellissima canzone, no?