Stefano Rosso
La guerra a volte è comoda, gli affari vanno a mille
se il capo è carismatico e il popolo è imbecille
il popolo è imbecille se crede alle canzoni
alle promesse di lavoro in vista di elezioni.
Stefano Rosso
…il primo legno che ho suonato è diventato fumo…
Stefano Rosso
Improvvisamente mi sono ricordato di Stefano Rosso. Non è che me lo ero dimenticato, anzi, nel mio lettore mp3 ho un mucchio di sue canzoni e tutti i giorni ne ascolto qualcuna, anche oggi l’ho fatto…ieri Stefano Rosso è andato via, e io l’ho saputo solo oggi. Più che lasciare un saluto sul suo sito cosa potevo fare? ho letto i saluti di altri, ho visitato lo spazio, su MySpace, della figlia Stefania, ho letto dei commenti qua e là e credevo di avere finito.
C’era qualcosa però, che mi diceva che nonavevo finito per niente, che una parte della mia adolescenza era scomparsa ed era una parte bella e importante. Così, improvvisamente, mi sono ricordato di Stefano Rosso.
Fu una canzone del primo disco, Reichiana, non è la migliore di Stefano, nè la più famosa e conteneva concetti che non condividevo per niente: fare un fuoco dei libri, non credere nei poeti nei filosofi e nei santi… la canzone era un flash di immagini personali e di filosofia da strada. Strana. Molto filosofica per uno che diceva di non credere ai filosofi. Il che è filosofia o contraddizione o entrambe le cose. Il linguaggio era decisamente semplice, il che non è affatto un difetto, un grande scrittore come Giovannino Guareschi usava per i suoi racconti profondissimi, in linguaggio alla portata di chiunque, ma quello di Stefano, al pari di un altro grande cantautore come Rino Gaetano, ti portava a visualizzare situazioni e concetti in modo immediato, era descrittivo ma non offriva spiegazioni. Stefano Rosso era un poeta. E come tale doveva essere ascoltato attentamente e il suo pensiero andava analizzato, studiato, prima di poter dire di averlo capito.
Tutto questo lo svicerai dopo l’ascolto di una sola canzone.
La sua sfiducia nei libri, nei pensatori erano una dichiarazione d’amore. Al libro perfetto, al pensatore assoluto che avrebbe prima o poi incontrato e che gli avrebbe dato le risposte che gli altri non avevano saputo dargli.
La critica di quegli anni non amava Stefano Rosso, preferiva il cantautore che aveva qualcosa di importante da dire, in maniera ermetica, preferibilmente. Che nessuno avesse qualcosa di importante da dire poco contava, Stefano Rosso non andava bene, era considerato un cantante leggero con “pose” impegnate. Di fronte a canzoni come Bologna ’77 o Letto 26 qualcuno azzardò un paragone con Dylan, che però si fermò lì. Una fiammate subito spenta, per paura d’essere tacciati d’incompetenza. Che stupidi, c’erano quasi arrivati. Perchè esattamente come Dylan, Stefano non si presentava come colui che porta la verità, come un profeta o leader o insegnante o qualcos’altro. Come Dylan Stefano voleva dire la sua, a modo suo e, senza fasulle seriosità. Diversamente da molti cantautori romani dell’epoca lui veniva davvero dalla borgata e il suo modo di interpretare la vita era figlio delle strade dove era cresciuto: disincantato e ironico.
La gente però apprezzava Stefano Rosso e gli diede un grande successo. Capii che qualcosa non andava quando lo vidi a Sanremo, me lo aspettavo divertito e gigioneggiante, invece lo vidi spaesato e confuso. Quello non era il suo mondo e quella gente, con la sua, non aveva nulla a che fare. E al ritorno dal viaggio in America fu invitato e una trasmissione televisiva. Il conduttore gli chiese di fargli una dimostrazione di fingerpicking e Stefano lo guardò come se fosse un marziano, come se il conduttore gli avesse chiesto di fare la foca ammaestrata.
Deve essere chiaro a tutti. A chi lo stroncò agli inizi, a chi lo ingannò, e ce ne furono, ai suoi “colleghi” sempre uguali a se’ stessi, a chi considera la musica solo un sottofondo sonoro, a quelli dello show businnes che vivono di parole e non sanno che cazzo dicono, a quelli che comprano le riviste sperando di leggervi il proprio nome, a chi dice di fare il musicista e invece produce sempre la medesima canzone e a chi è volato in vetta a forza di calci nel sedere: Stefano Rosso non era una foca ammaestrata. Cantava quelllo in cui credeva, e molte sue vecchie canzoni, diversamente da quel che è successo alla maggior parte dei suoi colleghi, si son rivelate profetiche e profondissime.
E comunque suonava meglio di chiunque altro.
Perchè Stefano Rosso era un grande chitarrista, uno dei migliori che siano mai nati in Italia. Fosse stato americano ora lo studieremmo come facciamo con Chet Atkins o Jorma Kaukonen. Nessuno lo ha mai messo su un piedestallo come han fatto con altri, ma a differenza di quegli altri forse lui l’avrebbe meritato davvero, anche se probabilmente avrebbe rifiutato di salirci.
Mi sono ricordato di Stefano Rosso e di come un mio caro amico, Franco, amasse quella sua canzone, l’Osteria del Tempo Perso e di quanto la suonasse spesso. Il mio amico è andato via già da qualche anno, ora che Stefano lo ha raggiunto spero che possano suonare, insieme, l’Osteria del Tempo Perso.
Io Stefano Rosso non l’ho mai scordato, e ho subito capito quanto valesse. La canzone che ho ascoltato oggi è Neurologico Reggae e parla, credo, di un brutto periodo della sua vita. Naturalmente è una canzone spiritosa e ironica e il finale dovremmo scrivercelo sulle tavole delle chitarre tutti noi “artisti” da quattro soldi:
“…ora passo il tempo a far canzoni
jazz e musica tradizionale
mentre “fuori un altro giorno muore”
non ci piango e non ci resto male
mentre “dentro me qualcosa muore”
ho il sospetto d’essere normale
sciabadadanbidanda ob-la-di ob-la-da
scabadadanbidè she loves you yeah, yeah yeah…”
Stefano Rosso era uno dei più grandi, ancorchè poco supportato dai media a causa della sua coerenza ed onestà morale. Una vita avventurosa…l’america, la depressione per amore, la legione straniera…
srano ma vero, non lo conoscevo … grazie!!!!!!