Shut up & sing
Le [[Dixie Chicks]] sono una delle mie band preferite, ma è possibile che a voi, miei cari 7 lettori, non sia mai capitato di ascoltare le loro canzoni o che addirittura non le abbiate mai neppure sentite nominare, e voglio immediatamente mettere le mani avanti dicendo che non vi condanno per questo. La colpa è dei nostri media, superficiali a volte, ma più spesso servili e pronti a correre in soccorso del vincitore in modo sempre disinteressatamente eroico e se, quindi, ignorare una band americana di enorme successo solo perchè confinata in un genere, il country, che i nostri baldi giornalisti1 non prendono in considerazione, può semplicemente essere definito banale ignoranza, tacere di quello che successe loro nel 2003 e negli anni successivi è una della ragioni per cui l’Italia sta così spaventosamente in basso nelle classifiche riguardanti la libertà di stampa e anche in quelle che si occupano della qualità della democrazia nei vari paesi del mondo.
Shut up & Sing è un film realizzato dalla due volte vincitrice del premio Oscar Barbara Kopple e da Cecilia Peck sui fatti successi in seguito alla dichiarazione (se si può chiamare così) di [[Natalie Maines]] durante il concerto tenuto il 10 marzo 2003 allo Sheperd’s Bush Empire di Londra e credo che tutti gli italiani dovrebbero vederlo e domandarsi dove può essere mai finita la coscienza di chi dovrebbe curare la nostra informazione, se si ignorano avvenimenti di portata talmente grande da meritare la trasposizione cinematografica da parte di pluripremiati registi, in favore di pittoresche curiosità dal mondo, almeno per quanto riguarda le notizie dall’estero che quelle dall’interno sono perfin più scadenti. Se a questo aggiungiamo che il modo nel quale lo sport viene trattato da noi è scandalosamente ridicolo ci rendiamo penosamente conto che la parte migliore della nostra stampa e della nostra televisione è, nonostante la qualità non sempre eccelsa, la pubblicità.
Le Dixie Chicks sono formate dalle sorelle Martie ed Emily Erwin, che da sposate han cambiato nome in Martie Maguire ed Emily Robinson, che suonano svariati strumenti e da Natalie Maines, voce solista, chitarra e basso. Le Dixie Chicks sono il gruppo femminile che ha venduto più dischi nella storia della musica, a prescindere dal genere e le sue componenti, oltre a essere bravissime musiciste, sono mogli e madri straordinarie che, in base alle ultime notizie in mio possesso, han già messo al mondo, tra tutte e tre, qualcosa come sette figli. Fino al 10 marzo 2003 le Dixie Chicks erano le fidanzatine d’America, avevano cantato l’inno al super Bowl, erano osannate da tutti, invitate nei talk shows e rappresentavano, apparentemente,
la gente del sud che piace anche a quella del nord, i valori che son considerati migliori, dalle loro parti e, perchè no? anche dalle nostre: tre donne che pur non rinunciando a quello che la società, tradizionalmente, pretende dalle donne, han saputo anche diventare delle grandissime star fabbricasoldi, la realizzazione dell’utopistica visione della botte piena e della moglie ubriaca, insomma, perfino oltre la meravigliosa Loretta Lynn che qualche cedimento, da normale essere umano, lo ebbe eccome. Le Dixie Chicks invece incarnavano perfettamente il sogno della donna americana, sembravano indistruttibili e lo erano davvero, come appresero in seguito quegli americani che provarono a distruggerle.
Quella allo Sheperd’s Bush Empire era la prima data di un tour mondiale che, zeppo di prestigiosissimi sponsor paganti e dotato di un fantastico palcoscenico, avrebbe accompagnato la band in un lungo trionfo prima di un rientro in patria ancora più trionfale che, data dopo data, avrebbe consegnato le tre ragazze alla leggenda, a patto che non ci fossero già. Quel giorno a Londra ci fu una immensa manifestazione contro l’imminente guerra in Iraq e a Natalie Maines parve giusto esprimere la propria solidarietà ai manifestanti dicendo, tra le altre cose: “Ci vergognamo che il presidente degli Stati Uniti venga dal Texas, come noi”. I tabloid inglesi strumentalizzarono quella che era una semplice battuta, ideologicamente meno importante del supporto morale dato ai pacifisti, e presto la notizia varcò l’oceano per generare la più grande campagna oscurantista che l’America visse dai tempi nei quali si pensò bene di bruciare tutte le opere targate Beatles: vestiti, dischi, memorabilia e, perchè no? riviste e libri che bruciar libri non guasta mai e serve a ricordare che la luce non è mai troppo vicina.
Alle Dixie Chicks successe la stessa cosa ma in un periodo nel quali i mezzi mediatici erano parecchio più potenti che negli anni ’60 del secolo precedente e presto si resero conto che cercare di minimizzare l’accaduto o porgere delle scuse non serviva a niente, perchè le campagne di odio si alimentano di odio, appunto, mica di ragione o di buon senso,
così si strinsero, come diciamo dalle nostre parti, a coorte e si prepararono a combattere. Combatterono contro giornalisti, giornali, riviste, anchor man, televisioni, comici, opinionisti, contro le radio che smisero di trasmettere i loro brani, contro gli insulti dissennati di politici e purtroppo anche di colleghi, contro l’arretratezza culturale, contro chi vedeva la libertà d’espressione soprattutto come un modo di dire, contro tutta la gente facilmente suggestionabile dai predicatori politici che imperversavano ai tempi di Bush Jr. e che incutevano soggezione e timore perfino in soggetti di vedute dichiaratamente democratiche e in televisioni e giornali notoriamente progressisti. Si scontrarono contro l’onda d’urto dei Neocons statunitensi e dei luoghi comuni patriottico religiosi veri proprio quanto quelli che sfoderano i nostri neocons locali, fecero aprire una commissione d’inchiesta al senato contro il boicottaggio che stavano subendo e mandarono il loro manager a testimoniare. Nessuno le difese, neppure i più accesi oppositori del presidente, ricevettero serie minacce di morte, furono oggetto di scherno, e non indietreggiarono mai di un passo. Natalie Maines dimostrò di essere fatta di una pasta della quale i baldi Neocons non conoscevano neppure l’esistenza mentre Martie ed Emily, apparentemente più fragili e che avrebbero potuto facilmente scaricare tutte le responsabilità sulla collega, mostrarono una pasta del tutto simile alla sua rimanendole sempre accanto e rintuzzando ogni attacco con forza e caparbietà. Erano tre semplici donne che lottavano da sole contro l’America peggiore, quella delle multinazionali e delle fabbriche d’armi, quella che stava dominando il mondo e che, dopo le frettolose dichiarazioni sulla “missione compiuta” si trovò dapprima ad ammettere che le famose armi di distruzione di massa se le erano un po’ inventate e infine a riconoscere di avere ingannato una intera nazione.
Nessuno però chiese scusa alle Dixie Chicks, e nemmeno le loro canzoni ricominciarono a essere trasmesse dalle stazioni Country. Così decisero di mandare a quel paese il Country e di fare musica a tutto tondo. Quando nel 2006 uscì il disco Taking The Long Way, i loro fan più fedeli, quelli che mai le avevano abbandonate e che avevano gremito i loro concerti scontrandosi a volte contro i bacchettoni minacciosi che manifestavano all’ingresso, lo portarono ai primi posti delle classifiche e alla conquista di un quintale di Grammy Awards facendo tranquillamente a meno del supporto da parte di radio e giornali.
La storia che Shut up & Sing racconta è questa: tre ragazze che hanno lottato contro l’oscurantismo, il pregiudizio, l’arretratezza culturale, la parte peggiore del loro stesso paese e ne sono uscite più forti come donne, come musiciste, come persone libere. Forse è per questo che da noi nessuno ne ha parlato e se lo ha fatto è successo a notte fonda: la libertà di espressione è sorella della libertà di stampa e troppa libertà, nel nostro bel paese, non piace a nessuno dei capi, convinti che noi si sia solo degli stupidi procacciatori di risorse e nient’altro.
Questo piccolo articolo non vale molto, lo so, ma non è per questo che l’ho riempito di fotografie, l’ho fatto per farvi vedere cos’è la vera bellezza, e non sto di certo parlando dell’aspetto fisico di Natalie, Martie ed Emily. E ora, dopo aver visto il film documentario di Barbara Kopple e Cecilia Peck, correte a comprarvi tutti i dischi delle Dixie Chicks: anche se la loro musica non vi piace ne varrà la pena.
- che parolona!!! [↩]
Finalmente le Dixie Chicks!!!!!