Settimana 9. Del viaggio
La scorsa settimana sono stata in Spagna, mi sono presa una pausa da parole e scritture.
Sono partita in fretta e furia senza troppe speranze. A dire il vero, sono partita arrabbiata e stufa di molte cose che puntellavano la mia quotidianità. Ho fatto i capricci (come so farli io, da vera insopportabile gorgone pietrificatrice di altrui buone intenzioni – sic!), ma alla fine, al primo respiro di aria spagnola, mi sono sentita subito meglio. Per il paradigma secondo cui le proprie vicende sembrano meno tumultuose se ci si sposta dall’epicentro del tornado, il mondo ha ricominciato a sorridermi.
Il preambolo qui sopra serve a comunicarvi, amici cari, che anche in questo caso ho in serbo una colonna sonora che ha accompagnato non una, ma ben due settimane. Come rimangono i “postumi” di un viaggio con i vestiti da lavare e la valigia da portare in soffitta, anche la mia mente ha mantenuto pensieri e ricordi andalusi per molto tempo.
Il quartiere dell’Albacìn inizia lungo il Darro e termina in cima alla collina che si innalza di fronte all’Alhambra, “me lo sono camminato tutto” con le mie gambette alla Peggy Fleming.
In gran parte in stile arabo, l’Albacìn conserva l’aspetto di una medina. Dall’XI al XIV secolo contava non meno di 26 moschee e 600 mila abitanti. E’ qui che si rifugiarono i mori quando furono cacciati da Cordova e sempre qui ripararono dopo la riconquista dei re cattolici di Granada. Nell’intrico delle sue stradine, dei paesaggi aperti sulla città sottostante, delle scale e dei vicoli ciechi, l’Albacìn ha conservato un fascino senza tempo che ti prende alla gola mentre si spiano dai cancelli e dai muretti bianchi le antiche case, le càrmenes (dall’arabo karm, che significa giardino cintato).
Ma del resto Granada è bella tutta. Per molto tempo nel mondo arabo si diceva di una persona malinconica o triste che “pensava a Granada”.
Granada e Al-Andalus comparivano perfino in certe preghiere dell’Islam dopo che i mori furono espulsi dalla Spagna. Chateaubriand scrisse “il paradiso di Granada viveva sempre nella loro memoria; le madri ne ripetevano i nomi ai figli che succhiavano ancora il latte e li cullavano con le storie degli Zegris e degli Abenceragi. Ogni cinque giorni si pregava nella moschea rivolgendosi verso Granada”.
Così, nell’aria primaverile di Granada, mi è sembrata chiara la mia frase preferita di questa theme song: “In the company of strangers / In the quiet of the railway station running scared”.
Mi piace perchè rende bene il senso di ogni inizio: un viaggio, una avventura… Mi piace perché sembra inspiegabilmente e involontariamente così vicina all’idea che mi sono fatta “dell’andare”. Credo che viaggiare sia la mia personale resistenza o, per meglio dire, il mio modo di reagire a chi dice “non ne vale la pena” o a quanti pensano non ci siano più spazi e occasioni per essere curiosi e sorpresi e ispirati.
Non so, penso che alla fine siamo tutti un po’ “the boxer”, in bilico tra la più grande avventura della nostra vita e l’assoluta e meravigliosa crudele normalità delle nostre giornate. Che quando si prova a partire, vada come vada, si tenta sempre di essere un Uomo migliore.