Settimana 38. Di nebbia ed E45
La colonna sonora di questa settimana l’ho sentita mentre sola soletta tornavo a Cesena dalle prime colline. Sulla E45, tra una buca e l’altra, nel buio di una guida serale senza nessuno a precedermi o seguirmi, la radio ha trasmesso questa canzone.
E sarà stata la sonorità Ottantona (nel senso di reminiscenza “anni Ottanta”) o la luna che mi sorvegliava dall’alto dei cieli superstradali, ma mi è venuto in mente un tema che avevo scritto da bambina. Il testo parlava della nebbia, delle sensazioni che mi provocava. Ricordo che a 8 anni, nel 1988, impiegai circa 40 minuti per infiocchettare una ardita metafora sul fatto che le persone che scomparivano nella nebbia andassero in realtà a finire in uno spazio limbico, oscillante, destinato a chi non siamo sicuri di amare. Quelle persone non erano presenti ai miei occhi, eppure erano reali, ne potevo intravedere la sagoma, sentirne la voce impastata dall’umidità…
La “sera dell’E45” non c’era la nebbia ma il testo mi è venuto in mente lo stesso. I pieni e i vuoti della strada mi hanno suggerito che in quel frangente mi sentivo come allora. Ho capito, cercando di fare il punto, che non si trattava della stessa situazione ma della medesima sensazione.
Su una strada buia e deserta ho pensato di essere sul principio di perdermi. Col fiato tirato, senza tempo o spazio, viva solo in quell’attesa di me che avevano gli altri. Occhi stanchi e piedi freddi, sentivo uno strano ronzio nelle orecchie, quello che si avverte per il gran silenzio, pausa sbigottita prima della liberazione da un pensiero negativo, onnivoro, oppressivo. Appena lo lasci andare diventa nebbia, fumo nel fumo; è reale – legato alla vita – eppure così liquido e inconsistente, milioni di gocce sospese.
Da bambina avvolgevo nella nebbia le mie paure. Ancora oggi sono abilissima nel fare la stessa cosa.