Settimana 32. Della identificazione con la piccola orfanella Annie
La colonna sonora di questa settimana non l’ho sentita distrattamente via radio. Non l’ho udita cantare da un amico e non è uscita da qualche finestra aperta. E’ una associazione. Vale a dire che negli ultimi sette giorni mi sono sentita come la piccola Annie.
Ecco il quadro della situazione.
Martedì è stata una giornata faticosa e difficile. (Vi racconto al presente così potete sentire tuuuuutta la mia afflizione)
La sera prima mi ero impegnata a preparare carta frottage e teste di drago fino a mezzanotte e, al mio risveglio, continuo senza posa incollando e appiccicando zampe per il corso del pomeriggio. Alle 12.15 ho una riunione in un ufficio comunale, così decido di lasciare parte dei preparativi “dragheschi” incompiuta e uscire di casa un po’ prima per passare in ferramenta e prendere materiali per un laboratorio dei giorni successivi.
Visto che ci sono, acquisto anche un panettone nel mio forno preferito. Passandoci proprio davanti mica posso fare finta di niente… Ahimè, la riunione è con un dirigente di settore e devo vestire i panni di una persona semiseria.
Sarà semiserio presentarsi e parlare di libri con un panettone in mano? No, forse no.
Valuto che la soluzione migliore è nasconderlo nella borsa che, contenendo 8 euro di panettone artigianale, acquista un peso specifico non indifferente e si gonfia come uno Zeppelin.
Amici carissimi, dovete sapere che per raggiungere certi piani del palazzo comunale bisogna fare una serie ripetuta di scalini bastardi… il peso del panettone, dei rocchetti di ferro e dei 10mila rotoli di scotch colorato (anch’essi dentro la mia borsa) si fa ben sentire. Caldo, caldissimo, fiatone, fiatonissimo, ma la priorità è arrivare all’ufficio di competenza e poi spogliarmi di tutti gli strati antigelo. Penso: “se devo morire per soffocamento è meglio farlo indossando il mio cappotto rosso che mi fa sentire molto carina!”
Avvicinatami all’ufficio, non vedo nessuno. Mi affaccio in quello accanto, la signora all’interno mi guarda interrogandomi immantinente: “Lei è…?”. Dopo essermi presentata (per la 200esima volta nel giro di un anno), domando dove sia la persona con cui devo parlare. La signora mi punta gli occhi dritti in volto e sibila quello che sembra un ordine militare: “Lei doveva andare in Biblioteca!”. Spiazzata, spiego che “No, l’appuntamento è proprio lì”. Mi becco un minuto di silenzio pensieroso e uno sguardo di sfida.
Insomma, alla fine, la signora, mentre muoio dal caldo e mi si stacca un braccio per il peso della borsa, decide di chiamare il dirigente. Ovviamente, lo fa con molta calma dopo una telefonata privata che permette al mio corpo -dentro al cappottino rosso – di raggiungere la temperatura dell’uranio fuso. Provo ad appoggiare la borsa ma mi viene detto che non posso stare lì.
Mentre mi tengo stretta i miei averi per ingombrare meno spazio possibile, finalmente mi viene passato un telefono. Il dirigente dall’altro capo si scusa e mi chiede di mandare una mail… Una mail? Quella cosa che potevo comodamente fare da casa? “Appuntamenti accavallati, spostati, guai e imprevisti…” Insomma, mi da buca. Penso al milione di teste di drago che ho da tagliare entro le 5 del pomeriggio. Rimugino che la vita è davvero ingiusta mentre la signora seduta davanti a me sentenzia: “Ecco vede, che non lo incontra…?!?!”. La guardo e mi chiedo se lei sarebbe capace di tagliare teste di drago: un aiuto potrebbe ripagare la sua scortesia nei mie confronti e magari anche quella del dirigente…
Cerco di non farne un dramma. Razionalizzo. “Ok, la riunione successiva è alle 13.15 qualche ufficio più avanti! Mangio qualcosa al bar qui sotto e torno!”.
Arrivata al bar, ordino e mi siedo. Mentre leggo il mio libro (nella borsa c’era pure quello, ne porto sempre uno con me per i casi disperati – e come prova questo aneddoto è chiaro che faccio benissimo!) e bevo spremuta di arancia mando un messaggio alla mia socia, tanto per ricevere qualche parola di conforto del tipo “Non ti farò mai girare a vuoto, ti voglio bene e ti rispetto”. Le chiedo se mi può raggiungere perché tanto la riunione è proprio lì, dove sono io… e invece scopro che la seconda riunione della giornata è, sì, alle 13.15, ma dall’altra parte della città.
Frigno perché questo significa tornare a casa, caricare in auto tutte le cose non finite del corso dei draghi, andare all’appuntamento delle 13.15, (terminata la riunione) cercare un posto a metà strada (probabilmente casa dei miei genitori) che mi permetta di tagliare il tagliabile e poi dirigermi al corso di dragologia.
Il televisore del locale è acceso e sintonizzato su rai 2. Paolo Fox parla del segno dei gemelli e io mi sento del tutto fuori contesto, stralunata, desidero ardentemente che la vecchietta al banco del bar mi abbracci forte. Tiro su la “valigia”, pago e vado via. Entrando nel condominio vengo assaltata dal gatto dei vicini che si intrufola in casa mia (da cui è difficilissimo stanarlo). Ho appena 30 minuti per caricare la macchina con colori e carta colorata e raggiungere il mio secondo appuntamento… ma non posso fare altro che sedermi sul divano con il cappotto ancora indosso. Il gatto dei vicini sdraiato accanto mi guarda silenzioso senza sospettare che esistono appuntamenti saltati e scontrosità. Non nevica dentro casa e non è freddo ma mi sento esattamente come Annie e, per di più, non so nemmeno dove ho lasciato il mio panettone.