Settimana 29. Dell’andare – restare – affittare – subaffittare
“Country roooooads, take me hoooooome…. Lalalaaaaa… Lalalaaaaaaaaaa…”
Beh, quella che si sta concludendo è stata una settimana fitta fitta di pensieri. Sulla scia di questa canzone che da lunedì ronza in testa, ho cominciato ad interrogarmi su quelle situazioni e circostanze, luoghi e spazi, che ci fanno sentire “a casa”.
Mi riferisco a quei momenti in cui percepiamo noi stessi nel posto giusto, anzi, no, scusate, nel posto che fa proprio per noi. Come un vestito confezionato su misura, avvertiamo che siamo metro e ago con cui quel punto è stato cucito e ricucito sul tessuto della realtà.
Non penso che il “senso di casa” sia necessariamente connesso al luogo in cui si nasce e si vive. A mio avviso è legato alla proiezione di sé nel mondo, alle emozioni che si agitano in noi quando pensiamo al concetto astratto di “casa” come situazione in cui sentirci sicuri, protetti dalle brutture, circondati da ciò che amiamo.
Nel corso della vita mi è capitato più volte di avvertire la precisa sensazione di cui sopra e solitamente riguardava circostanze in cui il mio domicilio non c’entrava affatto.
Ad esempio, mi sono sentita a casa in molti dei viaggi che ho intrapreso. A New York, al Cafè Lalo, 201 W 83rd Street, qualche anno prima usato come set di uno dei miei film preferiti, tra torte e luci soffuse, ho capito che il senso di appartenenza segue una geografia tutta particolare. Anche ad Edimburgo, più di recente, mentre ascoltavo canzoni di vecchi musical in un teatro del centro città, mi sono accorta che le pareti delle nostre “case” possono essere sorprendentemente estese e flessibili.
Credo, in secondo luogo, che si possano abitare anche le contingenze, che in alcune di esse si possa stare comodi e a proprio agio. Io mi sento a casa con i bambini del Club del Fumetto e con i ragazzi di Effe. E non è la redazione e lo spazio fisico a contare, è proprio quel progetto educativo, l’idea da cui è nato e la modalità con cui è andato avanti negli anni.
Poi, sempre più spesso è accaduto che mi sentissi a casa anche “in” alcune persone. Amici, amiche, amori che sfidano tempo e distanze ma che hanno il potere di riprendere la conversazione dall’esatto punto di intimità e condivisione dell’ultima volta.
A lungo mi sono preoccupata del dover trovare una dimensione – andare, restare, affittare, subaffittare – senza rendermi conto che il mio posto del cuore l’avevo già, che, mattone dopo mattone, potevo ormai sentirmi a casa in ogni luogo e in nessun posto in particolare.
Che dire? “Country roooooads, take me hoooooome…. Lalalaaaaa… Lalalaaaaaaaaaa…”