Settimana 26. Delle dimenticanze
Come sempre accade da un mese a questa parte sono inseguita dalle canzoni.
Pedinata da melodie che inspiegabilmente si ripetono nelle mie giornate e si rincorrono da un luogo all’altro, continuo a pormi domande semi-serie. Domenica scorsa “Forget her” è arrivata alle mie orecchie mentre un acquazzone rumoreggiava sui lucernari di casa. Poi, all’altezza di martedì, nel mio posto preferito in cui mangiare piadina vegana, la filodiffusione ha passato Jeff Buckley. Infine, proprio quando pensavo che segni e significati si fossero già espressi abbastanza, è giunto in regalo nuovamente questo pezzo, giovedì mattina, mentre facevo acquisti in ferramenta. Strane coincidenze…
Ad ogni modo, in un momento in cui per lavoro ho tante cose da ricordare, ho cominciato a pensare a ciò che invece vorrei dimenticare.
- Vorrei dimenticare la volta in cui a 16 anni sono rimasta chiusa dentro un autobus. E’ una storia lunga e complicata, vi basti sapere che l’autista non si accorse di me, che mi ero fiondata dentro il bus per recuperare un posto a sedere, abituata com’ero alla consueta lotta giornaliera per la sopravvivenza sui mezzi pubblici. A dire il vero, nemmeno io mi accorsi che l’autista aveva chiuso la porta anteriore e che si apprestava a scendere per la pausa caffè. Fatto sta, che mi sprangò dentro. Poco male, direte, se non che si trattava di uno di quegli autobus belli e trasparenti, fermo alle 7.30 della mattina in una stazione affollatissima di studenti. In sostanza, io dentro e tutti fuori a ridere… anche perché l’autista arrivò dopo un quarto d’ora abbondante!
- Vorrei scordare tutti gli attimi in cui non ho saputo rispondere “anche io” ad una persona che diceva “Ti voglio bene”
- Vorrei dimenticare il momento in cui alzai un ricevitore del telefono in un giorno di primavera. Mi trovavo nell’appartamento di Bologna in cui vivevo mentre frequentavo l’Università. Mi dissero che la nonna aveva avuto un ictus. Non pretendo di dimenticare quel che successe dopo – ho imparato che certe cose fanno parte del gioco- , ma vorrei scordare quell’istante preciso: era ora di pranzo, ero sola, la cornetta del nostro vecchissimo apparecchio fisso mi scivolò di mano. E’ stato il primo momento della mia esistenza in cui mi sono sentita totalmente impreparata alla vita
- Vorrei dimenticare l’istante in cui da piccola caddi dentro una pozzanghera che nascondeva una base di sassolini bastardi e anche quello in cui mi cappottai con la mia bicicletta rossa cercando di fare le impennate
- Vorrei dimenticare la volta che presi “1” in storia e dovetti recuperare tutta la Rivoluzione Francese e Napoleone in due giorni
Scherzi a parte, non so se vorrei davvero obliare certe figuracce, dolori e crepe del fisico e dello spirito. In fin dei conti, a causa di quanto accaduto ho compreso alcune verità: è meglio non impennare in bicicletta se hai appena tolto le ruotine; non è il caso di salire di corsa sugli autobus; le persone amate, perfino quelle a cui non si ha risposto con parole dolci, trovano sempre un modo per essere ricordate.
Ricordarsi di dimenticare, mentre la memoria affiora e indurisce il massetto su cui piantiamo i piedi, mani sui fianchi, naso aperto a buttar dentro aria.
– Nonna con l\\’ictus, successe anche alla mia un inverno negli \\’80 mentre disinnevavo l\\’auto di mia mamma in strada…
– Ti voglio bene mancati o detti in eccesso nella speranza di non perdere chi si ama…
E, comunque, nessuno mi toglie dalla testa che sarebbero ore spese più che bene a ciarlare con queste fette di avventure fra i denti, lapparsi i granelli dolci e sorseggiare da una tazza i retrogusti amari.