Settimana 25. Di cancelleria, maestre nevrotiche e ricordi
E’ iniziata la scuola. Come ogni settembre sono stra-frignona nella settimana in cui si avviano i “lavori”, nel momento in cui si carica tutta l’energia possibile per un salto lungo 9 mesi.
Ok, direte che la frigna è parte di me, ma in questa settimana sono stata particolarmente inquieta. Una sera, mamma, per tamponare le mie paturnie pre-autunnali, ha giocato l’asso di briscola e, dopo avermi posato davanti una tazza di tisana al finocchio, ha cominciato il Gioco dei Ricordi.
Si tratta di un gioco che in famiglia facciamo spesso, soprattutto quando c’è bisogno di non pensare al futuro in maniera diretta e lineare ma di arrivarci all’indietro, se così si può dire, ridendo della strada fatta e di come questa ci abbia condotto esattamente al punto in cui il passo successivo sarà quello di domani.
La mia mamma è molto saggia, lo è soprattutto nei cambi di stagione.
Dei miei giorni di scuola ho ricordi abbastanza nitidi. Mi rammento di quando, all’Elementari, mi rifiutavo con ferma convinzione di imparare le operazioni. Sostenevo di essere andata a scuola per leggere e scrivere. Del far di conto nessuno mi aveva parlato… Poi ricordo che la maestra, quando si arrabbiava, lanciava gli astucci e i quaderni. Di solito li buttava per aria ma quando era particolarmente sconfortata dall’ostinazione dei suoi alunni centrava la finestra, facendo volare penne, colori e tutto il resto nel giardino dell’asilo, al piano di sotto.
A scuola ho imparato la pigra arte delle lusinghe e della ruffianeria. Ricordo perfettamente quando la prof di Italiano delle Medie chiese a tutta la classe “Vi piace la scuola?”, una sorta di sondaggio per alzata di mano. Tutti i miei compagni, più furbi di me, tirarono su il braccio, più dritto possibile. Io rimasi con le mani in mano, sconcertata dal fatto che anche quello che prendeva sempre 4 fosse lì sull’attenti. Per questa mia ingenuità silenziosa e inconsapevole mi sono beccata un interrogatorio da parte dello psicologo della scuola, una telefonata ai genitori e pure del compito extra. E pensare che, secchiona com’ero, in fin dei conti, la scuola non mi faceva nemmeno così schifo…
Ricordo, infatti, di essere andata in contro a tutti i miei primi giorni con viva curiosità. Attuavo la tecnica del “Anche tu qui?”. Avendo frequentato indirizzi e corsi di studio in cui mi ritrovavo sempre sola, ricominciando ogni volta da capo con amici e compagni, avevo sviluppato un modus operandi infallibile, tanto disarmante quanto inopportuno: “Anche tu qui? Vuoi essere mia amica?”. C’è da dire che a 19 anni, al primo giorno di università, questa domanda non suonava più fresca e allegra come negli anni passati… Tuttavia, anche se l’esternazione faceva un po’ serial killer, funzionò sempre e comunque. Resto convinta che le buone amicizie debbano partire con una stretta di mano e sincerità d’intenti.
La cosa più “scuolosa”? Senza dubbio la famigerata “spesa della scuola”: cancelleria, diario, libri… Era un modo per prepararsi agli eventi che sarebbero occorsi di lì a poco, predisporre l’astuccio significava credere di avere il controllo di quanto stava per accadere. Se ho buone penne farò meno errori. Se ho volontà farò qualcosa di buono…
E la canzone? Quando ero piccolina oltre ai Minipony mi piaceva anche Eros Ramazzotti (son cose strane, lo so!). Nell’86 i miei genitori mi permisero di stare sveglia fino a tardi per sentirlo cantare (in playback probabilmente) al Festival di San Remo. A 6 anni mi sembrava di aver raggiunto un traguardo che “dava un senso ai giorni miei” e passai tutta la domenica successiva rapita da mille emozioni prendendo poco seriamente la matematica. Accadde così che, in un freddo giorno di febbraio, la maestra, con piglio da lanciatore del peso, scagliò la mia valigetta dei regoli fuori dalla finestra, monoblocco giallo, finì giù dal secondo piano, atterrando nel giardino sul retro della scuola…
Pensate ciò che Vi pare, ma io ne ascolterei per ore… di paturnie, ruffianerie, ricordi all\’incontrario, saggezze semplici e futuriste.