Settimana 20. Di lavoro e obiettivi
E’ un post sul mio lavoro. Lo ammetto subito. Abbiate pazienza.
Come sapete mi occupo di progetti culturali. In settimana due attività a cui tenevo moltissimo, a causa di una dilagante scarsità di fondi, sono state messe in discussione. In tempi complicati di supporto ad iniziative di ogni sorta, anche quelle che davo quasi per scontate sono in bilico. Dato che la mia solita iper-emotività non ha portato a nulla, ho deciso di affrontare tutta la faccenda con una razionalità alla Arthur Conan Doyle. Il seguente post ne è la prova.
Fatto numero 1.
Mercoledì accompagno mamma a fare la spesa. Mi porta con sé come “uomo di fatica”… Un acquazzone ci sorprende nei dintorni del supermercato. La pioggia va da tutte le parti, in uno scroscio che ha davvero quel che serve per definirsi uno sfogo di luglio. Dopo qualche minuto, altrettanto improvvisamente, il cielo si apre e ogni cosa comincia a rilucere. Un’isola di cemento che sembra Avalon, tutta d’argento. Scemato il rumore della pioggia sento una musica, il bar poco distante ha le porte spalancate con gli avventori sulla soglia a godersi lo spettacolo dei tormenti estivi.
Aguzzo orecchie e istinto. “E’uno di quei momenti perfetti?”, mi domando. La radio passa “The flood” dei Take That… Eh?!? Cosa?!?!?
Alzo le spalle e mi preparo al lavoro del Sollevatore di Casse d’Acqua.
Fatto numero 2.
Vorrei fossero messe agli atti le chiacchiere fatte il giorno dopo con la mia socia su nuove direzioni, altre possibilità, diverse opportunità fuori dalla nostra città. Come si fa ad evitare che una disfatta professionale diventi anche una sconfitta personale? Problema di difficile soluzione quando “casa e bottega” sono la stessa cosa. Fondando l’organizzazione per cui lavoro non avevo fatto i conti con questo inconveniente. “Essere ciò che siamo e divenire ciò che siamo capaci di divenire è l’unico scopo della vita”, scriveva Spinoza.
Fatto numero 3.
In data 25 luglio, convinta che in un momento di sublime e disperata perfezione come quello dell’acquazzone dovesse esserci qualcosa di più, vado a cercare la canzone, il video e il testo. Scopro che, in un qualche modo, il pezzo è estremamente esemplificativo di ciò che sto vivendo. Il quintetto britannico “c’ha preso”, santo cielo!
Deduzione.
Benedetti Take That, oltre ad aver conturbato la mia pubertà, mi suggerite che i traguardi sono linee di sorpasso del tutto relative.
Porsi obiettivi è un gioco dell’Uomo a cui tutti noi partecipiamo. A volte la pratica ci fa dimenticare la regola principale anche se, in fin dei conti, è la stessa dalla notte dei tempi: spostare ogni volta il punto di arrivo un poco più avanti.
In effetti, ognuno di noi dovrebbe ormai aver capito che la partita si vince nel momento in cui consideri ciò che è possibile, oltre stupide mete approssimative… Quando abbiamo scordato che capacità di guardare lontano e una poderosa motivazione ci rendono forti?
“Although no one understood / we were holding back the flood”, Watson, il mio ragionamento contiene qualche incongruenza?!?!