Settimana 18. Del nonno
Martedì sera ho aperto la finestra e Massimo Ranieri mi è comparso davanti, nitido e cristallino, nella voce di un cantante di balera. In Romagna è tempo di Feste de l’Unità, ed è quindi anche il momento in cui casa dei miei genitori, così vicina al parco che ne ospita una, si trasforma in spettatrice suo malgrado di ascolti datati e presenze musicali da balcone.
Lasciando fuori dalla porta considerazioni politiche e di appartenenze vorrei condividere con voi piuttosto legami e ricordi. Quando ero piccola il nonno portava tutto il parentado a cena o, come diceva lui, “a mangiare”, alla Festa de l’Unità. Per una famiglia abituata a non fare vacanze estive era una bella occasione per passare qualche momento insieme. Si andava tutti, dal più grande al più piccolo. Mia nonna mangiava spiedini di gamberi per tutta la sera mentre io mi agitavo al pensiero di smanacciare i bigliettini della pesca -un anno ho vinto una bicicletta bianca e viola!!!!
Il nonno conosceva quasi tutti. La mia è una città piccola e il quartiere, quando ero bambina, era una realtà minuscola. In più, l’uscio di casa di una famiglia allargata e abituata a condividere con gli altri era confine davvero molto labile rispetto a ciò che stava fuori, la strada e il vicinato. Le facce, visi e volti della festa, erano quelle che ritrovavi il giorno dopo dal fornaio o nel campetto in cui andavi a “rubare” le albicocche.
Qualche anno fa il nonno, prima che la sua memoria cedesse e diventasse un enorme pagliaio in cui non ci sono più aghi da trovare, mi ha confessato una cosa. Si chiacchierava delle estati passate e ad un tratto se ne è uscito con “Beh, alla festa, io ci sono sempre andato anche quell’anno che ho votato Repubblicano!”. Di questo “racconta” la colonna sonora della mia settimana.
Il nonno, nella sua vita, è stato muratore. Certo, in tempi di magra è stato anche spalaneve, contadino… senza mai un ripensamento, senza mai interrogarsi su cosa volesse ma sicuro di ciò che “doveva fare”. E ricordo quanto mi piacessero a quei tempi le sue mani, erano così ruvide e grandi che le usavo come “grattatoio”. Mi piacevano meno i suoi denti. Per accontentare il senso dell’orrido di mia cugina, il nonno si toglieva la dentiera e la metteva sul tavolo. Santo cielo, al primo clac sordo dell’apparecchio in fase di rimozione scappavo come una lepre.
E’ incredibile e magico e bellissimo come qualcosa del passato possa determinare in maniera così vivida il nostro presente, ciò che siamo e viviamo. Dandogli forma, sostanza e direzione.
Insomma è tempo di festa, e come sempre, la musica si sentirà fin dentro casa, attraverso le finestre aperte di luglio, suoni che arrivano a ondate, modulati dalle auto che passano. Il babbo farà il suo giretto per ritrovare vecchi amici e tornerà a casa con un libro che leggerà dopo il “cocomero di mezzanotte”. Il gatto se ne starà seduto in terrazzo ad ascoltare musica anni 80 e ad annusare l’odore di patatine e pesce fritto che gli solletica l’appetito.
E se ora è il caso che il nonno riposi, che vada a letto presto per ovviare ad una anzianità che lo confonde, è anche vero che sentirlo domandare, pur senza cognizione di causa, “C’è la festa, andiamo a mangiare?”, mi fa sentire un po’ meglio.