Sam Shepard: Diario del Rolling Thunder (Rolling Thunder Longbook)
Il Rolling Thunder fu una sciagurata missione di bombardamento ordita dalle forze armate americane, nell’ambito della guerra in Vietnam, durata circa tre anni. Le vittime civili furono infinite e un numero preciso non si è mai riusciti a calcolarlo ma poichè le vittime son sempre vittime, in qualunque modo siano vestite, a quelle civili bisogna per forza aggiungere quelle militari e anche se non siete pacifisti, cari i miei 7 lettori, credo che visualizzare alcune centinaia di migliaia di corpi smembrati, con annesse e connesse famiglie distrutte, non possa certo mettervi di buon umore. La missione interessò anche il Laos e, sebbene non vi fu mai nessuna ammissione ufficiale, è facile immaginare che fu coinvolta la solita Cambogia, per ragioni evidenti nel detto non c’è due senta tre. Il tutto fu un vero crimine contro l’umanità ma, chissà perchè, non ci fu nessuno che mise su una nuova Yalta per punire i responsabili, responsabili che, in attesa di provare nuove tecniche di morte in future guerre desertiche, si lasciarono di conseguenza andare a interessanti esperimenti a base di napalm e robetta simile. Quasi un ritiro spirituale per chi aveva avuto il coraggio di sganciare bombe atomiche su due città popolate da civili inermi e, non dimentichiamolo mai, innocenti. Dal punto di vista militare l’operazione Rolling Thunder fu un pasticcio organizzativo che portò a una catastrofe inaudita per rimediare alla quale furono messe su un altro paio di missioni del tutto analoghe. Ci guadagnarono soltanto i soliti fornitori di carburante, i fabbricanti di bombe e i fabbricanti di aerei (ne furono abbattuti un migliaio, riuscite a immaginare quanti soldi questo può significare?). Un modo interessante per rubare denaro ai contribuenti facendo finta di fare qualcosa di importante per loro.
Noi italiani, nella nostra identità segreta di italioti, prendiamo alla leggera tutto ciò che fanno e dicono i politici, comprese le fantasiose promesse, gli scandali, l’incapacità e i disastri, dando loro sempre una seconda possibilità, e poi una terza, una quarta, una quinta e così via… dovremmo invece imparare a non perdonare niente e a chi combina un guaio evitare di dare la famosa seconda possibilità, perchè farlo? per fargli combinare un altro guaio? Per il Rolling Thunder il responsabile fu Lyndon Johnson, che allora infestava la Casa Bianca, non scordiamolo e non facciamoci ingannare dai nostri storici da quattro soldi, che lavorano sotto padrone pure loro e che per un pezzo di pane con (molto) companatico possono trattare la storia come un pezzo di pongo.
Nel 1975 Bob Dylan dichiarò guerra al New England e decise di chiamare la sua operazione Rolling Tunder. Aggiunse un Revue forse per alleggerire l’impatto che il nome poteva avere sulla gente (in fondo i reduci dal Vietnam erano molti e ancora freschi), oppure per una ennesima e originale provocazione. Il Rolling Thunder Revue era una macchina bellica perfetta, vi parteciparono decine di musicisti e artisti, tra i quali Joan Baez, Roger McGuinn, Ramblin’ Jack Elliott, Kinky Friedman, Bob Neuwirth, Scarlet Rivera, Joni Mitchell, T-Bone Burnett, Mick Ronson, Ronee Blakley, Allen Ginsberg e altri ancora. Lo spettacolo aveva qualcosa di circense o di felliniano, con i membri del gruppo che si susseguivano sul palco, truccati e no, o che si riunivano per qualche brano particolare, con intermezzi poetici, semplici intermezzi, ospiti a sorpresa e tutto quel che vi può suggerire la vostra immaginazione. Un colossale medicine show in giro tra piccolissimi locali nel rigido inverno del New England.
A Dylan venne in mente di girare un film durante la tournèe, ed ebbe la bella idea di ingaggiare, oltre alla necessaria troupe cinematografica, una persona capace che avrebbe dovuto scrivere, al volo, la sceneggiatura di questo film. La scelta cadde sul giovane commediografo, scrittore, sceneggiatore e attore Sam Shepard, che perplesso e poco convinto si unì alla carovana.
L’idea del fare un film coerente e ben organizzato si perse immediatamente all’interno del grande e variopinto carrozzone pieno di ogni genere di personaggi che possono gravitare all’interno al mondo dello spettacolo, pieno di situazioni inaspettate, paradossali, imprevedibili, pieno di artisti fumati e ancor più spesso frustrati dai lunghi spostamenti, dal freddo, dagli alberghi di plastica e dal cibo sintetico. Le riprese presto divennero casuali, improvvisate e dettate dall’ispirazione del momento di Dylan o di qualche cameraman, e il risultato finale fu intitolato Renaldo & Clara. Se riuscite a reperirlo in qualche parte sperduta di internet potrete godervi quasi 300 minuti di quello che a tutti gli effetti era il side project del Rolling Thunder Revue.
Sam Shepard capì velocemente che il lavoro per il quale era stato ingaggiato non avrebbe mai potuto svolgerlo davvero, così si limitò a viaggiare con la banda, soffrire di nostalgia per la California, dare una mano alla troupe cinematografica e tirare giù note e pensieri. Abbandonò la carovana quando questa sconfinò in Canada e la raggiunse ancora in occasione del grande concerto per Rubin Hurricane Carter, al Madison Square Garden e non la seguì quando, nel 1976, si spostò in zone più calde e accoglienti degli States. Gli appunti che scrisse, integrati da un bel po’ di foto, sono il libro di cui stiamo maldestramente cercando di parlare.
Lo stile di Sam Shepard è scarno e distaccato perchè, da buon commediografo, sa guardare i suoi personaggi seza farsi coinvolgere troppo, ma è anche pieno di piccoli particolari interessanti e meravigliosamente inutili. Il carattere originario da “appunti di viaggio” di questo lavoro viene facilmente alla luce in una impaginazione a metà tra le costruzioni poetiche futuriste e quello che nelle intenzioni vorrebbe essere uno stile retrò e che invece è semplicemente uno stile un po’ logoro. Un libro che si legge tutto d’un fiato e che, se si conosce appena un po’ la storia dei personaggi che lo popolano, fa accendere una bella serie di lampadine nel cervello. In caso contrario ci si può fare accompagnare da Shepard nelle sue piccole e inconcludenti fughe nella provincia americana più triste e sgangherata, tra empori ove si può comprare tutto quel che l’immaginazione può suggerire, cioè burro d’arachidi e funi, e personaggi a metà tra l’operetta satirica e la tragedia greca. I contenuti di questo libro contano meno dello stile che, non lo dimentichiamo, appartiene a uno dei migliori commediografi contemporanei americani, eppure sono davvero importanti, se si è veri Dylaniani o seri Dylanologi.
Pagina 18: Phil Ochs è strafatto.
Phil Ochs era un meraviglioso cantautore di protesta, critico musicale e perspicace giornalista che Bob Dylan si accorse di odiare più o meno all’epoca del passaggio dall’acustico all’elettrico.
Alcuni Dylanologi sostengono che Like a Rolling Stone sia dedicata a lui, ma io non lo credo, come non credo alla tesi di Joan Baez che la vorrebbe scritta per Bob Neuwirth: a Joan sarebbe piaciuto, poichè detestava Neuwirth, ma i due Bob in realtà si stimavano a vicenda ed erano troppo amiconi, questo rende la tesi della Baez francamente insostenibile. Like a Rolling Stone è chiaramente un invettiva contro qualcuno che Dylan odia e ama al tempo stesso: se’ medesimo. A Phil Ochs, secondo la mia opinione, dedicò Positively 4th Street, una canzone molto più feroce e cattiva.
Cosa portò alla rottura tra i due artisti? in realtà nessuno lo sa davvero, i vari biografi pensano che tutto naque da una piccola critica di Ochs a una canzone di Dylan, Subterranean Homesick Blues, ma io penso che entrambi fossero troppo intelligenti per una simile sciocchezza. La mia personale teoria è che in Phil Ochs Bob Dylan vedesse quello che i fan cercavano in lui: un folksinger duro, puro, impegnato e pronto a guidarli nella rivoluzione. Bob che non voleva aver problemi di coscienza, decise di allontanare Phil da sè, per vivere più sereno e potersi dedicare alla musica che preferiva senza qualcuno che gli ricordasse come era giunto alla fama e chi aveva deluso a una svolta del proprio cammino. Qualunque sia la verità la storia ci racconta che Dylan, a un certo punto, non sopportava neppure di sentir parlare di Phil Ochs o anche solo di ascoltarne il nome. Allora che cosa ci faceva Phil Ochs nel Rolling Thunder Revue? Sam Shepard ci dice solo che era strafatto ma i Dylanologi sanno com’era andata veramente la storia: qualcuno disse a Bob che Phil era in condizioni psicologiche davvero cattive e Bob dimenticò istantaneamente tutte le ragioni, reali o inventate che fossero, che lo avevano portato a detestare l’amico e gli offrì subito un posto nella sua nuova tournèe, nel tentativo di dargli interessi che riuscissero a riportarlo alla vita. Phil Ochs decise di rinunciare alla vita l’anno seguente ma è bello per tutti noi dylanologi, dylaniani o semplici passanti, pensare che ha potuto percorrene l’ultimo tratto insieme al suo vecchio e caro amico Bob Dylan.