Rolling Stones Rock and Roll Circus
Voi non ci crederete ma qualche giorno fa ho incontrato un tizio che regolarmente legge questo sito e quando gli ho rivelato che ne curo una rubrica il tizio ha cominciato, senza alcun preavviso, a farmi domande strane, relative a vari aspetti della vita, della politica, della musica, come se io potessi avere risposte rivelatorie e determinanti. Prima che il discorso piombasse sull’esistenza di Dio, con una scusa l’ho mollato sul posto e sono tornato a occuparmi dei fatti miei, fatti che sì, occasionalmente possono sfiorare anche argomenti alti, e che di tanto in tanto sono buoni per aiutarmi a costruire delle opinioni. E queste opinioni a volte son proprio giuste ma più spesso si rivelano clamorosamente sbagliate.
Scrivere su internet, su un giornale o parlare dallo schermo di un telegiornale non rende saggi, né sinceri, né autorevoli, né altro. Cercate di capirlo una volta per tutte: l’opinione di quella gente vale esattamente quanto quella di tutti noi, un cazzo di niente. Non esistono guru, fari, maestri o indicatori di vie e verità speciali, esistete soltanto voi, ragazzi, e dovete imparare a viaggiare carichi di antivirus da lanciare in continuazione, per difendervi da tutte le stronzate che vi aggrediscono, che leggete su internet, sui giornali, che ascoltate in televisione, che vi arrivano da mille falsi maestri. Imparate a dubitare di tutto, a non dare mai nulla per scontato, a leggere tra le righe, ascoltare tra le parole, rischiando anche di diventare asociali, musoni e brontoloni. Scoprirete un nuovo mondo dove sarà impossibile fregarvi. Nessuno vi restituirà mai il tempo che perderete appresso ai dispensatori di certezze, ai santoni, agli equilibristi del pensiero e a tutti quei pezzi di merda che hanno come unico obbiettivo quello di portarvi via qualcosa, perciò agite di conseguenza.
E leggete Dante, accidenti a voi, è tra i frutti migliori che questa disgraziata penisola ha mai prodotto e che il 95% dei suoi abitanti non ne abbia mai sbirciato più che qualche riga è assurdo. Se non lo fate a perderci sarete soltanto voi mentre a guadagnarci saranno tutti coloro che vi preferiscono ignoranti per ragioni che, se siete ignoranti, non siete neppure in grado di capire. È ora di darci una mossa tutti insieme. Dai.
Il collegamento con gli Stones trovatelo voi.
Quelli della mia età (o forse dovrei dire del mio secolo) hanno convissuto per anni con il mito del Rolling Stones Rock and Roll Circus. Ne circolavano soltanto delle immagini e, da qualche parte, dei bootleg, ma niente di più. Forse sarebbe il caso di spiegare ai più giovani il significato della parola bootleg e l’eccitazione che coglieva, noi poveri provinciali d’italico ceppo, quando ci riusciva di mettere le zampe addosso a uno di loro, ma non stiamo qui a far poesia, miei cari 7 lettori, stiamo qui, invece, a fare un lavoro duro ma che qualcuno deve pur bla bla bla.
L’11 dicembre 1968 i Rolling Stones radunarono un po’ di amici e girarono uno special televisivo che avrebbe dovuto essere trasmesso poco tempo dopo ma che invece non andò mai in onda. Circolarono però, e ci fecero sognare, le immagini di questo spettacolo e quelle immagini, estratte dalla pellicola girata, ci mostravano i nostri eroi in abiti bislacchi, in una specie di sogno felliniano popolato da nani, ballerine, domatori di leoni, equilibristi, trapezisti, donne cannone, scimmie ammaestrate e cani parlanti. Lo so che vi sembra una allegoria del paese nel quale viviamo, invece è soltanto il circo.
Molte erano le versioni sulla ragione per la quale la registrazione non venne mai trasmessa, una delle più accreditate era che gli Stones rimasero impressionati dalla performance degli Who e che, per evitare uno spiacevole confronto, affossarono il progetto, anche se ormai era stato portato a termine. Un’altra versione dice che alla fine si resero conto di avere realizzato qualcosa di scadente e decisero di lasciarselo semplicemente alle spalle.
Io la penso diversamente. Credo che loro si aspettassero un risultato, tra immagini, luci, suoni, che la tecnologia e soprattutto l’organizzazione di allora non era in grado di raggiungere perchè si era ancora in una fase pionieristica e che, conseguentemente, decisero di mettere via il Rock and Roll Circus semplicemente come mettevano via le canzoni che non ritenevano adatte per essere inserite nell’ultimo album. Per il prossimo, per il futuro.
Il futuro è arrivato e il Rolling Stones Rock and Roll Circus è qui, a disposizione di tutti. E, lasciatemelo dire, non è così male come ci dicevano, anzi. E’ vero, la performance degli Who è spettacolare e il solo vedere suonare Keith Moon vale il prezzo del DVD, ma gli Stones tengono duro e fanno la loro bella figura, credete a me, cari i miei 7 lettori.
Presentati come numeri del circo, e inframmezzati a veri numeri del circo, la prima parte dello spettacolo vede in primo piano gli ospiti, e che ospiti, ragazzi! Si comincia con i Jethro Tull che eseguono Song for Jeffrey, alla chitarra c’è nientepopodimenoche Tony Iommi, un attimo prima di aggredire il mondo con i Black Sabbath, e Ian Anderson si scatena in tutti gli stereotipi che lo riguardano. Un inizio davvero bello e promettente, ma ci conviene andare avanti che non abbiamo mica tempo da perdere. Gli Who si presentano con A Quick One While He’s Away, parte di quello che, anticipando Tommy e Quadrophenia, è il loro primissimo tentativo di opera rock. L’introduzione a cappella li mostra divertiti e strafottenti e quando attaccano a suonare…bé si comincia veramente a credere alla storia degli Stones spaventati dal raffronto. Keith è fuori di testa, in senso buono, Pete non è da meno e, a parte la distruzione degli strumenti che questa volta sono risparmiati, ci sono tutti i classici ingredienti Who moltiplicati per dieci. Una performance da vedere a tutti i costi e se non lo fate non siete più miei amici. Fannulloni! Taj Mahal, con Ain’t That A Lot of Love, mostra a tutti com’è il tipico blues elettrico bianco, cantato però da un nero, mentre Marianne Faithfull, nel fiore degli anni, ci fa capire come fece a diventare una icona pop nonostante una voce non proprio bellissima, né particolarmente intonata. Per la cronaca canta Something Better.
Ma ecco, ladies and gentleman, il momento che tutti noi stavamo apsettando, quello per il quale abbiamo pagato il biglietto e aspettato una quarantina d’anni per vedere lo spettacolo: The Dirty Mac, alias Mitch Mitchell dai Jimi Hendrix Experience, Eric Clapton dai Cream, Keith Richards dai Rolling Stones eccezionalmente al basso e (tatatan) John Lennon dai Beatles. Eseguiranno per voi, tratto dal White Album, Yer Blues!
E il brano è suonato in maniera splendida, esattamente come ce lo siamo immaginato, con il basso di Keith capace di creare una solidissima base per la strepitosa voce di John, con Eric che fa alla perfezione quello che sa fare meglio e con Mitch, questa volta non cotonato, a tenere perfettamente insieme tutto quanto. Cosa mai potrebbe rovinare questo magico momento? Il brano successivo.
Io non sono tra i detrattori di Yoko Ono, tutt’altro, bisogna però dire che lei nel periodo in cui il Rock an Roll Circus fu realizzato cercava una sua via musicale originale, diametralmente opposta a quella che aveva reso famoso suo marito e questa sua ricerca si concretizzava in urla varie eseguite sopra quello che i musicisti suonavano. Probabilmente all’interno di un movimento di musica concettuale, o contemporanea, il suo lavoro aveva un senso ben preciso e una grande dignità, ma presentarlo a un pubblico che amava il rock’n’roll non fu certo una grande idea.
Il brano che canta nello show si intitola Whole Lotta Yoko, ed è eseguito con Ivry Gitlis al violino e i Dirty Mac come backing band.
La seconda parte è occupata interamente dagli Stones con Jumping Jack Flash, Parachute Woman, No Expectations, You Can’t Always Get What You Want, Simpaty For The Devil, Salt Of The Earth. La performance, anche se non adrenalinica come quella degli Who, è perfettamente nella loro media, con un Mick Jagger particolarmente gasato e saltellante. In Parachute Woman Mick si esibisce anche all’armonica, che ancora non padroneggia come poi farà in seguito, mentre in Simpathy for The Devil sfoggia un finto tatuaggio a tema demoniaco che, ai tempi, suscitò non poche critiche. È No Expectations a mostrare gli Stones migliori, con Brian Jones a una slide tiratissima e uno Jagger che controlla la voce in modo magistrale. Un brano magnifico. Salt of The Earth è l’apoteosi finale cantata insieme al pubblico che, scatenato, balla senza freno alcuno.
Il DVD è godibile, soprattutto se siete amanti di un certo periodo storico/musicale e di determinati artisti e la presenza di alcuni contributi speciali lo rende particolarmente appetibile. Un pezzo della follia e della dolcezza degli anni ’60, non potete certo farvelo scappare.