Quadrophenia
Quando il film di cui tenterò di parlarvi nelle prossime righe, uscì nelle sale cinematografiche italiane, noi avevamo più o meno la stessa età dei ragazzi la cui storia era narrata sullo schermo e anche se questa storia era ambientata nel decennio precedente, i simboli, i valori e i disvalori di cui parlava erano ancora attualissimi, forse perchè in quei giorni lontani la civiltà bruciava le sue tappe a un ritmo un po’ più lento che ora, oppure perchè davvero poco era cambiato.
Cosa può capire di Quadrophenia un ragazzo del nuovo millennio, i vestiti? i fanali delle lambrette? forse, sì, certo non le speranze, i problemi e, perchè no? gli ideali che vi sono rappresentati, anche perchè il nostro attuale Grande Fratello ci ha dapprima convinto che le ideologie sono, senza distinzioni, sbagliate per principio (ma non è questa anch’essa una ideologia?) e giacchè c’era ha dato un colpo di spugna anche al concetto di Ideale e poi a quello di Idea lasciandoci infine come lupi allo sbando, o forse come sciacalli, liberi solo di pensare al nostro presente e alla nostra sopravvivenza, nutriti di telefonini, televisione e altre cose molto più utili dell’autodeterminazione e della coscienza sociale. Direi che se ci siamo lasciati fare tutto ciò, senza neppure provare a mettere in ballo il libero arbitrio che dovrebbe toccarci di diritto, sicuramente ce lo siamo meritato, no?
Quadrophenia è un’opera rock scritta da Pete Townshend e incisa dagli Who verso la fine del 1973, i fatti di cui parla risalgono a qualche anno prima e, sia ben chiaro, gli Who non hanno mai avuto niente a che farci. Come spesso succede a farli diventare dei Mods fu il loro manager che pensò di sfruttare in questo modo il nascente movimento giovanile, o meglio la subcultura, “modernista”. Pete Townshend che veniva da una scuola d’arte ribollente di progetti, sfide e innovazioni, accettò subito l’idea, felice di dichiararsi parte di una corrente pseudoartistica, dei suoi simboli e delle derivanti e devianti provocazioni. La musica non c’entrava niente. La musica dei Mods era quella che suonavano i gruppi che si dichiaravano Mod o quelli che loro pensavano lo fossero, per esempio i Beatles, ma non c’erano dei veri canoni stilistici, a influenzarne le scelte. Esistevano invece per l’abbigliamento che doveva essere il più elegante possibile compatibilmente con i pochi soldi che circolavano nelle tasche e così i Mods fecero la fortuna dei rivenditori di vestiti usati e di certi mercatini Londinesi ancora oggi piuttosto in auge.
Ma chi erano i Mods, al di là delle Lambrette, dei parka, e di tutti gli altri simboli che si portavano appresso? la risposta a codesta domanda è facile, assai più di quanto pensiate: erano semplicemente figli del loro tempo! verso la metà degli anni ’60 i ragazzi di una intera generazione presero coscienza della realtà che li circondava, della società nella quale vivevano e capirono di volere cambiare le cose. Poi chiesero al potere (che chiamarono “gli adulti”) la facoltà di decidere delle proprie vite, del proprio futuro e del propri percorsi di pensiero, domandarono una nuova morale o, in alternativa, di correggere quella comune. Naturalmente il “potere” non capì e, invece di aprirsi alla comprensione, e magari evolversi, si mise di traverso e finì con il creare molti più problemi di quanti fossero necessari. I giovani, o comunque gli antagonisti, cercarono allora di creare una cultura alternativa che per mancanza, grazie al cielo, di organizzazione sfociò in una miriade di movimenti colorati e bellissimi, in una marea di tendenze alternative, pensate agli Hippie e agli Yippie in america, per esempio. Quello Mod era uno di questi movimenti, inglese, apparentemente non politicizzato e dedito soprattutto all’esaltazione dell’esteriorità più superficiale, era in realtà espressione del proletariato e del subproletariato e raccolse adesioni da molti esponenti della comunità artistica londinese, spontanee o studiate che fossero. Per i ragazzi era semplicemente la possibilità, la speranza, di uscire da un destino già scritto, da una vita già vissuta da milioni e milioni di altri esseri umani. Certo, far parte di un gruppo di elegantoni motorizzati non credo sia la maniera più intelligente per costruirsi un avvenire migliore, ma e meglio che niente, no? i Rockers erano un gruppo analogo, differivano dai Mods soltanto per i mezzi con i quali si spostavano, moto di grossa cilindrata anzichè scooter, e per i vestiti, rigorosamente in pelle. Inoltre loro amavano il rock’n’roll classico e tutti i gruppi che non si dichiaravano mod, come per esempio i Rolling Stones ma anche, e perchè no? i Beatles. Brighton è una città balneare a sud di Londra, meta classica di pensionati e famiglie e gli scontri tra Mods e Rockers, narrati da Quadrophenia, avvennero realmente lì e altrove, nella metà degli anni ’60 e, lo ripeto, gli Who non ebbero nulla a che farci.
Pete Townshend ha sempre amato il concetto di Opera Rock e in Quadrophenia, più ancora che in Tommy, è riuscito a sviscerarlo nei modi che preferiva, non solo tramite la scrittura delle canzoni, ma anche mantenendo il controllo assoluto di ogni aspetto della realizzazione dell’album e possiamo dire che il film ne è una diretta conseguenza. I contenuti sono sempre quelli a lui cari, riassumibili nel suo famoso concetto “terra devastata adolescenziale”: disordine mentale, uso di surrogati in sostituzione dei valori comuni, solitudine, incomprensioni, futuro incerto, violenza. Il titolo dell’opera è un diretto richiamo alle più recenti tecnologie (a cui Townshend era molto attento) per la registrazione e riproduzione del suono e anche un neologismo per descrivere i sintomi di personalità dissociata di cui soffre Jimmy, il protagonista. E il contesto “Mod” nel quale il personaggio si muove possiamo definirlo “accidentale” essendo solo uno dei tanti possibili, poichè il disagio e i problemi raccontati erano, sono, ahimè universali.
Quando Quadrophenia, il film, è uscito nelle sale, come già sapete io e i miei amici avevamo una età vicina a quella dei suoi protagonisti e non ci fu difficile identificarci con loro, capire il vero argomento della storia, anche se ormai molti anni erano passati da quel ’64 che veniva narrato dalla pellicola. In Italia avevamo appena vissuto una stagione importante, quella del ’77, e molti temi erano ancora attuali, non ultimo la famosa e quasi mistica “impossibilità di essere normali”.
Quadrophenia, prodotto dagli stessi Who, non è un musical, come lo fu la trasposizione per il grande schermo dell’altra splendida loro opera rock, Tommy, a Frank Roddam, anche sceneggiatore, fu affidata la regia di un film a basso costo e lui riuscì a trarne, secondo il mio inutile parere, un piccolo capolavoro. In Quadrophenia non c’è l’esegesi del movimento subculturale Mod, ma alcuni giorni di un gruppo di Mods, ovviamente idealizzati, e di uno in particolare pieno dei soliti problemi di cui Townshend amava parlare e che, forse proprio per questo e nonostante il suo volere fortissimamente far parte di quella che considera quasi una comunità e le sue enormi aspettative in proposito, non è un vero Mod ma solo un ragazzo che avrebbe bisogno di aiuto, di tornare a casa (Love Reign O’er Me). Se si guarda bene l’inizio si capisce che Quadrophenia termina con la speranza di un domani migliore per il protagonista, senza falsi e inutili miti.
Se non lo avete mai fatto, miei cari 7 lettori, vi consiglio caldamente di tuffarvi in Quadrophenia per nuotare tra parka, pantaloni a tubo, giacchette attillate, lambrette, fanali, specchietti retrovisore e tutte quelle icone mod adottate poi in parte dagli amanti dello ska. In qualche modo sarà un momento di crescita e comunque ne varrà la pena, anche solo per le fantastiche canzoni degli Who.
God Bless You (and forgive all of us)