Mississippi Adventure
Mississippi Adventure, titolo nostrano di Crossroads, non ebbe grandi recensioni alla sua uscita italiana, nel 1986 ma, per una volta, i critici vanno parzialmente assolti: il blues non era di moda, non quello vero, e nella parola blues, quasi come adesso, ci si infilava un po’ di tutto, soprattutto chi lo citava nel proprio background, dagli Stones a Miles Davis a Jimi Hendrix a Stevie Ray Vaughan a Robert Cray scordando, oppure ignorando, che il blues è una musica sì semplice, ma rigorosa, con pochissime variazioni alle sue 12 battute e anche queste strettamente codificate. In pratica se Eric Clapton si sentiva l’araldo del blues non era mica detto che lo fosse veramente!
Nel 1986 era poi venuta alla ribalta una nuova categoria di chitarristi e tutti gli altri apparivano come sorpassati e obsoleti: stiamo parlando dei virtuosi, quelli che analizzavano e studiavano ogni tipo di scala musicale esistente e non esistente e dopo la suonavano a velocità supersonica, usando il tapping con tutte le dita delle mani e probabilmente anche con quelle dei piedi oppure facendo uso di pennate con nomi bizzarri e stravaganti.
Nuovi Eroi stavano sorgendo, Steve Vai il più appariscente, a seguire Joe Satriani, George Lynch, Jennifer Batten, Kirk Hammet, Paul Gilbert e molti altri, tutti bravissimi e sgargianti. Il blues nel 1986 veniva accreditato a chiunque accennasse una pentatonica o infilasse anche solo di striscio, in una canzone, oltre all’accordo di tonica anche una dominante e una sottodominante, veniva accreditato a chiunque svisasse in modo bluesy ma, attenzione, tutto questo avveniva non in malafede ma per banalissima ignoranza e se adesso molti musicisti continuano a definirsi blues, anche se suonano jazz, easy listening, pop per ragazzine o musica demenziale, i critici hanno imparato la differenza tra i generi abbastanza bene (anche troppo bene) e se gli si presenta davanti uno con gli zatteroni, la faccia dipinta e i capelli cotonati che dice di fare blues si fanno una risata e lo spediscono a fare una audizione dai Kiss.
Mississippi Adventure contiene elementi che nel 1986, ai nostri critici, sembravano sciocchezze senza alcun senso e che invece erano e sono parte della storia del blues, del sud degli States. Se questo film uscisse oggi sarebbe letteralmente osannato dalla stampa specializzata, il regista e gli attori sarebbero portati in trionfo e bersagliati con decine di Oscar, gli strumenti musicali usati verrebbero prodotti in serie speciali e così via.
Si tratta di un film sul blues e sui suoi oggetti: il mojo della Luisiana, il cappello da musicista, la pistola nella cintura. Un film sulla società nel quale si è sviluppato il blues: separazione razziale, polizia corrotta, papponi, campagna sconfinata, fienili, case di legno. Un film sulla gente del blues: campagnoli ignoranti, hobo, prostitute, musicisti spregiudicati e violenti. Un film sui miti del blues cioè tutto quello che abbiamo appena citato più il crocicchio, il diavolo, il contratto. Ed è anche un film pieno di ottima musica blues, originale e no ma sempre torrida e viscerale, suonata dal grande Ry Cooder alla chitarra slide e dal mitico Sonny Terry, solo pochi mesi prima della sua morte, all’armonica. E c’è anche il virtuoso Steve Vai a eseguire tutte le parti chitarristiche non blues e nel ruolo del campione rappresentate il demoniaco Scratch.
La trama del film è molto semplice: Eugene, un ricco ragazzino, talentuoso studente di chitarra classica ma innamorato del blues del Delta, fa evadere l’anziano Willie Brown da una specie di casa di riposo criminale e lo conduce fin nel Mississippi, nella speranza che alla fine gli venga rivelata la leggendaria e mai incisa trentesima canzone del mitico Robert Johnson del quale Willie Brown, armonicista, fu vecchio compagno di viaggi, avventure e musica. In realtà l’anziano musicista desidera tornare a casa non a causa di improbabili nostalgie ma per tentare di riscattare la propria anima che, come l’antico partner, nel crocicchio aveva venduto al diavolo, per potere imparare il blues.
Eugene non si accorge che il loro cammino è una riproposizione di quelli che nel Delta avvenivano continuamente e che vedevano un musicista più giovane accompagnarsi con uno più esperto che gli insegnava i segreti del mestiere, quelli della vita, quelli della musica. Nel suo viaggio iniziatico Eugene scoprirà che il suono che attribuisce al blues insieme a tutti i miti che da sempre lo accompagnano furono creati dalla povertà e dalla necessità più che dall’arte in se stessa, incontrerà l’amore disperato, la paura, la legge, la violenza, il furto e tutto questo, unito al suo innegabile talento, lo trasformerà in un vero bluesman, talmente sicuro di sé da non farlo esitare neppure un istante davanti alla sfida lanciatagli dal diavolo al crocicchio: la battaglia di chitarre! La battaglia lo vedrà opporsi a Steve Vai/Jack Butler, un tizio che, dopo aver ceduto la propria anima, è diventato un virtuoso della chitarra elettrica alla…Steve Vai! E questo è il grande errore del diavolo, perchè la sua creatura andando fuori dal seminato, dal blues, si è avventurata in territori che lui non conosce molto bene e che non ha saputo insegnargli in modo completo. Eugene però è un genio della chitarra classica, questi territori li percorre con facilità e con un po’ di fughe e qualche trillo distrugge il campione infernale, riscatta l’anima di Willie Brown e con lui riparte verso nuove strade blues, forse verso Chicago.
Mississippi Adventure è un film di Walter Hill, interpretato da Ralph Macchio, Jami Gertz e dall’inimitabile Joe Seneca e non risente per nulla dei suoi cinque lustri di vita. Se non l’avete mai visto oggi è un buon giorno per farlo.