Minima n°6
La musica non è solo nel pentagramma o tra le dita di un musicista, la musica è ovunque: nel rumore di un altalena, nello scorrere di un rosario, nel suono di un pallone che, colpito con forza, rimbalza per terra o contro le mani avversarie.
Io non ho il diritto di parlare. Altri lo fanno, criticano e occasionalmente esprimono giudizi a volte estremamente pesanti, ma evidentemente loro hanno la coscienza pulita. Io invece, tra i più entusiasti a fine campagna acquisti, dicevo a tutti che avremmo vinto il campionato senza lasciare neppure un set alle avversarie. Mi dite con che faccia potrei fare “il tecnico della domenica” adesso che veleggiamo più o meno a metà classifica?
Fare “il tecnico della domenica” non serve a nulla, ma in qualche modo è gratificante, è l’esercizio che conduce a una vecchiaia illuminata, quando finalmente ci si potrà fermare nei pressi dei più misteriosi lavori stradali e istruire gli operai che si stanno impegnando al massimo, sporchi di sudore e magari calati dentro una buca maleodorante, con consigli vincenti: “Ma va la’, non lo vedi che il tubo è troppo grosso?”, “Quel raccordo non va bene per il gas…ah è l’acqua? allora serve il camucco da sei! come cos’è il camucco? mio cognato lavorava alla Stipel, adesso ha un orzaiolo!”. Anch’io sono un allenatore della domenica, lo confesso con un certo imbarazzo, ma almeno le mie visioni tecniche le tengo per me stesso, visto che ci tengo a mantenere un certo decoro e comunque, come vi ho detto, non ho il diritto di parlare.
D’altra parte, diciamoci la verità, che gusto ci sarebbe a vincere sempre? voi vorreste farlo? vorreste perdervi il piacere di sentire quel lieve dolore che prende a una nuova sconfitta e sostituirlo con l’arrogante sicurezza che si tratta solo di un passo falso in un cammino denso di stupende vittorie annunciate? vorreste cominciare a sentirvi superiori per qualcosa che non è neppure merito vostro e trattare gli altri con superiorità per qualcosa che non è neppure colpa loro? lo sapete che questo si chiama razzismo vero? anche se applicato allo sport qualcuno osa definirlo tifo. Il tifo è un’altra cosa, mettiamocelo bene in testa. Si dice che chi vince sempre è antipatico e io ne sono fermamente convinto perchè chi vince continuamente perde l’umiltà e quando si perde l’umiltà, man mano che succede, l’autoconsiderazione aumenta proporzionalmente, fino al punto in cui ci si comincia a credere superiori per editto reale e autorizzati a qualunque maneggio pur di rispettare i propri standard, anche se questo per ora riguarda altri sport e non ancora la pallavolo dove una squadra può vincere la Coppa Campioni e poi ritirarsi dall’attività il mese seguente, per mancanza di fondi.
Sono i perdenti che ispirano simpatia, quelli per cui la vita è sempre in salita, quelli che debbono guadagnarsi ogni centesimo, ogni punto, quelli fuori dai pronostici, gli outsider come gli anglofoni amano chiamarli. Quanti sono coloro che hanno cantato i perdenti? volete un elenco provvisorio? eccolo qui: Ray Charles, Motorhead, Black Sabbath, Black Label Society, Social Distortion e poi il grandissimo Johnny Cash, i Beatles e colui che incarna alla perfezione il concetto, colui che avrebbe potuto essere immenso ma semplicemente non poteva farlo, l’indimenticabile Johnny Thunder
Sia chiaro l’elenco è lunghissimo perchè la materia che stiamo trattando viaggia di pari passo con la storia dell’umanità e non si può fare altro che sentirsi sempre e comunque solidali con chi perde il treno, con Pete Best, Ian Stewart, Stuart Sutcliffe. La letteratura è piena di magnifici perdenti e pessimi perdenti, dai Miserabili di Victor Hugo ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, da Pian della Tortilla di John Steinbeck a Cuore di Cane di Michail Afanas’evič Bulgakov, perchè è dal dolore che nasce l’arte, la poesia, la musica, è la sete di rivalsa che alimenta il genio. Senza i perdenti questo mondo non avrebbe nulla di bello. E ditemi, che cos’hanno gli altri? We Are The Champions, che se la suonano ogni volta non sapendo che altro suonare? se la tengano, noi perdenti abbiamo tutto il resto, nulla da dimostrare e tutto da conquistare.
La mia squadra è stata costruita tra fuochi d’artificio, proclami, slogan accattivanti e sogni di grandezza, ma sta facendo del suo meglio per entrare nella categoria più epica, con quattro sconfitte in nove partite e veleggiando a ridosso di squadre che, sulla carta, dovrebbero stare dietro. E c’è una bellezza in tutto questo, nel non riuscire ad accedere allo straordinario per rimanere nell’ordinario e, come un Bodhisattva sportivo, pensare prima agli altri che a se stessi e fare qualcosa in merito: vincere porta alla perdizione, alla vanagloria e quindi regalare una sconfitta ogni tanto ai propri tifosi è un gesto d’amore, un modo per mantenerli umani e con tutti i sentimenti al posto giusto.
Pillole campionatesche. Abbiamo vinto. Contro una squadra nata quest’anno e costruita da zero e che sulla carta è molto, ma molto, più debole di noi abbiamo lottato fino all’ultimo punto per non buscarle e ce l’abbiamo fatta, ma Conegliano merita tutti i complimenti possibili. Valentina Fiorin era la magnifica ex della partita che, con 16 punti ha dimostrato tutto il suo valore. Grazie Valentina per i due anni che hai trascorso con noi, non ti abbiamo dimenticata.
Il campionato vede in testa Busto che quest’anno ha perso fuoriclasse del calibro di Aneta Havlickova, Helena Havelkova e Floortje Meijners, senza considerare Chiara Dall’Ora sostituita degnamente da una campionessa come Valentina Arrighetti e che, nonostante tutto, traballando magari anche un po’, è sempre lì in vetta. Complimenti anche se un po’ mi dispiace per loro, giacchè quando si è al vertice si può solo scendere mentre noialtri che stiamo a metà classifica possiamo anche salire, oltre che scendere ulteriormente.
Avete notato che non parlo molto della mia squadra, ma la ragione mi sembra logica: se lo facessi non sarei credibile e poi come vi ho detto precedentemente per me la squadra sono le ragazze che entrano in campo, non la società della quale non mi importa nulla, però non credo sarebbe possibile scindere le due cose in un discorso un po’ strutturato, quindi passo. La società potrebbe però fare qualcosa di speciale per catturare la mia fiducia e rendermi orgoglioso, per esempio ringraziare le ex contro le quali giochiamo e offrire loro dei fiori, oppure organizzare finalmente una partita d’addio per la nostra grande bandiera, Maurizia Borri, passata quest’anno nello staff tecnico. Allora sì che le cose cambierebbero e potrei cominciare a scrivere qualcosa di serio sulla mia squadra, senza distinzioni di sorta. In ogni caso una citazione di merito per Momo Ravetta non posso esimermi dal farla, non solo per le sue prestazioni che a ogni partita sono sempre migliori, ma per la sua umiltà e perchè nessuno si è ancora accorto che è in testa alla classifica di rendimento della lega, per il ruolo di schiacciatrice. Grazie Momo.
Il più bell’articolo sul volley che io abbia mai letto.