Minima n°4
La musica non è solo nel pentagramma o tra le dita di un musicista, la musica è ovunque: nel rumore di un altalena, nello scorrere di un rosario, nel suono di un pallone che, colpito con forza, rimbalza per terra o contro le mani avversarie.
Pillole campionatesche positive: la mia squadra ha vinto la prima partita in trasferta e alla sesta giornata abbiamo più o meno le stesse vittorie e gli stessi punti che l’anno scorso avevamo totalizzato nel corso dell’intero campionato, è confortante.
Pillole campionatesche meno positive: la vittoria in trasferta è stata ottenuta contro una squadra che aveva già perso le precedenti cinque partite, quindi è meglio non entusiasmarsi troppo. Quella squadra era Bologna/Forlì che, lo sapete, schiera Federica Stufi e Sofia Arimattei, due ex alle quali sono molto affezionato, di conseguenza sono triste per loro.
Mi è stato chiesto più volte come mai tengo tanto alle ex giocatrici della mia squadra e ho sempre cercato di spiegarlo meglio che potevo, tuttavia non credo di essere mai riuscito a farmi capire, e questo a causa forse dei differenti modi di ascoltare la vita che spesso ci fan sentire le parole che giungono alle nostre orecchie come formulate in una idioma estraneo pur se chiaramente appartenenti alla lingua italiana e messe insieme abbastanza dignitosamente, con i congiuntivi a posto e tutto il resto. Ognuno di noi attraversa gli anni che gli sono concessi in maniera unica e interpreta quel che lo circonda seguendo la propria via, non certo la mia, quindi non voglio affermare che il mio modo di vedere le atlete che han fatto parte in passato della compagine pallavolistiche che sostengo sia quello giusto. E’ il mio modo, semplicemente, e credo che sia un bel modo perchè riguarda argomenti belli come l’amore.
L’amore per un team sportivo è una cosa che, se pur comunissima, è abbastanza strana, non credete? non sto parlando di tifo che quello è un affare diverso spiegato e interpretato da sociologi, filosofi, marinai, ciclisti, truffatori, santi, poliziotti, spazzini, maestri e milioni di pressapochisti. Parlo d’amore o di qualcosa che gli somiglia, qualcosa che quando la stagione è finita ti fa pensare che sarebbe bello se ci fosse ancora almeno una partita, qualcosa che rende identiche le vittorie e le sconfitte perchè son tutte ormai passate. Viene tutto da lì, dallo stesso amore che ti fa sentire uno straccio nel vedere in televisione il corpicino straziato di un bimbo di Gaza, da quell’amore che ti fa arrabbiare nell’assistere all’ennesimo spot che il telegiornale fa in favore di un tizio detentore di una pensione d’oro integrata con lo stipendio da senatore a vita investito, non tramite il popolo, della carica di Presidente del Consiglio, sì proprio quello che ha rifiutato l’appannaggio che spetta al capo del governo per far bella figura (tanto gli altri due vitalizi mensili, insieme, fanno l’equivalente di quattro anni di lavoro di un operaio medio) e che poi ha preso a promulgare leggi che colpiscono esclusivamente e costantemente i più deboli e le istituzoni che fanno grande una nazione, come la scuola, facendo sempre salvi i ricchi, i senatori, i deputati e i portatori sani di pensioni d’oro come lui. Viene dallo stesso amore che ti fa sentire parte di qualcosa di importante quando ascolti una canzone di Bob Dylan e che se se quella canzone è Brownsville Girl, scritta con il grande Sam Shepard, ti fa sentire pure immerso in qualche meraviglioso paesaggio americano diviso in due da una strettissima striscia di asfalto. Li avete visti anche voi i film On The Road made in usa, no? avete letto anche voi Jack Kerouak, vero?
Avete capito di cosa sto parlando, adesso? perchè guardare una partita di pallavolo è esattamente come andare a mangiare una pizza con gli amici o leggere il Maestro e Margherita di Michail Afanas’evič Bulgakov: ci si fa coinvolgere dalle storie, dai personaggi e dagli interpreti, scritti in punta di penna o seduti a smandibolarsi una quattro stagioni. Non li si dimentica tornando a casa o rimettendo il libro a posto, fanno parte della tua vita, sono nella tua testa, nei tuoi pensieri, nel tuo cuore.
Quando la mia squadra gioca io a volte critico
le giocatrici: quella palla era troppo bassa, quella troppo alta, stai giocando a volano? cos’era quello, un decimo tempo? hai preso il valium prima di venire al palazzetto? Sono critiche bonarie però, perchè io so che ogni volta ce la mettono davvero tutta e che lo fanno per loro stesse, naturalmente, ma anche per me. Lo fanno perchè vogliono che io sia contento di quel che mettono in campo, e quando proprio non gli riesce, quando giocano veramente male, sono le prime a essere tristi e arrabbiate, perchè pensano di avermi deluso. Mica lo sanno che non me ne importa nulla della vittoria, che a me basta soltanto la bellezza del volley con i colori della mia squadra dentro, loro danno l’anima e io sono felice che giochino anche per il sottoscritto, per regalarmi delle soddisfazioni, dei punti da segnare in una classifica di cui non mi curo per nulla. E questo non riguarda solo me, ma tutti i tifosi, no? a parte la tua famiglia chi altri ci tiene così a te, se non la tua squadra? di certo non il tuo paese, ostaggio di gaglioffi inguardabili, di certo non il tuo principale, che vuol solo spremerti come un limone e nemmeno i tuoi tanti talenti, pronti a fuggirsene via alla prima distrazione, alla prima nota sbagliata all’interno di una progressione di Do, di un condizionale che sembra uscito da uno sketch di avanspettacolo, di un gerundio impazzito.
Man mano che la stagione va avanti noi conosciamo meglio le atlete che giocano nella nostra squadra, ci sfiorano notizie della loro vita privata, impariamo a riconoscerle dall’andatura, dai gesti ripetuti, dal modo di reagire a un punto fatto o subito. E poi ci scopriamo a avere memorizzato il modo in cui ognuna di loro mette le pinzette nei capelli. E ci preoccupiamo se, una certa domenica, non ne vediamo una in campo o rimaniamo esterrefatti davanti a un nuovo taglio di capelli, una nuova tinta. Le chiamiamo per nome, non più per cognome, ci affezioniamo e smettono di essere giocatrici ingaggiate da un team e diventano il team, la squadra. Loro sono la mia squadra del cuore, la nostra, non gli allenatori, i dirigenti o la società stessa. La squadra che amiamo è formata da una dozzina di ragazze che ogni santa domenica entrano in campo, che giocano per noi, che a volte si fanno male, che quasi sempre sputano l’anima e che magari al termine della stagione se ne vanno in qualche altra città perchè lì verranno pagate meglio o per altre ragioni.
Cosa dobbiamo fare noi quando se ne vanno? dimenticare che le abbiamo incoraggiate, sostenute, ammirate, criticate? dobbiamo sgomberare lo spazietto che occupavano nel nostro cuore per far posto ai nuovi acquisti? E’ così piccolo il nostro cuore? non so il vostro, ma il mio è bello grande e può continuare a tenerle lì per sempre. Forse perchè sono un fesso e nello sport io vedo, desidero, ancora dei valori alti, forse perchè quando guardo un match in televisione faccio istintivamente il tifo per la squadra più debole, forse perchè sono strano ma tutte le ragazze che hanno giocato nella mia squadra e che adesso non ci giocano più, per me ne fanno sempre parte, semplicemente ora ne sono ambasciatrici in qualche altro posto. Dite un po’, voi trovate che sia giusto scordare, o addirittura avversare, persone a cui hai dato la tua fiducia e che ti hanno ripagato con il massimo dell’impegno, solo perchè han cambiato residenza? andiamo… certe sciocchezze lasciamole al calcio, non facciamoci contagiare: noi siamo la pallavolo, lo sport più bello del mondo, gli atleti e le atlete migliori del mondo, gli appassionati più grandi e divertenti del mondo. Non dimentichiamolo mai. Noi siamo differenti.