Mare e carcasse bovine: Morrissey, Everyday Is Like Sunday (1988)
Poteva essere l’estate del 1989 o del 1990 – in ogni caso ancora anni Ottanta, perché quel maledetto decennio è durato fino al 1993. Io, come ogni anno dal 1985 o giù di lì, ero al mare con i miei nonni a Lido degli Estensi. Lido degli Estensi non presenta motivi di attrazione se non per entomologi desiderosi di specializzarsi in zanzare – e di certo non ha motivi di attirare i forlivesi come noi, che dai lidi ferraresi sono lontanissimi e possono arrivarci solo perché hanno sbagliato a svoltare in fondo alla Ravegnana. Io, a quell’epoca, per magnificare Lido degli Estensi agli amici dicevo che la spiaggia era lunghissima, altro che quei quattro-cinque metri di Cervia. Ma a dire il vero, l’estensione della spiaggia creava un effetto di desolazione desertica – a metà strada per il mare ti prendeva una sete da bambino piccolo (È finita l’acqua nel biberon→Non ci sarà mai più acqua, nel biberon). Sarà per questo che in dieci anni su quelle spiagge avrò fatto sì e no tre bagni – o forse sarà per via del fatto che l’acqua era più verde che blu.
La Paola dice che a Lido degli Estensi mancano solo le carcasse di animali sulla spiaggia – come in qualche film minore di Villaggio, forse un Fantozzi degli ultimi – ed è vero, ora capisco quel che vuol dire. Il “viale principale” è una linea diritta senza distinzione alcuna – anche se qualche anno fa ho scoperto che lo hanno punteggiato di sculture classicheggianti in materiale plastico, creando un effetto a mezza via fra la Valle dei Templi e il Mercatone Uno. Sul mare ci sono enormi edifici in cemento armato che, oltre a essere brutti, hanno un aspetto non finito, come se li avessero tirati su gruppi di muratori con la mania di prendersi in carico cinque o sei cantieri alla volta. Le vie più periferiche sono spoglie, assolate, e hanno l’aria di meravigliarsi che qualcuno abbia avuto il coraggio di metterci su casa. Infine, uscendo dal paese si incontrano elefanti in plastica sulla Romea e capanni coperti di lamiere sul canale di Porto Garibaldi. Mio nonno, che in questo campo non si faceva mancare niente, aveva preso in affitto con un gruppo di amici uno di questi capanni, con la sua brava barca a motore, i suoi fornelli con la bombola e la sua rete per i pesci a sollevamento elettrico.
Tutto questo, oggi, lo vedo benissimo. Ma allora, nel 1989 o nel 1990, Lido degli Estensi era semplicemente “il Mare”, o “il Lido” (“Quando vieni al mare quest’anno?”; “Ci sei al Lido l’anno prossimo?”). Al Lido, dal 1988 in poi, avevo una compagnia di amici con cui giocare tutto il santo giorno a pallavolo, perché tanto la spiaggia era lunga e piena di campi e di reti. Al Mare, siccome forlivesi non ce n’erano, potevo reinventarmi un personaggio e provare a essere quello che limonava, anche se poi ero quasi sempre quello che suonava la chitarra. Al Lido, nel 1988, mi ero messo con la ragazza bruttina che aveva detto che non era sicura di mettersi con me, come se glielo avessi chiesto, e a quel punto glielo avevo chiesto, e insomma anche se era bruttina mi ero messo con una ragazza, no? E adesso era il 1989 o il 1990, al Mare, e i palazzi di cemento armato non erano mostri appena sbozzati che occludevano l’orizzonte, ma condomini dove abitavano i miei amici. E il viale principale non era una linea retta che partiva dal nulla per finire nel nulla, ma un paio di chilometri pieni di possibilità sotto forma di ragazze da accostare – grazie a quel mio amico che in una serata era capace di attaccare discorso con trenta, quaranta giovani femmine di qualunque forma e provenienza.
Grazie a Dio, nel 1989 o nel 1990 ero di un’ignoranza spaventosa. Il Lido mi sembrava un posto bellissimo in cui stare per un mese all’anno. Leggevo 1984 di Orwell e i libri di Nantas Salvalaggio senza notare grandi differenze. E avrei potuto ascoltare gli Abba, gli Eagles o Riccardo Cocciante – avevo la cassetta del Dixan, di Cocciante – senza fare una piega, nella stessa giornata. Solo che Franco mi aveva fatto una cassetta di canzoni degli Smiths, selezionando – credo avesse già capito che tipo ero – quelle più allegre e in maggiore, e scartando tutta la roba più adolescenziale e gli arrangiamenti un po’ meno patinati. E mi aveva anche messo un paio di canzoni del Morrissey solista, in quella cassetta, sicché io per un po’ di anni ho creduto che Suedehead e Everyday Is Like Sunday fossero canzoni degli Smiths, e mi sono stupito poi di non trovarle in nessuno dei loro dischi.
Siccome, grazie a Dio, ero di un’ignoranza spaventosa, Everyday Is Like Sunday mi sembrava una canzone allegra, e queste parole non le capivo, o non ci facevo caso:
In the seaside town
that they forgot to bomb, come
come, come, nuclear bomb