Love->Building on Fire
Il 1977 fu un anno eccezionale. Uscirono le opere prime di Sex Pistols e Clash dando una precisa data di origine al Punk, che si agitava già da qualche tempo nei locali e per le strade, decretando contemporaneamente la fine dell’era che potremmo definire del “rock classico”. Quello che in seguito verrà chiamato Movimento del ’77 caratterizzò quel periodo, in Italia, causando nei cervelli più deboli, come il mio, tempeste ideologiche difficilmente spiegabili usando un linguaggio umano. Se non sapevi razionalizzare il mondo che ti circondava, in quell’anno lì, potevi tranquillamente trovarti a essere un Hippie-Punk-Violentemente-Non-Violento il che, lo riconosco francamente, può apparirvi come una cosa illogica ma se al giorno d’oggi pensate di star meglio, con le stronzate che vi sciroppate gongolando come se fossero un dono degli dei, allora le speranze che vi restano son proprio pochine.
Il 1977 fu un anno meraviglioso. Pieno di sogni infranti e di massimalismi lanciati in direzione di una metamorfosi yuppy da realizzarsi nel più breve tempo possibile, di musica indimenticabile e di altra ormai completamente dimenticata. Comprai American Stars ‘n Bars di Neil Young solo per la copertina e poi consumai il disco esclusivamente sui solchi di Like a Hurricane. Come chiunque altro io, nel ’77, ero di passaggio e per scopi sicuramente antropologici mi procurai una fantastica salopette Fiorucci che, giorno dopo giorno, si scolorì in modo così meraviglioso che se l’avessi portata a Woodstock ne sarei diventato il principe ereditario, dal momento che scalzare il completo tie-dye di re John Sebastian era praticamente impossibile.
Il 1977 fu un anno mitologico. Fu mitologico come il ’68 e, come lui, forse non è mai esistito: il ’68 perchè fu una cosa solo francese mentre da noi le agitazioni arrivarono nel ’69, il ’77 perchè con l’avvento dei Freaks al posto degli Hippies la confusione e l’alienazione ci portarono direttamente al ’78, a nuove avventurose scoperte e alla sicurezza che gli anni ’70 sarebbero durati per sempre.
Il ’77 fu un anno bello. Almeno per me. Avrei avuto anni anche migliori nei quali sarei stato più popolare e preso da cose più importanti, ma tranquilli e zeppi di piccolissime gioie come il ’77 non ne avrei più visti. Avevo un numero spropositato di amici, uscivo tutte le sere, suonavo, scrivevo musica e qualcosa mi dava addirittura la vaga ma curiosa sensazione di non essere del tutto sgradito al gentil sesso. E giacchè ci troviamo in argomento debbo con riluttanza confessare che, in pieno ’77, una ragazza mi interessava molto. Era graziosa, riservata, elegante e popolava i sogni d’ogni maschio consumante abusivamente ossigeno nel raggio di trenta chilometri e più. In una domenica pomeriggio venne inaspettatamente a sedersi sulla panchina dove combattevo contro miei chiari di luna e con bella naturalezza ci mettemmo a parlare. Scoprii che aveva ogni dannata qualità che le attribuivamo sulla fiducia e per un brevissimo istante sperai che a sua volta vedesse in me un qualche insospettato e non necessariamente esistente pregio! La nostra storia, sventuratamente, si concluse ancor prima di cominciare, lei volò tra le braccia di un tizio comparso in controluce sullo sfondo e che sul momento non riconobbi, quando però lo feci rimasi inorridito: si trattava nientemeno che di Totonno o’ Scimmione, un personaggio che parlava un dialetto sconosciuto a lui stesso, con peluria anche sul palmo delle mani e che non riusciva a prendere la patente perchè, nonostante i vistosissimi tacchi sui quali deambulava pericolosamente, non arrivava neppure ai pedali.
Il ’77 fu un anno difficile. Ero andato a vivere da solo, con tutti i problemi che ne derivavano e avevo deciso di tenere un diario da redigere ogni santo giorno, essendo però bello svanito già allora, tendevo a non ricordare quel che avevo fatto durante la giornata o forse semplicemente non facevo nulla che meritasse di essere ricordato, a parte l’ascoltare a palla Desire di Bob Dylan. Decisi allora di compilare sì il diario ma con disegni solo che, non possedendo alcuna capacità nell’ambito dell’arte visuale decisi di disegnarlo con le parole (e qui, cari i miei 7 lettori se siete andati in confusione avete tutta la mia solidarietà) riempendo, di conseguenza, pagine e pagine di nature morte, paesaggi, ritratti, facendo uso di verbi, aggettivi e talvolta perfino di rime. Un paio di anni dopo ritrovai il diario e lo buttai via senza pensarci due volte. Che idiota, l’avessi tenuto avrei potuto offrirlo, per essere usato come fonte di ispirazione, a qualche autore dell’italico stivale che occupa, senza una ragione plausibile, spazio negli scaffali delle librerie.
Nel ’77 uscì Love->Building on Fire dei Talking Heads. Un mio amico lo aveva ricevuto in regalo da qualcuno ritornato dagli States, e pensò bene di cederlo a me, visto che lui preferiva roba più complicata musicalmente. Io credetti di aver trovato la pietra filosofale! Quella canzone era così dannatamente grandiosa, semplice, stralunata, fresca, spiritosa. Di conseguenza aspettai con ansia l’uscita dell’album relativo e quando finalmente l’ebbi tra le mani non trovai traccia di quello che avevo scoperto in Love->Building on Fire restandone enormemente deluso. Vendetti sia il 33 che il 45 giri e decisi di scordarmi dei Talking Heads. In seguito li incontrai di tanto in tanto su MTV con i loro suoni particolari e i ritmi complessi e ogni volta mi facevo i complimenti da solo per aver dato via il loro primo disco. Tutto ciò è durato finchè una copia, pochissimo tempo fa, mi è ricapitata tra le mani convincendomi, non so davvero come, a infilarla nel lettore CD. Ascoltandola mi sono accorto con estremo stupore che in ogni traccia c’era la medesima chitarra di Love->Building on Fire, la medesima voce e la medesima freschezza. Non solo si trattava di un LP bellissimo ma forse di un vero e proprio capolavoro. Così la domanda che ne consegue è la seguente: ma nel ’77 cosa avevo, esattamente, nel cervello?