L’intervista perfetta
Ruggiva, coloratissima, la seconda metà degli anni ’60 e io, bambino affascinato da tutti quei tizi in televisione, vestiti con strani indumenti e che facevano “yeah yeah yeah”, letteralmente mi gettai su una di quelle riviste femminili che giravano per casa non appena mi accorsi che conteneva una esclusiva intervista ai Beatles, miei idoli pressochè indiscussi.
Al termine della lettura, però, mi scoprii meno soddisfatto di quanto mi aspettassi all’inizio dal momento che nella mia giovane, e ancora da registrare, testolina s’era inaspettatamente formata una sconvolgente, ma legittima, domanda: l’autore del pezzo aveva di fronte i musicisti più famosi del mondo, ma non gli era neppure passato per la mente di sfiorare, anche solo lontanamente, l’argomento musica, perchè? e poi (quesiti vari naturalmente discendenti dal primo) a chi poteva interessare la marca degli stivaletti che i nostri eroi indossavano? il colore preferito di Paul? il piatto più amato di John? il nome della mamma di George? quante volte al giorno Ringo si faceva la barba? c’era davvero qualcuno, tra i lettori della rivista, a cui premeva conoscere a che ora, esattamente, i quattro prendevano il the?
Ero un bambino che aveva da poco imparato a leggere abbastanza speditamente, d’accordo, ma nonostante tutto mi sentii preso per il sedere. Alcuni di voi, miei cari 7 lettori, potrebbero obiettare che si trattava di un giornale femminile e i giornali femminili in genere parlano di queste cose ma io, dopo una attenta lettura della biografia di Pamela Des Barres, sono in grado di dichiarare con forza che questa affermazione potrebbe addirittura configurarsi come una offesa all’intelligenza delle donne: le appassionate di musica, nel leggere l’articolo, avevano sicuramente reagito come me, mentre quelle innamorate dei componenti della banda, al posto di tutte quelle parole che riempivano le pagine, avrebbero decisamente preferito qualche foto spinta dei loro beniamini. Altro che colori, piatti preferiti e stivaletti…
Con gli anni cambiai tipo di riviste, mi rivolsi a quelle generaliste di musica, ma le cose rimasero pressochè invariate: i giornalisti, probabilmente perchè non erano musicisti, continuavano a girare intorno agli argomenti senza mai piazzare un affondo che fosse uno, assillando gli artisti con inenarrabili questioni che, a ripensarci ora, ancora mi vien male: “qual’è il tuo messaggio?“, “cosa vuoi comunicare?” si chiedeva disinvoltamente, senza capire che i lettori già conoscevano le risposte, perchè stavano tutte nella musica.
Finalmente incontrai le riviste specializzate e lì, meglio tardi che mai, trovai il Sacro Graal, l’intervista perfetta. Solo che il risultato era di un tedio mortale anche per degli appassionati di lungo corso, figuriamoci per i lettori mordi e fuggi, quelli che una testata giornalistica dovrebbe coccolare e interessare per tentare di arruolarli tra le schiere degli affezionati.
Mi convinsi infine che quel che avevo trovato nel corso degli anni era tutto quel che c’era.
E poi, ne converrete, elaborare le domande da porre in una intervista non è mica facile: come si può esser certi di non finire nel banale o nell’ovvio? come si puo trovare qualcosa che salti a piè pari la noia e interessi l’interlocutore e i fruitori del prodotto finale?1 Se l’articolo in programma è “generico” il rischio è quello di piombare nella disperazione, con quelle terribili domande sul come nascono le canzoni, che ricevono sempre la stessa, desolata, risposta: non c’è un modo preciso. Se invece l’obiettivo è qualcosa di “tecnico” l’intervistatore, tende a mostrarsi competente (che lo sia davvero o no), a volte più dell’intervistato, con il rischio di indisporlo e ottenendo, alla fine, solo una gran perdita di tempo da parte di tutti.
Insomma, cari i miei 7 lettori, portare a termine delle interviste è dannatamente difficile e quando vi accingerete a farlo anche voi ve ne accorgerete. Io me ne sono accorto quando ci ho provato a mia volta e, rileggendole in seguito, mi sono accorto di non avere il talento di Jay Leno o di David Letterman.
Sono tuttavia un po’ meno stupido di quel che sembro e, negli ultimi tempi, ho effettuato un piccolo studio che in qualche modo mi ha aiutato a capire meglio l’argomento e a farmene una idea migliore, se non addirittura superiore. E’ tutto cominciato rileggendo la famosa intervista a John Lennon di Jann Wenner, lavoro storico, mitico, costituito però da domande che qualunque uomo della strada avrebbe potuto fare al chitarrista. Questa particolarità mi ha spinto a riflettere e, in seguito, a esaminare le opere di alcuni famosi scrittori/giornalisti che, ho scoperto, riciclano le domande con estrema naturalezza e senza porsi alcun problema di sfacciataggine, arrivando a scrivere libri e guadagnare fortune perchè, comunque, riescono a offrire un “prodotto” sempre di alto livello. Tutto questo mi ha mandato in totale confusione per fugare la quale ho affrontato tutta la mia corposa collezione di vecchie riviste di settore prima di passare per Maurizio Costanzo e per Gigi Marzullo, chiedendomi come si può arrivare ai loro livelli con domande del tipo: “Cosa c’è dietro l’angolo”, “Di che colore è la notte” eccetera, eccetera, eccetera.
Poi ho avuto l’illuminazione e ho capito.
Ho capito che Jay Leno e David Letterman, non sono veri giornalisti, sono comici, e ho capito che a rendere bella una intervista non è mica l’intervistatore, è l’intervistato. Ho capito che una domanda come “Cosa c’è dietro l’angolo” è una miniera d’oro per chi se la sente rivolgere, perchè gli consente di parlare di tutto ciò che ha a cuore, dei suoi sogni più reconditi, e che anche la richiesta più sciocca può essere la porta che conduce a un universo di idee, suoni, musica, parole. L’intervistatore non deve essere un grande musicista, non deve essere neppure granchè intelligente o preparato, è soltanto il pretesto che il musicista deve usare per parlare di sé e del suo lavoro e se anche la pochezza dell’interlocutore ha fatto sì che mancasse qualche questione attesa, nessuno gli vieta di dare ugualmente la risposta giusta.
Un giornalista interrogò una volta Gianluca Vialli sul perchè i calciatori davano sempre risposte scontate e poco intelligenti, si sentì ribattere dal calciatore “voi giornalisti dovreste provate a fare anche qualche domanda intelligente”. Io l’ho sempre pensata esattamente come Vialli finchè mi sono ricordato di una delle più belle interviste che mai mi sia capitato di leggere, aveva come protagonista Socrates, appena ingaggiato dalla Fiorentina, e gli argomenti usati dal cronista erano i soliti, così dannatamente convenzionali e prevedibili, che in Italia vengono usati con i giocatori di football, ma il brasiliano li usò in maniera magistrale per presentare se stesso, il suo modo di intendere il calcio, la società e la vita.
Alcuni intervistati e alcuni intervistatori vedono il loro incontro come una sorta di esame così i primi sperano di essere ben preparati, di far bella figura, e che il tutto finisca presto, mentre i secondi si augurano esattamente la stessa cosa. Il risultato è sempre, e naturalmente, scadente e da dimenticare. Tempo fa feci un’intervista a una musicista durante la quale ottenni alcuni “sì“, diversi “no” e una lunga serie di “non lo so“, alla fine dissi “andiamo questo sembra il quiz per la patente, dimmi qualcosa di più“, “non so proprio cosa dire” replicò lei. Così non pubblicai nulla perchè realizzai che nessuno di noi due sapeva quel che stava facendo, ma a ripensarci adesso capisco che il vero colpevole non ero io, io ero solo l’imbecille che offriva a un artista la possibilità di rivelare il proprio mondo a un determinato numero di lettori che in quei tempi pionieristici potevano anche superare i 1500 al giorno. Era lei ad aver perso un’occasione, non io. Io ero un pirla qualunque e non avevo mica bisogno di promozione, lei sì.
Di conseguenza, cari i miei 7 lettori, ho deciso che nelle prossime interviste non mi preoccuperò più per l’intelligenza o la pertinenza delle mie domande, ci sarà anche la musica naturalmente, ma seguirò l’ispirazione, l’humor o il vento, aprendo porte che il mio interlocutore potrà attraversare o chiudere, finestre dalle quali potrà rimirare, e poi raccontarci, l’universo oppure fuggire. Copierò e riciclerò le domande, proprio come i più famosi giornalisti fanno, pescandole in tutte le interviste che ho mai letto o fatto, senza preoccuparmi per la loro incoerenza o l’eventuale stupidità, saltando di palo in frasca e affrontando anche tesi e argomenti che non c’entrano proprio nulla perchè, come vi ho appena detto, la mia funzione sarà solo quella di fornire un pretesto e un supporto, parole e musica saranno tutte opera, e responsabilità, del protagonista che, di volta in volta, ci troveremo davanti.
Ci sarà da divertirsi.
- i più astuti tra voi, miei cari 7 lettori, potranno obbiettare a questi dubbi esistenziali facendo notare che la maggior parte dei giornalisti non se ne preoccupa affatto [↩]