Linda Linda Linda
Come un topo di fogna voglio essere bello
perchè ci sono bellezze che
non possono essere fotografate
(Blue Hearts, Linda Linda)
Di Linda Linda Linda ho letto diverse recensioni e leggendole mi è successa una cosa strana: le ho trovate profonde e superficiali al medesimo tempo. Considerando che i critici, di qualunque argomento si occupino, hanno sempre in saccoccia tre o quattro riferimenti sicuri da buttar fuori con aria importante e un bel gruzzoletto di frasi preconfezionate e pronte all’uso, la parte relativa alla profondità, negli articoli da me incontrati, la trascurerei a cuor leggero in favore di quella più orientata alla superficialità. Io penso che il giornalista “esperto” di cinema, mentre guarda un film, stia in realtà scrivendo con la testa altre due o tre recensioni su qualcosa che ha visto il giorno prima o che vedrà il giorno dopo, o discutendo con il suo vicino di poltrona, o telefonando, o dormendo. Tanto, almeno in questo bellissimo e infelice paese, non è importante conoscere quel di cui si parla, visto che ci sono altre critiche a cui ispirarsi, ci sono i riferimenti sicuri, le frasi fatte. Quel che serve, ma giusto per dare una spolverata alla coscienza, è dare un’occhiata generale e distratta all’opera, il pezzo è bello e scritto in ogni caso.
Non si può sbagliare neanche un po’.
Su Linda Linda Linda ne ho lette di tutti i colori e ve li risparmio tutti, i colori, vi citerò solo un classicissimo lanciato forse da uno dei primi recensori poco attenti e ripreso praticamente da tutti gli altri: “Son, la protagonista, è una studentessa coreana temporaneamente in Giappone a causa di uno scambio culturale tra i due paesi”. Una specie di Progetto Erasmus di quelle parti lì, insomma. Peccato che in un paio di occasioni si veda la sorellina di Son, una bambina di non più di sei anni, che sta tentando a sua volta di imparare la lingua e questo dimostra chiaramente che Son si è trasferita definitivamente in Giappone probabilmente per motivi lavorativi dei genitori. Durante la festa dell’istituto scolastico che frequenta, l’incarico di Son, semplicemente, è di gestire una stanza dedicata ai rapporti culturali Corea-Giappone. Nel cinema, cari i miei criticozzi, non vi si può spiegare tutto altrimenti i film durerebbero delle settimane: qualche cosa dovete imparare a dedurvela da soli.
Linda Linda Linda è un film che mi piace moltissimo, che in un unica veste cela nature differenti tra loro, mirabilmente nascoste in piena evidenza. Non vi citerò i riferimenti che tutti gli altri fanno, peraltro in modo piuttosto corretto anche perchè evidenti, vi dirò soltanto che io ci ho trovato la maestosità di un Akira Kurosawa e la perfetta realizzazione delle aspirazioni cinematografiche di Paul Auster, tutto in un film che in fondo è stato concepito per attrarre i teenager, non certo vecchi rimbambiti come il sottoscritto. Non ho idea di chi sia Nobuhiro Yamashita, il regista, e a che livello siano gli altri suoi lavori, ma Linda Linda Linda, trasuda arte e bellezza in qualunque prospettiva lo si collochi, da qualsiasi angolatura lo si guardi, con la scuola attrezzatissima e tristissima, con la formale cortesia di ogni dialogo, gli inchini, le piccole e ingenue trasgressioni quasi impalpabili, il luogo indefinito, i colori sbiaditi, i sorrisi rarissimi, le divise scolastiche, i professori freddi e contemporaneamente premurosi.
Un film pieno di silenzi, rallentamenti e improvvise accellerazioni, quasi un simbolico omaggio al Trash Metal, un film mai noioso, neppure per un minuto, per un solo secondo. Un film che è anche una metafora del mondo del rock, quello importante e miliardario, messa in scena in un liceo di una qualche periferia non lontana da Tokyo, senza i drammi e le sfuriate tipiche dell’ambiente a cui fa riferimento ma con la controllata, rituale, educazione nipponica. Tutto ritorna al centro, tutto combacia alla perfezione, tutto è meravigliosamente triste senza una ragione plausibile, senza sentimenti in evidenza, scorrevole in secondo piano proprio come il tempo, inarrestabile e inafferrabile.
E poi è uno straordinario film di musica del quale vi racconterò qualcosa, cari i miei 7 lettori, se venite un po’ più vicino…
Kyoko (Aki Maeda) suona la batteria, Kei (Yuu Kashii) le tastiere, Nozomi (Shiori Sekine) il basso, Moe (Shione Yukawa) la chitarra e Rinko (Takayo Mimura) è la cantante solista. Sono una band di sole ragazze nata all’interno del Club della Musica del loro liceo, una band seria capace di scriversi le proprie canzoni, con importanti aspirazioni e della quale non conosciamo nè conosceremo mai il nome. E’ in pieno svolgimento la festa annuale organizzata dalla scuola, un grande evento nel quale sono coinvolti, a molti livelli, tutti gli studenti, che durerà alcuni giorni e che terminerà in un concerto nel teatro/palestra, durante il quale si esibiranno tutte le band e i solisti che frequentano l’istituto. A pochi giorni dall’atteso “festival rock” Moe si rompe un dito giocando a basket e questo la costringe a dare forfait, il suo infortunio però è la scintilla che fa scattare l’ennesimo litigio tra le due leader del gruppo Kei e Rinko, litigio che si conclude con l’estromissione di Rinko dalla formazione. Il fatto manda in crisi gli organizzatori della manifestazione che non sanno bene se debbono o no modificarne il programma, ma non manda in crisi Kei che decide di imbracciare lei la chitarra, prestatale da una abbattutissima Moe, di reclutare una nuova cantante e di esibirsi ugualmente. Impresa pressochè impossibile perchè lei la chitarra non la sa mica suonare tanto bene e al concerto mancano solo due o tre giorni, impresa che si rivela ancor più complicata quando lei e le altre scelgono come vocalist Son (Doona Bae), una studentessa coreana che neppure padroneggia in modo accettabile il giapponese. Inoltre non possono usare il loro vecchio nome e suonare le loro canzoni originali dal momento che Rinko e Moe non fanno più parte della banda.
Alla fine del film si scoprirà che Moe (con l’aiuto di qualche sorso di sake) può essere una meravigliosa cantante e allo spettatore toccherà trarre la dovuta morale, se lo vorrà, e cioè che con rapporti meno freddi e formali le altre sarebbero state al corrente di questa sua capacità e che di conseguenza avrebbero potuto tenerla nel gruppo in questo ruolo, mantenendo il vecchio nome e il vecchio repertorio, ma questo, come detto, è una riflessione che Nobuhiro Yamashita lascia interamente alla platea, insieme a molte altre che i dettagli disseminati nel corso della storia potrebbero ispirare.
Son, Kei, Nozomo e Kyoko decidono così di suonare alla festa alcune canzoni dei Blue Hearts una famosa rock band nipponica, e dedicheranno il pochissimo tempo a disposizione per impararle. Tutto qui. Prima del concerto lo spettatore avrà modo di conoscere un po’ meglio le quattro ragazze, la profonda serietà di Nozomo, l’incapacità di Kyoko di di confessare il suo amore a un ragazzo che è chiaramente a sua volta innamorato di lei, la fragilità di Kei, apparentemente protetta da una corazza d’acciaio e la forza di quella che è destinata a diventare la loro vera leader, Son, la straniera, l’unica davvero capace di meravigliarsi per le cose, di prendere decisioni nei momenti importanti, di distinguere il bene dal male e che sceglierà addirittura il nuovo nome della formazione, probabilmente senza neppure consultarsi con le altre. Alla fine suoneranno in quella tristissima palestra del loro istituto scolastico, davanti a un pubblico non numerosissimo ma piuttosto contento, suoneranno mentre fuori piove, con i vestiti fradici, a piedi nudi, con del sangue che esce dal ginocchio ferito di Son. Suoneranno bene e probabilmente la loro banda avrà anche un futuro, non per via di una qualche grande perizia tecnica, ma perchè in quel paio di giorni a disposizione per le prove, nella concitazione, hanno dovuto per forza di cose fare a meno di certe formalità, hanno eliminato alcune barriere e questo ha permesso loro di conoscersi meglio e di diventare, finalmente e veramente, amiche.
E’ un messaggio bellissimo, miei cari 7 lettori, non ne convenite? e poi le quattro ragazze suonano davvero, nel film, il nome che si danno è Paran Maum (che è la traduzione in coreano di Blue Hearts) e hanno anche inciso un CD che però non è mai arrivato in occidente.
Ah, Linda Linda Linda è reperibile solo in lingua giapponese, sottotitolato. Non è una limitazione, è un vantaggio: ascoltare le vere voci degli interpreti, il sentimento che mettono nella recitazione, è sempre una esperienza impagabile. E non sto parlando solo di questo film.
Per finire eccovi alcune canzoni delle Paran Maum. Buona visione.