La Serie dei Beatles – n° 6: Rubber Soul
Riassunto delle puntate precedenti: la persona che scrive è miracolosamente ritornata indietro nel tempo, nel 1973 o forse 1974, e più precisamente al giorno in cui, pur conoscendo già tramite attente letture la storia di ogni canzone, ascoltò per la prima volta, interamente, l’album dei Beatles che dà il titolo a questo articolo. Ecco la fedele cronaca di quel che fece e pensò in quelle magiche e indimenticabili ore.
(Attenzione! Si tratta di un gioco, non di una cosa seria. Poichè la lingua italiana a volte risulta oscura e misteriosa e non sempre chi ce l’ha tra i piedi riesce a padroneggiarla come si deve e poichè non è detto che l’introduzione di cui sopra sia stata ben compresa dai più, è bene sottolineare che quel che segue non è una recensione e non necessariamente rispecchia le attuali idee di chi scrive, si tratta semplicemente del tentativo di ricordare che cosa l’autore pensò e provò, nella prima metà degli anni ’70, nell’ascoltare per la prima volta l’opera oggetto dell’articolo, un autore appena adolescente e non certo critico musicale. Non che adesso lo sia diventato, critico musicale. Puoi anche leggere una più ampia introduzione qui: www.stonehand.it/wordpress/la-serie-dei-beatles-n-0/ )
Rubber Soul me l’ha venduto per 900 lire Pino, detto il Bello per una specie di cicatrice che partendo dal mento, a destra, gli taglia in due il labbro inferiore, quello superiore, e continua fino a metà guancia sinistra. Se l’è fatta da bambino, dice, cadendo dal seggiolone, ma nessuno gli crede, intorno a questa cosa sono nate leggende mica da ridere, alcuni anni fa, per esempio, girava la voce che se l’era fatta allo zoo quando, calatosi nella vasca per ragioni sue, era stato aggredito da un pinguino, o una foca, le versioni erano discordanti.
Pino ha comprato il disco perchè, ingannato dalla copertina, pensava fosse psichedelico e quando ha scoperto che non lo era ha cercato subito un acquirente senza trovarlo perchè, adesso nel 1973, forse ’74, i Beatles non è che siano così di moda. Si è dovuto accontentare delle mie 900 lire.Come vi ho già detto precedentemente io divido la carriera dei Beatles in tre fasi e considero Rubber Soul il primo album della seconda, che si contraddistingue per la voglia di allontanarsi dalla beatlemania e dalla ricerca costante del consenso da parte delle ragazzine. Di questo album conosco solo Michelle, quindi sono molto elettrizzato e ho una gran voglia di ascoltarlo. Una curiosità estratta da tutti i libri e gli articoli che ho letto sull’argomento e che, di conseguenza, potrebbe anche non essere vera: quando Brian Wilson ascoltò Rubber Soul ne fu colpito al punto che pensò fosse ora che anche i Beach Boys facessero un salto di qualità e con in testa l’obiettivo di superare il lavoro dei Beatles si mise al lavoro per realizzare il suo capolavoro, tra mille resistenze e difficolta anche creative che gli costarono moltissimo a livello psicologico. Quando Pet Sounds uscì Paul McCartney ne fu talmente colpito che per superarlo portò i Beatles in studio e realizzò Sgt. Pepper. Nel frattempo però era uscito Revolver e quando capitò tra le mani di uno stremato Brian Wilson lo mandò in crisi, spingendolo a gettarsi nel lavoro per poter competere con questo nuovo 33 giri. Mentre si affannava e consumava nel tentativo uscì Sgt. Pepper e questo lo gettò in una fortissima depressione che, adesso nel 1973 forse ’74, ancora non ha superato.
Bene, il giradischi è pronto, io sono pronto quindi diamo fuoco alle polveri. Rubber Soul!
Drive My Car è un inizio col botto! Paul sfodera la sua voce più grintosa mentre la chitarra di George è tagliente e aggressiva al punto giusto. Anche il testo è carino, i miei libri dicono che è tutta una allusione sessuale, ma secondo me chi li ha scritti deve essere un maniaco. E poi insomma, signori decrittatori dei Beatles, una allusione deve essere facilmente comprensibile altrimenti è un messaggio cifrato, non un’allusione!
Norwegian Wood mette in campo una bellezza sconvolgente e ascoltandola mi ritrovo come in un tempo sospeso, accarezzato dal sitar di George e dalla voce di John così chiara e controllata che sembra venire da dentro la mia stessa testa. Grande, meravigliosa e forse anche psichedelica, chissà…
You Won’t See Me, è una tipica canzone di Paul, anzi dei Beatles, orecchiabile, piena di coretti, controcanti e melodicamente perfetta. Bellina, ma niente di più.
Nowhere Man ha un giro armonico semplice e affascinante che credo proprio mi sarà utile nel futuro. Il brano è un classico immortale che sfoggia un testo intelligente e leggermente surreale.
Think For Yourself è il primo contributo di George a questo disco ed è il tipico e riconoscibilissimo Harrison, con il suo stile ormai consolidato ma aiutato dai suoi tre fantastici amici. Un futuro luminoso lo aspetta, vero?
The Word suona come se fosse un altro classico probabilmente per la voce guida di John che tutto migliora, ma secondo me non lo è. Sia chiaro, ho sentito di peggio ma finora, relativamente a questo album, è la traccia che mi convince meno.
Michelle, come vi ho detto, già la conoscevo perchè veniva gettonata in continuazione nel juke-box del Bar ’67 dai capelloni che si fermavano a bere qualcosa, e io che andavo in bicicletta nei paraggi mi fermavo ogni volta ad ascoltarla. E’ per questo che non credo ai critici saputelli che la liquidano come una cosetta superficiale, Michelle è una canzone magnifica, dolce, sognante e senza tempo. We want more, Paul!
Io devo proprio dirvelo, ragazzi: dalla prima occhiata che ho dato alla copertina sapevo che questo sarebbe stato il mio 33 giri preferito dei Beatles. Se anche il lato B contenesse solo cacofonie inascoltabili, la presenza su quello A di Drive My Car, Norwegian Wood, Nowhere Man, Think For Yourself e Michelle lo rende di gran lunga il lavoro più bello dei Fab Four che io abbia mai ascoltato. Quasi con paura appoggio la puntina sui solchi introduttivi del vinile e l’ascolto crepitare un po’, prima che la musica ricominci.
What Goes On è una canzonetta affidata a Ringo senza particolari pregi a parte forse i fraseggi chitarristici con cui George tenta di elevarla un po’. Dimenticabile.
Girl mi spiazza pesantemente: non mi aspettavo subito un pezzo di tale drammaticità, purezza e bellezza. Potrebbe essere la mia canzone preferita di John e dei Beatles in assoluto, non so. La chitarra d’accompagnamento ha qualcosa di doloroso che quasi mi commuove. Finisce troppo presto e la rimetto due o tre volte dall’inizio.
In I’m Looking Through You Paul mescola ad arte pop, rock, funk e soul per un risultato affascinante. E’ una di quelle canzoni che voglio imparare assolutamente a suonare alla chitarra! so che la porterò con me per molti anni.
In My Life appartiene a quel genere di brani che, per ragioni sconosciute, sono osannati dalla critica che come motivazioni adduce delle assurdità. In questo caso, nonostante le sciocchezze scritte a proposito di questo pezzo, le ragioni non sono sconosciute perchè si tratta di una composizione veramente notevole e impreziosita da un pianoforte dal suono morbido e rotondo. Un vero gioiellino.
Wait, che potrebbe appartenere a John, pur essendo ascoltabile e anche abbastanza divertente, non è all’altezza delle altre song presenti nell’album, eccetto The Word, beninteso.
If I Needed Someone, di George, mi colpisce quasi quanto Girl. Tutto è stupendo, la chitarra che sorregge le voci, lamentosa e piangente, i cori grandiosi e la sicurezza del solista nel guidarli. Mi scopro a pensare che questa è una canzone che avrei dovuto scrivere io e che l’autore mi ha inopportunamente anticipato di qualche anno. Grazie George, per avere fatto il mondo migliore anche per mezzo di If I Needed Someone.
So che John detesta Run For Your Life ma secondo me si tratta di una composizione stupenda e modernissima, dal sapore texano o giù di lì, con il riff che va e viene e l’acustica incalzante di sottofondo. Anche il modo di cantare di Lennon è più aperto e quasi americano. Mi piace. Molto
E così Rubber Soul è finito. Mi rendo conto che lo ascolterò centinaia di volte perchè voglio che le sue canzoni diventino parte di me, di quello che diventerò da qui a qualche anno. Qualunque cosa abbiano fatto i Beatles non credo che mi colpira mai come questo disco. La parola capolavoro l’ho già usata in questo articolo, quindi non la ripeterò, ma voi mi avete capito, no?
Ci rileggiamo presto con Revolver.