La Serie dei Beatles – n° 3: Let It Be
Riassunto delle puntate precedenti: la persona che scrive è miracolosamente ritornata indietro nel tempo, nel 1973 o forse 1974, e più precisamente al giorno in cui, pur conoscendo già tramite attente letture la storia di ogni canzone, ascoltò per la prima volta, interamente, l’album dei Beatles che dà il titolo a questo articolo. Ecco la fedele cronaca di quel che fece e pensò in quelle magiche e indimenticabili ore.
(Attenzione! Si tratta di un gioco, non di una cosa seria. Poichè la lingua italiana a volte risulta oscura e misteriosa e non sempre chi ce l’ha tra i piedi riesce a padroneggiarla come si deve e poichè non è detto che l’introduzione di cui sopra sia stata ben compresa dai più, è bene sottolineare che quel che segue non è una recensione e non necessariamente rispecchia le attuali idee di chi scrive, si tratta semplicemente del tentativo di ricordare che cosa l’autore pensò e provò, nella prima metà degli anni ’70, nell’ascoltare per la prima volta l’opera oggetto dell’articolo, un autore appena adolescente e non certo critico musicale. Non che adesso lo sia diventato, critico musicale. Puoi anche leggere una più ampia introduzione qui: www.stonehand.it/wordpress/la-serie-dei-beatles-n-0/ )
Let it be me lo ha prestato un compagno di scuola con i denti marci. Sulle prime tentennava un poco poi, complici i progetti intorno alla creazione di una nostra strepitosa band, lui suona le tastiere, ha ceduto. Se debbo proprio essere sincero non credo di volere un tastierista con i denti marci, che figura faremmo davanti alle telecamere? andiamo, a tutto c’è un limite.
Di Let it be so praticamente tutto, anche se a conti fatti conosco solo (come la maggior parte degli italiani) Let it be (la canzone) e Get Back. Sarà interessante confrontare la nuda realtà che mi porgeranno le casse acustiche con la mia fervente immaginazione e con quanto la leggenda più i media hanno realizzato usando come materia prima la musica (e non solo) di questo album.
Celebro il solito rituale a base di alcolici e accurata sistemazione dei diffusori ma questa volta c’è una piccola e piuttosto importante novità: in via San Francesco da Paola hanno aperto un negozietto di articoli orientali e lì ho comprato dei coni d’incenso e un piccolo incensiere d’ottone per bruciarli:1 l’esperienza Beatles, per me, questa volta sarà molto, ma molto, più incisiva!
Let’s Go!
Two of us. Sono un chitarrista (o meglio aspirante tale), e Two of us mi fa scattare immediatamente, come fossi posseduto, alla 12 corde nuova fiammante. L’introduzione sulle corde acute è fantastica! La canzone mi piace tutta e anche se so che è dedicata a Linda Eastman decido di non crederci: il testo parla chiaramente di John e Paul e sono loro due alle voci e alle chitarre, più chiaro di così.
Dig a pony. Anche se è sua John la considera una specie di scarto, di conseguenza tutti quanti si sono affannati a spegarmi, sulle riviste, quanto è brutta e quanto poco vale. Segno che i condizionamenti sono facilissimi da inserire nei posti dove vanno inseriti2 oppure che l’uso del cervello non è una caratteristica innata nell’essere umano: Dig a pony è un brano lennoniano che più di così non si può, nella solita bellezza dei brani lennoniani. Impossibile da non amare e, se sei un musicista, da non suonare.
I giudizi migliori che ho letto su Across the universe, di John, contengono sempre, e mi preme sottolineare il sempre, una sorta di esclusione di responsabilità facente riferimento al fatto che pur essendo stata scritta e registrata almeno un anno prima della sua inclusione in Let it be, non era mai stata pubblicata perchè giudicata una schifezza dagli altri tre Beatles. I giudizi peggiori hanno la medesima esclusione di responsabilità. Io sono solo un ragazzino nel bel mezzo del 1973, o forse ’74, e sono molte le cose che non so e che non capisco, sarà mica per questo che non sempre trovo sensate le cose scritte dai critici? per esempio Across the universe è di tutti i brani dei Beatles che ho ascoltato fino a oggi, quello che preferisco, leggero e pesante nello stesso tempo, intriso di religiosità e splendidamente intimo e universale. È molto in sintonia con quello che sto leggendo sull’Induismo e vorrei non finisse mai. Il lavoro di Phil Spector sulla produzione di questo brano è superlativo, qualunque cosa dicano, scrivano o pensino i soliti recensori capaci solo di mettere nero su bianco le idee altrui.
Secondo me I me mine, di George, pur non essendo così male, è una canzone non bene sviluppata, soprattutto nel ritornello che non rende giustizia alla buona melodia della strofa.
So che Dig it è la parte finale di un pezzo molto più lungo, una jam dicono, e non capisco perchè nel disco non è stato incluso tutto. A me sembra così rocckeggiantemente elettrizzante al punto da gareggiare con Across the universe per la prima posizione nella mia personale classifica delle tracce contenute nell’album.
Let it be è uno dei superclassici dei Beales e chi sono io per esprimere un giudizio? l’unica cosa che posso dire è che, nella voce di Paul c’è qualcosa che non mi va, è un po’ troppo melliflua e innaturale per uno che come lui ha il rock al posto del sangue. Bello l’assolo di George anche se non capisco perchè non è “effettato” in uno stile più al passo coi tempi. Scelte di vita?
La critica più ficcante e impegnata3 si è affannata a spiegarci che Maggie Mae è un tradizionale dell’inghilterra del nord molto amato a Liverpool e per questo inciso dai Beatles. È proprio così. Sul disco ne è stato incluso solo uno spezzone, con la voce guida di Ringo, ed è un peccato perchè è proprio un brano gustoso e divertente.
E così è finito il lato A, mentre giro il vinile mi ritrovo a canticchiare alcune delle melodie che ho appena ascoltato, segno che sono piuttosto soddisfatto. Mentre la puntina sfrigola sui solchi che la condurranno alla prima traccia del lato B guardo la copertina: mi sto già affezionando a questo disco e non so quando e se lo restituirò all’amico dai denti marci. Ma non è tempo ancora di pensare a queste sgradevoli incombenze, la musica incalza e io son qui apposta per farmi incalzare!
I’ve got a feeling, al di là di tutte le sciocchezze che sono state scritte riguardo al testo questo è un violento ritorno al rock di Paul dalle sdolcinate atmosfere di Let it be, e il risultato è clamorosamente eccellente. Bello l’inciso di John e anche la parte a due voci. Cosa si pretende di più quando sul piatto gira un LP dei Fab Four?
One after 909 è trascinante, anche se suonata in modo un po’ confuso, le voci però sono fantastiche, al di là di ogni possibile opinione. Non è certo la mia prima scelta, nel repertorio dei Beatles, ma si difende e si fa ascoltare piuttosto bene.
Si dice che Paul McCartney giudicasse insopportabile ascoltare The long and winding road con le sovraincisioni eseguite da Phil Spector, ma forse questa è semplicemente una canzone insopportabile e Phil Spector ha solo provato, in tutti i modi, a renderla ascoltabile. The long and winding road ha tutti i difetti di Let it be, senza averne neanche uno dei pregi, ho anche l’impressione che sia cantata piuttosto al di sotto delle possibilità di Paul. Se questo brano fosse stato escluso dall’album e al suo posto fosse stata inserita una versione estesa di Dig it, sicuramente l’album ci avrebbe guadagnato. Lo so, lo so che The long and winding road è universalmente considerata un capolavoro eccetera eccetera, ma che ne so io? io sono un ragazzino del 1973, forse ’74, e la trovo soltanto noiosa e stucchevole.
Adesso qualcuno di voi, miei cari 7 lettori del futuro, mi deve spiegare quanto è bella, nella sua bluesistica semplicità, For you blue. Non riesco a smettere di ascoltarla, di cantarla, di provare a rifare l’assolo slide di Lennon. Uno dei momenti più belli di tutto il disco, firmato da uno scanzonato e grandissimo George. Bello lo sfottò a John, bello tutto. I love it!
Ed eccoci a Get Back. Come astutamente sapete, dal momento che ve l’ho detto io, la conosco già ma ogni volta che all’orecchio mi arriva l’introduzione io faccio una bella capriola. I due accordi che precedono il cantato sono una notevole scarica elettrica su per la spina dorsale, lo sapete cosa intendo, vero? La canzone è suonata splendidamente, così minimalmente rock, e anche gli assoli sono gradevoli e semplicissimi. Sarà stata davvero dedicata da Paul a Yoko Ono? Loretta Martin era una donna o un uomo? domande inutili senza risposte certe. Get Back è semplicemente un piccolissimo capolavoro immortale.
Ho deciso che restituirò Let it be al mio amico dai denti marci: al più presto, cioè quando avrò i soldi, me ne comprerò una copia nuova tutta mia e magari la prenderò nel negozio di piazza Castello, perchè lì ho visto in vendita anche il volume The Complete Beatles, che contiene gli spartiti di oltre cento canzoni. Devo decisamente decidermi ad applicare la mia chitarra sui Beatles, non posso più rimandare.
Io credo che i giudizi generali su Let it be siano stati viziati dalla storia di Let it be, e non rispecchino affato il reale valore dell’album che è veramente di livello altissimo a parte qualche leggera sbavatura qua e là. A me, complice forse l’incenso, è piaciuto assai più di Abbey Road e Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band che sono gli altri due dischi dei Beatles che ho finora ascoltato, universalmente giudicati dei capolavori. Siamo nel 1973, forse ’74, e probabilmente non sono un grande critico4 ma ho delle buone orecchie e non posso mica sbagliarmi poi di tanto. Voi cosa ne dite, miei cari 7 lettori del futuro?Il prossimo incontro ravvicinato sarà con il White Album. Preparatevi voi perchè io non so se riuscirò a essere pronto per affrontarlo..