La Serie dei Beatles – n° 2: Abbey Road
Riassunto delle puntate precedenti: la persona che scrive è miracolosamente ritornata indietro nel tempo, nel 1973 o forse 1974, e più precisamente al giorno in cui ascoltò per la prima volta, interamente, l’album dei Beatles che dà il titolo a questo articolo. Ecco la fedele cronaca di quel che fece e pensò in quelle magiche e indimenticabili ore.
(Attenzione! Si tratta di un gioco, non di una cosa seria. Poichè la lingua italiana a volte risulta oscura e misteriosa e non sempre chi ce l’ha tra i piedi riesce a padroneggiarla come si deve e poichè non è detto che l’introduzione di cui sopra sia stata ben compresa dai più, è bene sottolineare che quel che segue non è una recensione e non necessariamente rispecchia le attuali idee di chi scrive, si tratta semplicemente del tentativo di ricordare che cosa l’autore pensò e provò, nella prima metà degli anni ’70, nell’ascoltare per la prima volta l’opera oggetto dell’articolo, un autore appena adolescente e non certo critico musicale. Non che adesso lo sia diventato, critico musicale. Puoi anche leggere una più ampia introduzione qui: www.stonehand.it/wordpress/la-serie-dei-beatles-n-0/ )
Abbey Road è l’ultimo album inciso in studio dai Beatles e, per alcuni critici, è il più accreditato rivale di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band per la corsa al titolo di Migliore Album dei Beatles. Io non so dirvi se è vero, cari i miei 7 lettori del futuro, perchè mi sto accingendo ad ascoltarlo proprio adesso, eseguendo alla perfezione tutti i riti che l’occasione prevede ed esige: sistemazione delle casse, luce soffusa, un bicchiere di brandy sottratto dalla dispensa di nascosto dai miei. La copertina è una delle prove che i sostenitori della Morte di Paul presentano con più frequenza, secondo loro rappresenterebbe il funerale di Paul con John a fare il prete, Ringo nella parte dell’impresario di pompe funebri e con George che si becca il ruolo di becchino. A me non interessa nulla di tutte queste storie, sono un adolescente duro e puro e mi curo solo della musica. Lasciamo quindi che il disco giri e che la puntina crepiti un po’, prima che cominci lo show.
Come Together è un brano che conosco già, che so suonare alla chitarra ed è fichissimo1, la voce di John è quella classica, tesa e bella e tira un aria di rock duro “trattenuto” ad arte. Siamo nel mio campo, ragazzi, se il buongiorno si vede dal mattino il mattino di questo album è strepitoso!!
Anche Something, la conosco già, e ne ho letto molto sui libri e sulle riviste. È una bella canzone, d’accordo, ma mi sembra tanto che George faccia il verso a Paul, e non è bello. Questo non è il suo stile o il suo mood. Oppure sì? A volte George è così difficile da leggere e da capire, questa è la sua forza e anche il suo limite e io non credo di essere abbastanza intelligente da districarmi in tutto questo.
Maxwell’s Silver Hammer. E questa è veramente una cosa strana! ha un ritmo piuttosto amato (usato) da Paul, ma unisce una melodia brillante a un testo piuttosto horror, forse seguendo l’esempio di alcuni chansonier francesi. Non è brutta, ma in qualche modo è una canzone difficile da collocare, giudicare e amare. Come sopra non credo di essere abbastanza intelligente da capirla, fatelo voi che ne siete capaci mentre io, in pena confusione passo alla prossima traccia.
Oh! Darling, e qui si ritorna a bomba nei mei territori: il solito ritmo amato da Paul ma con una chitarra distorta sul beat e cantato in maniera lacerante, bellissima. Ci sono parecchie leggende sul modo in cui il cantante ha “ottenuto” un simile timbro, ma io penso che siano tutte sciocchezze, Paul è un maestro nel modificare e riplasmare la propria voce. Lo sanno tutti.
Octopus’s Garden è una canzone di Ringo un po’ sullo stile di Yellow Submarine, ma non è Yellow Submarine, tanto per capirci. Dopo un minuto è diventata già troppo lunga.
I Want You (She’s So Heavy). Anche se il 100% dei critici e il 200% degli altri vi dirà che questa è una canzone rock, miei cari 7 lettori del futuro, non credetegli, qui siamo in area acido/psichedelica e la prova è tutta nella chitarra che raddoppia la voce proprio come i testi sacri del genere insegnano. La bellezza di I Want You (She’s So Heavy), col suo incedere maestoso, è inaudita, secondo me, al punto da meritare la pubblicazione su singolo al posto di quella cosa melensa che è Something.23. Non capisco perchè I Want You non sia tanto considerata dagli (pseudo)esperti.
Tutto sommato il lato A di questo 33 giri mi è piaciuto quasi tutto, anche se non da impazzire, pare più una raccolta casuale che un lavoro organico, questa è la mia piccola impressione. Il lato B so che contiene il medley che ha fatto urlare al miracolo un sacco di tromboni e di critici e questo già mi indispone, non voglio però essere precipitoso o farmi condizionare dai pregiudizi, quindi esprimerò il mio giudizio solo alla fine.
Here Comes The Sun è cento volte più bella di Something, è George Harrison al 100%, così vado subito a cercare d’impararla alla chitarra. In che tonalità sarà? non sembra difficile, ma spesso le canzoni di George sono apparentemente semplici senza esserlo in realtà, lo so bene perchè mi sono spellato le dita e consumato il cervello nel tentativo di rifare My Sweet Lord senza mai riuscirci in modo neanche lontanamente passabile.
Because. Ne ho lette tante su questa canzone di John su come discenda da una sonata di Beethoven, della complessità del coro e tante altre cose simili, ma a me non pare questa cosa così grande, è una canzoncina piuttosto noiosetta, nulla di più. Ma forse sbaglio perchè non sono ancora così competente, in fatto di musica, ed è possibile che ci sia da qualche parte, nella teoria, qualcosa che non ho capito.
The Long One. Il mitico medley, quello che, secondo alcuni critici, riviste, banditori e predicatori vari, dovrebbe essere la ragione per la quale Abbey Road è il più grande album dei Beatles e quindi uno dei migliori in tutta la storia della musica rock. Sarà perchè sono solo un ragazzotto stupido nel bel mezzo del 1973, forse ’74, ma mi domando subito in che modo otto mezze canzoni bruttine dovrebbero rendere bello un album e posso scoprirlo soltanto continuando nell’ascolto. You Never Give Me Your Money parte bene con un pianoforte che sembra controllare la propria voglia di scatenarsi e un Paul che dice cose intelligentemente ironiche con una voce sardonica e ispirata, ma il tutto sfuma presto in qualcosa di un po’ pasticciato. Sta a vedere che questa canzone è un medley all’interno del grande medley, un colpo da maestro? a me non sembra. Sun King, una cosetta senza infamia ma, soprattutto, senza lodi, tranne forse quando sfocia in uno spagnolo un po’ strano chè lì, almeno, sorprende un po’. Mean Mr. Mustard, è un segmento di John, chiaramente non finito ed è un peccato perchè potenzialmente avrebbe potuto essere una grande canzone. Per Polythene Pam vale il medesimo discorso di Mean Mr. Mustard, è un tentativo di John, mi pare, di fare il verso a Larry Williams oppure a sé stesso che canta Larry Williams4. She Came In Through the Bathroom Window. Diciamolo subito, questa canzone di Paul, che forma un tutt’uno con Polythene Pam, non mi piace, però è compiuta e così ha almeno un senso. Per il resto è da dimenticare con la massima velocità possibile. Golden Slumbers, è piuttosto bellina, in perfetto stile Paul e anche se non è una pietra miliare nella discografia dei Fab Four si fa ascoltare facilmente. Carry That Weight, si incastra perfettamente con Golden Slumbers del quale si propone come un ritornello per poi aggiungere una ripresa di You Never Give Me Your Money. E’ solo un riempitivo. Anche The End non è altro che un riempitivo, meglio lasciar perdere.
Her Majesty somiglia a un’altra canzone di Paul che ho già sentito della quale però non ricordo il titolo5, è una specie di scherzo di una ventina di secondi, niente di più.
Miei cari lettori del futuro, siamo nel 1973, forse ’74, e io sono un ragazzino, ma sono mica scemo, non bastano le critiche e le sparate che ho letto sulle riviste per influenzare le mie opinioni e se mi chiedete un giudizio sul mitico medley, The Long One, non posso che rispondere con le stesse parole usate da Greil Marcus nella recensione di Self Portrait di Bob Dylan: “Cos’è questa merda?”. Si tratta di un pugno di brani non finiti messi insieme per ragioni sconosciute o forse perchè bisognava terminare l’album e non c’era più niente di decente da metterci dentro. Cosa passava nella testa dei critici mentre celebravano questo collage senza senso? si saranno imitati l’uno con l’altro per paura di passare per incompetenti? Abbey Road sembra un disco messo insieme con scarti di altri album e con qualcosa di nuovo, ci sono tre o quattro brani belli e il resto è da avvolgere nell’oblio prima che possa fare danni. Altro che capolavoro.
Il prossimo LP che ascolterò sarà Let It Be che è stato sconfessato dagli stessi Beatles. Andiamo bene.
- E in futuro copiatissimo [↩]
- Ma se Something è diventato uno dei brani più venduti e interpretati nella storia dei Beatles è possibile che colui che scrive non abbia mai capito UBM di niente [↩]
- UBM:Una Beata Mazza [↩]
- Chiedetemi, per favore, come faccio a conoscere Larry Williams nel 1973/74 [↩]
- Blackbird. Forse l’avevo ascoltata a casa di qualche amico, che alla radio non la passavano di certo [↩]
Vaneggiavo, forse, perchè l’articolo parla di quello che pensavo nel ’73/’74, mica di quello che penso oggi.
una parola sola : VANEGGI.