La mia Thule
Pavana, per noi Gucciniani della Prima Ora, è quasi un luogo mitologico.
In realtà non lo so il perchè di questa nostra affezione nei confronti di quel posto, a questo nome per la maggior parte di noi quasi di fantasia, che ha il sapore dell’eco di un sogno, appena svegli, di un Deja Vù, un ricordo fugace e indefinito, quasi appartenente a un altra persona.
Non lo so il perchè.
A me piace Zucchero, per esempio, ma mica lo ricordo dove è nato o dove è cresciuto. E’ successo da qualche parte, in fondo non è così importante. Per Guccini invece è diverso, non potrebbe esistere il nostro amore per il Maestro (a me “Maestrone”, come lo chiaman gli altri, non è mai piaciuto) senza una Pavana da qualche parte, non esisterebbe neppure lui, probabilmente. Pavana per noi è come il Monte Olimpo per i greci, un posto sacro perso tra le leggende e le storie più lontane, ovviamente popolato da personaggi mitologici.
Di Francesco ho già parlato in altre occasioni e ormai sapete che sono un Gucciniano convinto al punto che mi piacerebbe formare una cover band per suonare le sue canzoni, una cover band un po’ bizzarra, lo ammetto, con strumenti indiani a far la parte del leone, ma sempre con in mente lui, la sua voce, le sue melodie, i temi che predilige.
Io dunque sono un Gucciniano della Prima Ora, ma un Gucciniano un po’ atipico, per esempio ho venduto alcuni dei suoi dischi e mi è molto difficile spiegarne le ragioni, ma ci provo lo stesso: non ho bisogno di ascoltarli. Una canzone del Maestro, dopo averla sentita due o tre volte, l’ho già assimilata e reinterpretata nella mia mente, è diventata parte di me, è diventata proprio mia e non mi serve che la canti un altro tramite le casse dello stereo, posso farlo da me ogni volta che ne ho voglia.
Sono quindi uno Strano Gucciniano della Prima Ora e non solo per la ragione esposta poc’anzi anche se non approfondiremo ulteriormente la questione, lo ribadisco soprattutto per rivendicare la mia appartenenza musicale e per rammentarvi che sono un Seguace del Maestro, ancorchè a volte ribelle, probabilmente da prima che voi nasceste, miei cari 7 lettori.
Francesco Guccini ha dichiarato che dopo l’Ultima Thule non inciderà ulteriori dischi e questo, scusate il francesismo, mi fa davvero incazzare: io non pretendo che si lanci in rutilanti tournée se non ne ha più la forza o la voglia, e nemmeno che si chiuda in angusti e umidi studi di registrazione se questi non lo fanno sentire a proprio agio, per me basta che si compri un buon microfono e che registri ogni tanto un po’ di canzoni con Garage Band, da vendere su iTunes o sul suo sito. E’ sufficiente, davvero. Noi Gucciniani della Prima Ora non abbiamo la necessità di promozioni radiotelevisive, copertine, arrangiamenti, quello che ci serve è la sua voce accompagnata da una chitarra, un nostrano Johnny Cash alle prese con il suo tosco/emiliano American Recordings. Possibile che non voglia più farlo? che si accontenti di scrivere libri su libri lasciando che i calli da chitarra se ne vadano via dalle dita? Può essere concepibile tutto ciò?
Forse sì, chi lo sa? nelle sue ultime apparizioni pubbliche il Maestro è apparso spesso mesto, quasi stanco di interpretare se stesso, e in cerca di una vita diversa, finalmente libera da una immagine che non sente più sua, che non riesce più a vestire… sicuramente sarebbe giusto lasciarlo andare a far la vita dello scrittore, che a Pavana, in mezzo al nulla, potrebbe anche riservare soddisfazioni importanti, ma io non sono giusto, sono un fan, un Gucciniano della Prima Ora che non ha alcuna intenzione di smettere e semplicemente ho ancora bisogno di nuove canzoni. Finchè tra lui e me c’è un briciolo di vita, di forza nelle mani e nella voce, ho il diritto di avere nuove canzoni!
La mia Thule è stata dapprima trasmessa dalla RAI in una versione (molto) ridotta e ora è finalemte disponibile in DVD, in edizione integrale lunga quasi due ore. Si tratta di un documentario di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, prodotto da Nene Grignaffini e Raffaella Zuccari (la moglie di Francesco), girato interamente a Pavana, in quello che fu il mulino della famiglia Guccini trasformato recentemente in agriturismo e per l’occasione in studio di registrazione. L’Ultima Thule è stato registrato proprio lì, nelle stanze che han visto Francesco bambino, e il documentario è testimone della realizzazione dell’opera, un testimone garbato e discreto, creativo e rispettoso, che a volte si perde nel mormorio del fiume, nei capelli bianchi dei musicisti coinvolti, nella rassegnazione dell’Artista Principe che probabilmente non vede l’ora che tutto finisca.
Ci sono tutti. Juan Carlos “Flaco” Biondini, Ellade Bandini, Roberto Manuzzi, Antonio Marangolo, Pierluigi Mingotti, Vince Tempera. Ci sono anche Paolo Simonazzi e Vittorio Piombo a suonare strumenti inusuali per il gruppo e mancano Ares Tavolazzi e Deborah Kooperman, comunque citati nel corso del film. E ci sono visite al mulino, di Leonardo Pieraccioni, di Luciano Ligabue, di ragazzi in pellegrinaggio, emozionati e contenti per l’accoglienza che il Maestro riserva loro.
Ci sono le canzoni. Canzoni prive della teatralità interpretativa di un tempo, ma cariche di una nuova emozione che potremmo quasi sicuramente definire romanticismo della voce. Ci sono i racconti, con la chitarra appoggiata al muro, davanti al camino o in zone diverse del mulino, memorie di tutti i protagonisti, storie già conosciute, o dimenticate, o intuite tra le righe dei testi o dei libri. Ci sono le stanze che Francesco ci ha narrato tante volte, dai muri spessi e ora buoni per accogliere turisti o per incidere musica, c’è la musica.
Una musica mai così precisa, creativa, tranquilla e complessa, che i musicisti di esperienza ormai ne hanno da vendere, c’è tutto quello che un gucciniano dell’ultima o penultima ora potrebbe desiderare. Manca solo il Francesco che noi, quelli della prima ora, amavamo, quello che si sedeva tra Flaco o Deborah e un pintone di vino bianco frizzante e incantava diecimila persone arrampicate sulle gradinate di un palasport che poteva ufficialmente contenerne la metà, quel Francesco che non riusciva a eseguire neppure una canzone dall’inizio alla fine che tutte le interrompeva con lazzi, motti di spirito, profonde considerazioni, bevute. Quel Francesco nel documentario non c’è, nè potrebbe più esserci visto che i capelli di tutti noi stanno diventando più chiari, i tempi sono cambiati e voglia di scherzare non ce n’è più tanta.
Per noi Gucciniani della Prima Ora questo documentario si traduce in un malinconico desiderio di contarci, di far bilanci, si traduce nel desiderio di un bicchiere di vino e una chitarra, di vedere amici dei quali non si ricorda più la faccia, ma per fortuna non ci siamo solo noi Gucciniani della Prima Ora in giro. Ci sono quei ragazzi emozionati all’incontro con il Maestro, nati quando lui aveva già i capelli bianchi e che non possono neppure immaginare il contesto nel quale certe canzoni sono state composte, i tempi, le rabbie, i sogni. Ci sono loro, milioni di altri come loro ed è chiaro che hanno capito qualcosa che noi Gucciniani della Prima Ora non riusciamo ad afferrare, persi come siamo nel passato e nell’autoindulgenza. Un grazie a loro, quindi, che forse riusciranno a smuoverci e a insegnarci tutto quello che non siamo ancora riusciti a imparare ma soprattutto grazie al Maestrone (ma sì, questa volta lo chiamo così anche io) per aver condiviso con noi un pezzetto del suo lavoro e della sua Pavana, per averci regalato queste ultime canzoni.
In attesa delle prossime.