Il Moro è un ignorante, e altri motivi per ascoltare Folk the Eighties
Sono sempre stato di un’ignoranza musicale spaventosa – e ho sempre cercato di coprirla, questa ignoranza, intuendo che lo snobismo contemporaneo si concentra soprattutto sulla musica. Tuttora, quando mi infilo in qualche animata discussione sull’argomento, lascio che il mio interlocutore pensi che conosco l’intera produzione di Lou Reed o dei Jefferson Airplane – e non, nella migliore delle ipotesi, due dischi e una manciata di singoli di Lou Reed e il nome dei Jefferson Airplane. Quando un recensore accosta Moro & the Silent Revolution a qualche gruppo che ho vagamente sentito ricordare, mi aggiorno su youtube, a meno che non debba andare a giocare a pallone o non abbia sott’occhio un giornale sportivo. La verità è che la musica mi interessa meno della letteratura, e molto meno della classifica del campionato di apertura argentino.
Ma le mie evasioni di oggi sono nulla, a confronto con la mia aggressività di ieri. Quando ero ragazzino, negli anni Ottanta, non mi limitavo affatto a giocare in difesa: forte di diverse generazioni di Morini arroganti e presuntuosi, usavo le poche cose che sapevo per svilire le molte che sapevano gli altri. La mia ignoranza, insomma, andava in pressing come il maledetto Barcellona di Guardiola – e mai la mia ignoranza è stata rampante e sicura di sé come negli anni Ottanta, da prima ancora che il precursore allucinato di Guardiola, Arrigo Sacchi, arrivasse a rovinarmi il calcio di Muraro e Beccalossi.
Bastano due episodi per illustrare la mia tecnica di allora. Alle scuole medie – parlo degli anni fra il 1983 e il 1986 – avevo una compagna di classe che adorava i Duran Duran: ascoltava i Duran Duran, si pettinava come i Duran Duran, si truccava come i Duran Duran. Conosceva benissimo i Duran Duran – di certo molto più di quanto non li conoscessi io, che potevo aver intravisto un video o due su Deejay Television. Ciononostante, io polemizzavo con lei mettendo a contrasto i Duran Duran, questi giovinastri, con i Beatles, che erano grandi, altro che, e peccato che John Lennon l’avessero ammazzato. La mia conoscenza dei Beatles, naturalmente, si limitava a un raccoltone 1963-1966 su vinile che mi avevano regalato per il decimo compleanno. La mia conoscenza del John Lennon solista, invece, stava tutta in un altro raccoltone comprato al mercato, e che al contatto con la puntina del giradischi si era rivelato incapace di produrre alcun suono. Il mio argomento fondamentale, in questa reiterata discussione, si può riassumere nelle parole: “Eh, ma vuoi mettere i Beatles”.
Nei primi anni delle superiori ho usato di nuovo questa strategia e questo argomento, con minime variazioni e con un’altra compagna di classe, per sostenere la superiorità di un disco solista di George Harrison, Cloud Nine, su un album nuovo di questa cantautrice sconosciuta, Suzanne Vega. Sai che palle, che tristezza. Il disco era Solitude Standing, e Suzanne Vega, negli anni Novanta, sarebbe diventata una delle mie scrittrici di canzoni preferite. Dio, quanto è brava Suzanne Vega a scrivere microracconti in musica. E quanto mi vergogno, adesso, a riguardare il povero George Harrison fotografato per la copertina di quel disco minore: sorridente (è al settimo cielo, dopotutto: on cloud nine), con una camicia inguardabile, la zazzera permanentata che gli fa capolino dietro la testa, gli occhiali a specchio grandi come specchietti retrovisori e il cielo pieno di nuvole sullo sfondo (il tocco di classe didascalico definitivo, visto il titolo dell’album).
Negli anni Novanta avrei poi abbandonato George Harrison – quel George Harrison lì – per seguire Suzanne Vega, David Sylvian, The The, e altra gente degli anni Ottanta. Ma quando pubblicavano i loro primi album, Suzanne Vega, David Sylvian e The The li conoscevo poco o nulla, e il mio gusto si formava – Beatles a parte – sui video che passavano in TV. Per questo vi conviene ascoltare Folk the Eighties: perché negli anni cruciali della mia vita io ascoltavo questa roba qui, e in questo disco c’è il concentrato, rimescolato secondo i miei gusti di adesso, della mia inconsapevole giovinezza. Ci sono poi anche varie canzoni belle, perché non è che degli anni Ottanta potesse rimanermi attaccato solo il peggio, e le cose più tamarre in assoluto non le posso più soffrire – e le canzoni dei Bros manco me le ricordo, per dire. Ah, e Bruce Springsteen, Paddy McAloon dei Prefab Sprout, Morrissey & Marr ecc. sono dei geni, lo so: ma io ero un perfetto cretino, quando li ascoltavo, e quindi posso offrirvi queste canzoni come se vi portassi il fiore appena sbocciato della mia più fulgida ignoranza.
Oltre a me e alla mia ignoranza, in questo disco, ci sono Lorenzo Gasperoni (chitarre, ukulele, bouzouki e cajón), Paola Venturi (voce), e Francobeat Naddei (smanettamenti e mastering). Folk the Eighties lo trovate sulla homepage di SentireAscoltare fino al 31 maggio 2015, e poi al link diretto SentireAscoltare è lieta di presentarvi Folk the Eighties , e dal 1 giugno sul soundcloud (nine) di Massimiliano Morini. Ah, gli altri due motivi per ascoltarlo sono che è divertente e che è gratis.