Il Moro a zonzo: The Smiths, Ask (1986)
Credo sia il 1988, anche se la canzone è del 1986. Io sono in gita con la scuola, seconda A del liceo scientifico insieme alla seconda B. Gli unici – noi della A – che fanno tedesco, ma a parte questa bizzarria, una trentina di piccole persone assolutamente ordinarie. Io, insieme ad altri due o tre, faccio la parte di quello un po’ strano, ma solo perché come classe siamo talmente normali che se un pubblicitario ci vedesse, ci prenderebbe come campione e avrebbe finito di commissionare sondaggi. D’altro canto, fra quelli strani faccio la parte di quello normale, di quello che gioca a calcio (senza nessuna prospettiva).
Sono partito con questa gita con una serie di aspettative tanto vaghe quanto irrealizzabili. Le mie compagne di classe sono una serie di possibilità già campionate: nessuna con le carine, nessuna con le quasi carine, qualcuna, forse, con le bruttine. Le ragazze della B sono incognite di equazioni che non risolverò mai.
Le gite hanno mete e scopi didattici, ma i loro veri luoghi sono due: i pullman e gli alberghi. In pullman ci si siede secondo gerarchie non dichiarate: i secchioni e i fragili di stomaco davanti, i capipopolo dietro, tutti gli altri in mezzo. Io sono fragile di stomaco non confesso, sto in mezzo al pullman, e di solito ho il vomito facile. Ma in questa gita, chissà perché, mi va bene: forse ci sono parti del mio corpo che reclamano più attenzione, rispetto a stomaco e dintorni.
Girano discorsi, in pullman e fuori dal pullman, che io ascolto con l’aria di chi la sa lunga e il cervello stupefatto. Un compagno dice a me e ad altri che ha portato il cannonau, che non sembra ma ti ubriaca facile: mi sembra un nome bellissimo, cannonau, anche se non so cos’è – e naturalmente non chiedo.
Gira musica, in pullman, irradiata dai radioloni a pile dei più estroversi. Sentiamo un numero infinito di volte Bohemian Rhapsody dei Queen: le melodie cambiano sempre, ma certi pezzi ti prendono, soprattutto quando il cantante mescola parole italiane e inglesi. Però dopo un po’ ti stufa, è come una torta con tre strati di panna. Unisco la mia alle voci che gridano basta.
E poi qualcuno, non so se lo stesso di Bohemian Rhapsody, mette su una cassetta in cui c’è anche questa canzone allegra, trascinante, e fatta di uno strato solo. Io capisco solo Ask me, ask me, ask me, e non importa, perché è ancora il tempo in cui posso ascoltare una canzone inglese, ma anche italiana, senza veramente fare caso a ciò che dice. Qualcuno forse mi dice anche chi sono, questi, ma io faccio confusione e mi convinco che siano gli Housemartins. La canzone mi piace, ma non mi fa venire voglia di ascoltarne altre degli Housemartins. Il pullman va, è primavera, fuori dai finestrini c’è il sole.
La sera, in un albergo dalle parti di Napoli che sembra un villaggio vacanze coi bungalow, e probabilmente è un villaggio vacanze coi bungalow, imito i professori a beneficio di qualche compagna di classe e di qualche ragazza della B. Ridono moltissimo, e io penso: fare il bel tenebroso con le idee strane non ha funzionato, ma questo funzionerà di sicuro. Non funzionerà.