I miei ricordi dadolati: Prefab Sprout, Cars and Girls (1988)
Non so i vostri – ma i miei, di ricordi, sono avvolti nella nebbia. Mi ricordo di avere avuto una specie di morosa, all’asilo – ma non ricordo più chi fosse, che faccia avesse, e forse, alla fine, non ho neanche avuto una morosa. Ho in testa l’immagine del mare visto dalla barca di mio nonno – ma con la barca di mio nonno sono stato solo su canali infestati di zanzare, mi dicono, e non so se in mare ci sono andato con un’altra barca o solo a nuoto, vicino a riva, in mezzo alle alghe. Conosco persone – la Paola, per esempio – che sono sicure di aver fatto questo o quello, anche a tre anni. Per me, invece, tutti i ricordi fino ai diciotto sono come dadolati, pastellati, fritti e mescolati a un’insalata di immagini fisse. Quindi, per riformulare la metafora morta iniziale e far rivoltare nella tomba il povero Proust, i miei ricordi sono avvolti in una nebbia di olio esausto.
Da questa coltre maleodorante emergono anche piccole memorie musicali – non dei concerti a cui sono andato (perché non andavo ai concerti), ma di canzoni sentite alla radio o viste alla televisione. E una delle canzoni che ricordo meglio – la canzone, il video, le sensazioni che provavo – è Cars and Girls dei Prefab Sprout. Mi ricordo di averla sentita per la prima volta nella cucina di casa mia, di casa dei miei, quando avevo dodici o tredici anni. Era sera, e per qualche motivo davano questo video in TV, all’ora di cena. Probabilmente, subito dopo, c’era Goldrake – io aspettavo Goldrake, ed è arrivata questa canzone qui. Forse la davano al telegiornale. E c’era questo tizio con i denti strani, e la ragazza che cantava, e le voci eteree, e queste melodie che mi piacevano. E tutta la canzone, e il video con le macchinine, i parafanghi e le bamboline, le luci, la cantante con la frangia, il tutto aveva una strana atmosfera nostalgica che mi catturava senza un vero motivo, perché a quell’età non hai niente di cui essere nostalgico e sei nostalgico lo stesso.
Ecco, io pagherei per sapere davvero quando ho visto per la prima volta il video di Cars and Girls – perché questa dadolata di ricordi, ovviamente, puzza di olio bruciato. La canzone è del 1988, e io nel 1988 avevo sedici anni. Non c’era Goldrake subito dopo, o se c’era io non lo guardavo più. Ed è facile che il video non l’abbia visto a tavola coi miei, all’ora di cena. L’unica cosa sicura e sensata di questo ricordo, di tutti i ricordi, è una sensazione: quella nostalgia che mi ispirava la canzone, la bellezza storta del video che era anni Ottanta ma anche no, come il gilè rosso decorato che indossava lui, il cantante, che aveva i capelli lunghi e la bocca aperta anche quando nella canzone non c’era il cantato.
Molto più avanti ho scoperto che Cars and Girls, in realtà, è una canzone satirica: prende in giro Bruce Springsteen (“Brucie”) per il suo manicheismo americano da grandi spazi e lunghe strade, e lo fa da un punto di vista empirico e molto britannico. Ma quando si dice a un bambino di non toccare la presa di corrente, al bambino rimangono in mente solo le parole “PRESA DI CORRENTE”. E quando Paddy McAloon canta “Some things hurt more, much more than cars and girls”, io sento soprattutto “CARS AND GIRLS”, come da ragazzino. E poi mi risuonano in testa, e mi danno le stesse sensazioni che non provavo a dodici anni davanti al televisore della cucina dei miei, le parole del bridge, fatte di vocali e di aspirate, di aria e di sole:
Does heaven wait
all heavenly
over the next horizon?
Ci aspetta tutto paradisiaco, il paradiso, oltre il prossimo orizzonte? O è lì che rimetterò insieme tutti i dadini ancora da friggere?