Honeybird & the Birdies
Cosa fai una domenica pomeriggio a Torino, quando il sole fa timidamente capolino dietro quelle nuvole che lo hanno imprigionato per tutta la settimana impedendogli di scaldare a dovere quei bipedi drammaticamente abbisognanti dei suoi raggi benefici? è semplice, vai a El Barrio, che ci suonano gli Honeybird & the Birdies. El Barrio è solo apparentemente decentrato nel quartiere Falchera nell’estrema periferia della città, in realtà è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici essendo a un passo dalle grandi arterie metropolitane, come corso Giulio Cesare, corso Vercelli e corso Grosseto, questo lo dico a eterna vergogna di tutti coloro che, non dotati di mezzi propri, domenica scorsa
(la data precisa, chissà perchè mi suona fuori luogo) hanno deciso di perdersi un piccolo memorabile concerto nel prato di El Barrio, un concerto profumato da allettanti odori provenienti dal grill, rallegrato dallo sciabordio di un mare di birra che allietava grandi bicchieri trasparenti, un concerto colorato dal sole che ben conosciamo avendolo incontrato poche righe fa, dalle foglie degli alberi, dal giallo dei tavoli e dagli interessanti vestiti di Honeybird & the Birdies.
Io ho conosciuto Honeybird & the Birdies tramite la segnalazione di un amico che li aveva visti al concertone del primo maggio, concertone che in grande letizia mi ero perso dal momento che ho una lunga serie di difficoltà ad accettare quel che mi viene proposto/imposto dalla televisione e perchè avevo comunque cose più importanti da fare. In seguito all’entusiastica segnalazione dell’attento amico (“non conosci Honeybird & the Birdies? ma sei messo davvero così male?”) ho cercato questo “strano” gruppo su youtube e, avevate dei dubbi? l’ho trovato. Potete cercarlo pure voi, ascoltare le interviste, le canzoni e dopo farvi un idea anche abbastanza corretta di tutto quanto il progetto, idea che, comunque, non renderà mai pienamente giustizia alla realtà.
Quando vi capiterà di ascoltare questa band dal vivo c’è la seria possibilità che ve ne innamoriate prima di averne udita una sola nota. Vi colpiranno i loro vestiti riciclati e ricuciti, coloratissimi, le collane di fiori appese qua e là, i boa in finte piume di struzzo, quella marea di oggetti, musicali e no, che vedrete sparsi sul palco. Sarete colpiti dalla faccia di Walkietalkie Bird (Federico) che vi richiamerà immediatamente paesi e ritmi lontani, nonostante la provenienza torinese, e vi colpirà anche lo sguardo attento di P-Birdie (Paola) che vi farà immediatamente comprendere che lei è una che la musica la conosce davvero a fondo ma che vi trasmetterà anche il calore della sua Catania e forse anche i fuochi d’artificio dell’Etna. Infine Honeybird (Monique), da Los angeles, vi darà il colpo di grazia e correrete a comprare il loro dischi, le loro magliete e tutto il merchandising che vi troverete tra le mani e questo, ricordiamolo ancora una volta, senza avere ancora ascoltato una sola nota proveniente dalle loro ugole o dai loro strumenti.
Quasi non mi va di parlare di musica talmente Honeybird & the Birdies sono belli, ma non farlo vi potrebbe dare l’impressione che si tratti di un gruppo eccessivamente concentrato sull’immagine, impressione a mio avviso totalmente errata perchè l’immagine che portano in giro è la conseguenza di quel che sono e se sono eccessivamente belli non c’è mica niente da fare, ci si può solo consolare constatando che sono pure bravi in maniera esagerata. Chi troppo e chi niente, mannaggia!
Però rimane il fatto che quasi non mi va di parlare di musica, forse perchè non sono abbastanza bravo per farlo, forse perchè la musica è il risultato di molti “slanci” e mi piacerebbe davvero conoscere quegli slanci, prima del risultato… mi piacerebbe molto parlare dell’innocenza e dell’entusiasmo con la quale Honeybird si pone nei confronti di chi ascolta quel che propone o di chi, dopo il concerto, la ferma per farci quattro chiacchiere, l’innocenza e la gioia con la quale ascolta le composizioni degli altri e l’innocenza con cui racconta le cose in cui crede, l’innocenza e la meraviglia con la quale si avvicina agli oggetti che la circondano e l’innocenza con la quale ascolta le cose più banali che il suo interlocutore può dirle. Il fervore per la vita, per le cose che la circondano e per quelle ancora da scoprire, la capacità di estrarre l’arte da ogni cosa, che si tratti di uno strumento musicale o di una visita medica. Questa ragazza è davvero forte, dovete credermi sulla parola, in più ha un argentovivo addosso che meno della metà basterebbe a far vivere meglio me e voi, miei cari 7 lettori.
Honeybird & The Birdies sono un gruppo di polistrumentisti che si muovono, durante lo stesso concerto, tra un set classicamente elettrico (basso, chitarra, batteria con eventuale inserimento di tastiere) ad altri squisitamente acustici o addirittura etnici (chitarra acustica, charango, ukulele, ukulele basso, cajon, percussioni varie, pelli, campanelli, ombrelli), tutto questo, insieme ai colori e alla loro naturale allegria potrebbe far pensare che siano dediti a una musica semplice, se non addirittura di facile ascolto invece non è così: il loro aspetto contribuisce a rendere accessibile una musica piuttosto importante, difficilmente etichettabile e attraversata da molte influenze, non ultima (almeno a mio parere) il rock, nonostante il frequente uso di strumenti tradizionali
e a volte autocostruiti e chiaramente il Folk, per quello che può significare questo termine. La mia ignoranza me li ha fatti avvicinare ai Mano Negra e allo stesso Manu Chao ma è meglio che non mi sbilanci troppo e lasci la parte relative alle “influenze artistiche” a coloro che sono nati per enunciarle. In realtà formazioni come Honeybird & the Birdies, mi richiamano alla mente molto facilmente i gruppi Skiffle che imperversavano nell’Inghilterra pre-beatlesiana e le Jug Band di americana memoria, gruppi che oscillavano tra vari generi ma che avevano come tratto distintivo l’uso di strumenti acustici, semplici, popolari e spesso realizzati con oggetti della vita di tutti i giorni. E in effetti non mi meraviglierebbe affatto vedere Honeybird & the Birdies, in futuro, usare strumenti come Washtub, Washboard, Kazoo, Jug e cucchiai vari. E’ un approccio strumentale, questo, che mi vede totalmente favorevole (lo sapete già miei cari 7 lettori per aver letto gli articoli sugli stompbox che mi sono costruito da me con le mie sante manine: qui e qui) anche perchè abbassa drasticamente il costo della musica suonata, e scusate se è poco.
A El Barrio, domenica scorsa, gli Honeybird & the Birdies, hanno suonato tutti i loro strumenti, hanno cantato, ballato e spiegato le loro canzoni, hanno fatto bis, battute divertenti, lanciato idee, proposte e ci hanno consentito di trascorrere un pomeriggio davvero piacevole, in compagnia del profumo della campagna non troppo lontana e quello dei manicaretti che venivano preparati in cucina. Io non so raccontar bene le cose, già lo sapete, e non so raccontar bene neppure questo gruppo, così originale da farci credere di conoscerlo da tutta la vita, così divertente da non farci quasi notare la sua serietà. Un gruppo che un paese come il nostro probabilmente non merita e che non sa valorizzare, ma che è nato proprio qui e questo dovrebbe renderci veramente orgogliosi.
Il loro ultimo disco si chiama “You Should Reproduce”, lo trovate tramite i soliti canali. Il loro sito è www.honeybird.net e su Youtube trovate molto materiale su di loro, usatelo per cominciare ad amare gli Honeybird & the Birdies, e poi mettetevi in attesa: prima o poi suoneranno anche dalle vostre parti.