Honeybird & the Birdies: l’intervista
Non è facile definire in modo esaustivo gli Honeybird & the Birdies, almeno per me che non riconosco nessuna delle etichette che usualmente vengono appiccicate alla musica, escludendo quelle classiche e immediatamente riconoscibili: rock, folk, country, prog, reggae, ska, tango, flamenco, tarantella e poche altre. Non ho difficoltà ad ammettere che la mia è solo squallida ignoranza all’ultimo stadio ma che volete, miei cari 7 lettori? alcune cose cambiano difficilmente e fan fatica ad adeguarsi alle nuove terminologie, al luminoso sole dell’avvenire dietro le spalle, e chiedo scusa a Vittorio Gassman per l’inopportuna citazione: io sono una di quelle cose. Così quelli più duttili di me, meno duri di comprendonio, sono in grado di raccontarvi la musica dei Birdies in mille modi differenti, citandovi generi particolari o talmente ampi da includere l’intero scibile umano relativo al pentagramma, io non ne sono capace e se proprio fossi costretto a farlo vi direi che suonano del rock contaminato da diverse influenze tradizionali. Gli Honeybird & the Birdies sono una delle migliori band italiane attualmente in circolazione e sicuramente quella dalla quale tutti si aspettano di più in futuro, considerando le grandi potenzialità individuali dei tre componenti e quel voler assimilare nella loro tutta la musica che, giorno dopo giorno, incontrano sulla strada.
Questa è solo una introduzione alla lunga intervista che Monique “Honeybird” Mizrahi e Paola “P-birdie” Mirabella mi hanno gentilmente concesso, una introduzione, per quanto breve, completamente inutile dal momento che tutti voi conoscete il gruppo per averlo visto all’opera, con grande successo, durante il concerto del primo maggio 2013 o, se siete dei fortunati e abituali frequentatori di Stonehand Express, per aver letto l’articolo a loro dedicato (qui). Lasciamo perdere allora le chiacchiere superflue e tuffiamoci nelle parole delle due ottime musiciste, non prima però di avervi indicato il loro il sito web dal quale potrete risalire a tutte le informazioni che vi servono sulla band: www.honeybird.net. Per acquistare il loro ultimo, bellissimo, disco (You Should Reproduce) seguite i link indicati in quest’altra pagina: www.trovarobato.com/honeybird-a-the-birdies.
E ora, finalmente, sotto con l’intervista!
Togliamoci subito il dente che duole e affrontiamo di petto la questione più spinosa: Honeybird & the Birdies hanno un nuovo disco in cantiere? ci sono canzoni già pronte? quando comincerete a registrarlo?
Paola: Un disco in cantiere è segno di attività, di processo compositivo musicale in corso, di stimoli, di sensazioni…quindi direi assolutamente si! Già abbiamo nuove idee che circolano dentro ognuno di noi, sprazzi di canzoni che ci canticchiamo in testa. In autunno inizieremo il processo vero e proprio di chiusura in sala per iniziare a comporre quelle che poi saranno le canzoni del prossimo disco. Ancora nulla di veramente pronto ma i lavori stanno per iniziare.
Il vostro ultimo disco, You Should Reproduce, come vendite e apprezzamenti da parte di pubblico e critica, sta rispettando le vostre aspettative?
Paola: Direi che le aspettative sono state di gran lunga superate. 90 concerti da novembre ad oggi, e ancora tanti altri giri ci aspettano. Abbiamo di recente ristampato altre copie del disco, dopo aver esaurito le prime 1000. Abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo e siamo stati in giro per l’Europa. Cos’altro si può volere?
Paola, tu sei una polistrumentista, cosa hai suonato nel disco?
Paola: Polistrumentista è una parola che mi piace molto, anche perché non riesco a vedermi suonare un solo strumento. Nel disco ho suonato principalmente la batteria e cantato, ma ci sono stati ampi spazi per percussioni varie, chitarra acustica e ukulele.
Spiegate ai lettori di Stonehand Express perchè dovrebbero comprare You Should Reproduce.
Monique : Perchè fa bene all’anima e core, espande l’universo, aumenta il desiderio e la voglia di fare, dà energia, e fa star bene.
You Should Reproduce è davvero un consiglio così sbagliato?
Monique : Sì. E’ stato totalmente fuori luogo venendo da una ginecologa. La pressione che viene spesso messa sulle donne, a riprodurre, crea un meccanismo malato dove molte fanno figli perchè si sentono obbligate. Nessuno è obbligato e nessuno “dovrebbe”. Riproduciti solo quando e se sei pronto, e non in base ai consigli di altri.
Quando e come vi siete incontrate e perchè avete deciso di creare gli Honeybird & the Birdies?
Paola: Ho incontrato Monique ad una festa ormai 8 anni fa. E’ stato amore a prima vista! Senza manco presentarci ci siamo ritrovate a suonare insieme e da lì la sintonia e il destino hanno fatto il resto. Potrei quasi dire che il mio arrivo a Roma è coinciso con l’inizio di questo magico mondo che oggi sono gli Honeybird & the Birdies. lei già suonava, io pure, si cercava qualcuno con il quale portare in giro la propria musica e quale accoppiata migliore del binomio Catania-Los Angeles…
Il vostro è un progetto partito da due donne, ma l’ambiente della “musica leggera” è letteralmente dominato dagli uomini. E’ complicato per una donna muoversi al suo interno? voi avete trovato delle difficoltà che un uomo non avrebbe incontrato?
Paola: Da sempre l’essere donna e suonare insieme a un’altra donna è stato simbolo di forza e bellezza per me. Credo fermamente che ogni donna sia capace di far musica e affermarsi allo stesso modo degli uomini. E’ anche vero, come dici tu, che le donne sono poche in questo giro. Spesso quando arriviamo ad un locale e iniziamo il soundcheck, il fonico si rivolge istintivamente a Federico chiedendo: sei tu il batterista? ed io alzo la mia piccola manina dicendo: no, sono io!
Federico “JolkiPalki” Camici è entrato nella banda solo recentemente, in sostituzione del vostro precedente bassista. Perchè tra tanti avete scelto proprio lui?
Paola: Il nostro percorso musicale ci ha tenuti legati al vecchio bassista per 4 anni. Poi, per vari motivi, questa unione si è sciolta. Abbiamo iniziato a provare alcuni bassisti e un bel giorno arrivò lui…bastò guardarsi con Monique per capire che era lui. Perfetto per noi, proprio quello che ci voleva!
Avete recentemente intrapreso un tour europeo che, passando anche per la mia città, Torino, vi ha portati in Francia, Portogallo e Spagna, con tappa al famoso Primavera Sound di Barcellona. Che avventura si è rivelata? cosa è rimasto di questo tour?
Monique : Il nostro tour europeo a maggio è stata una vera avventura, confermo! Abbiamo dormito poco, guidato tanto, e suonato in 15 date successive. E’ stata un’ulteriore conferma che cio’ che facciamo rende, piace e fa ballare godere e stare bene alla gente. Si comunica. Si vive. Si esprime dal palcoscenico e questa risposta dal pubblico è stata stupenda. Il tour ha confermata la nostra voglia – e bisogno – di continuare a “spaccare” creare suonare e girare!
Un’avventura che mi rimane impressa è stata a Vila Real nel nord del Portogallo dove durante la cena è passata una processione per Fatima, tutti a cantare. Sono uscita subito per partecipare e camminare con loro. Accanto a questa scena, il nostro backdrop (2m x 2m) con l’immagine del “You Should Reproduce” Tour appesa fuori in balcone sul locale dove abbiamo suonato, giusto da dove passava la processione. Un immagine pazzesca e bellissima.
Al concerto del primo maggio 2013 siete state tra le migliori band partecipanti, se non la migliore in assoluto. E’ stata una esperienza importante? vi è stata d’aiuto per la vostra carriera?
Paola: Il primo maggio è stato forse l’unico concerto dove sono riuscita a trattenere il fiato per i 7 minuti di esibizione…mozzafiato! Non provavo un emozione così da parecchio. Trovarsi davanti quella folla immensa di gente, che ballava e ti applaudiva, è stato una soddisfazione non da poco. In Italia è un concerto molto importante, quindi l’averne preso parte è stato oggetto di conquista e affermazione. La nostra carriera non ha subito particolari risvolti dopo, se non migliaia di interviste e molta gente che ci diceva: ehi, ma voi siete quelli del primo Maggio!
Sulla scena portate vestiti molto colorati e messi insieme da voi con pezzi riciclati da altri capi d’abbigliamento dismessi, credo che non si tratti solo una trovata estetica ma della bandiera di un qualcosa di più profondo. Ce ne volete parlare?
Monique : Sì. Questa è una nostra ricerca sulla Pacha Mama, sull’ambiente, sul vivere oggi in un momento storicamente difficile al livello economico e umano. La città puzza e la spazzatura ci circonda e quindi tocca a noi cercare modi di creare meno rifiuti. La creatività in questo non manca, abbiamo fatto mille sperimenti per arrivare a ciò che vedi indosso e suonato nel nostro live. Stimiamo tutti gli artigiani del mondo e cerchiamo di vivere e suonare in sintonia con la natura.
Ho notato che dal vivo suonate molte percussioni autocostruite e a volte rudimentali, perchè questa decisione?
Monique: Questo fa parte della nostra ricerca. Una ricerca di nuovi suoni, nuove scoperte, nuove proposte, e anche non ti nascondo che nasce dal bisogno di usare la creatività quando non ci si puo’ permettere di comprare nuove percussioni al negozio di musica. Attraverso la creatività supereremo la crisi. Attraverso la creatività tutto si può raggiungere e le possibilità sono illimitate.
I vostri strumenti riciclati ricordano la filosofia dietro la musica skiffle che imponeva di fabbricarsi da soli la maggior parte degli strumenti che si suonavano o di adattare a tale scopo oggetti di uso comune. Da qui l’uso di assi da lavare, cucchiai, brocche varie, manici di scopa con casse da the e altre magnifiche reinterpretazioni in chiave musicale di attrezzi e utensili della vita comune. Ditemi che cosa pensate dello skiffle e se anche voi, prima o poi, vi farete conquistare dal fascino di washboard, washtub, jug e kazoo.
Monique: Certo! Figata!! Non conoscevo questo “skiffle” music, great… una nuova scoperta. Grazie!!
Si può fare il riso all’indiana senza curry?
Monique: Molti guru hanno provato, ma finora nessuno è riuscito. Il curry buono è proprio buono!
I vostri testi sono tutti in inglese, a parte qualche escursione nel macedone o nel catanese. La decisione di non cantare in italiano è frutto della globalizzazione, è una scelta artistica dovuta al desiderio di conquistare una audience internazionale o è solo perchè l’inglese è la lingua madre di Monique?
Monique: I nostri testi non hanno nessuna limitazione di lingua né di dialetto, assolutamente aperti, e mentre i nostri testi sono anche in inglese, in realtà quasi la metà del nostro repertorio di brani originali sono in altre lingue 😉 Comunque sia, non c’è stata una decisione di non includere un brano in italiano, semplicemente gli altri brani giravano di piu’ e sono entrati nel disco. L’inglese è la mia madre lingua, ma studio oltre 90 lingue e credo fermamente che cantare -e parlare- altre lingue ci permette di comunicare e connetterci con piu’ persone. Non solo – è anche un modo di stimolare le persone e far incuriosire verso diverse culture e modi di comunicare. Di questo abbiamo bisogno, di ascoltare piu’ gli altri, di aprirsi piu’ agli altri, di crescere come umanità. Basta con la discriminazione e l’arroganza.
Trovo che le lingue sono musicali e come è bello usare diversi strumenti e tecniche per suonare, è anche bello usare diversi linguaggi per comporre testi e cantarli. L’esperienza è completa, ho un processo intenso per arrivare a cantare in lingue molto diverse, come il giapponese, l’arabo, lo svedese… è una sfida e mi piace.
[N.B. In realtà, abbiamo un brano in italiano (“Bombogatto”) che non è finito sul disco, ma che è molto divertente e che facciamo dal vivo all’interno del “You Should Reproduce” Tour.*
I testi sono scritti principalmente da Monique mentre le musiche sono firmate da tutti e tre. Andiamo, come si fa a scrivere la musica in tre? è francamente impossibile quindi o le vostre canzoni semplicemente nascono da jam session comuni oppure non la raccontate giusta.
Paola: Noi non scriviamo musica in tre, ma semplicemente ci ritroviamo in sala e ognuno dà libero sfogo a ciò che ha dentro. Il risultato che ne esce sono le nostre canzoni. La sintonia e le diversità di ognuno di noi creano quella miscela che ci rende i birdies.
Avete idee politiche?
Paola: La política per me è sempre stata un mondo lontano ma comunque affascinante. Ciò in cui credi ti rende ciò che sei. Nel corso della mia vita mi sono fatta una vaga idea di cosa è “bene” e cosa “male”, anche se ultimamente le carte si stanno mescolando a casaccio. Meno male che c’è la musica a distogliermi!
I politici italiani ci dicono che siamo sempre in emergenza, ma non è forse che invece abbiamo solo una “emergenza-politici”?
Monique: Non capisco bene la domanda, ma comunque trovo che la politica italiana sia molto difficile di seguire. Mi spiace tanto perchè la politica è una parte importante della nostra vita. Nonostante 13 anni di vivere a Roma ancora mi costa seguire – tra scandali e decreti – cosa veramente accadde qui.
E’ inevitabile, nella musica, l’impegno sociale?
Monique: Assolutamente sì.
Quanto la vostra musica, con le dovute differenze, deve a quella dei Négresses Vertes e dei Mano Negra?
Paola: I primi non li ho mai sentiti dire e i secondi li conosco poco. Forse direi poco?
Cosa ne pensate di Manu Chao?
Monique : Mi sembra un tipo molto in gamba e mi piacerebbe collaborare insieme!
Che musica ascoltate, abitualmente?
Paola: Da quando ero piccola ho sempre ascoltato davvero di tutto. Spesso vado a periodi, concentrandomi su un determinato genere o artista. Prediligo comunque la musica brasiliana, il folk delle origini e ovviamente tutta la musica brasiliana. Non escludo mai jazz o rock intenso. Gli altri due birdies si trovano affini a me per molte cose, con le dovute deviazioni verso l’afrofunk e il balcanico per Federico, e il math rock, la musica un po’ più sperimentale e il rock dei tempi andati per Monique.
La musica può davvero superare le bandiere o è solo un modo di dire?
Monique : La musica supera tutte le bandiere. La musica è espressione ed è universale. La musica unisce il mondo.
Al di là dell’allegria, dei colori con i quali vi vestite, delle coreografie e delle facce dipinte, la vostra musica è piuttosto complessa. Avete mai pensato di semplificarla per renderla più immediatamente accessibile, seguendo un po’ la via tracciata proprio da Manu Chao soprattutto nei primi due album solisti zeppi di canzoni importanti ma di presa assolutamente immediata?
Monique: La complessità è una cosa che affrontiamo spesso in sala prova. La cosa bella di questo gruppo è che veniamo da tre esperienze musicali diverse, e quindi ciò che proponiamo è un insieme di noi tre. Trovo che stiamo sempre definendo di più il nostro suono e la nostra proposta musicale. Ammetto, tendo io ad essere quella con le proposte musicali più “complesse”, ma ti assicuro che non è mai per motivi cervellotici o masturbatori, sono modi miei di esprimermi. Poi una volta che insieme abbiamo macinato e arrangiato il pezzo, ti assicuro che le prossime cose che sentirai ti piaceranno e che avranno la capacità di arrivare ad un pubblico più numeroso.
Non si tratta di semplificare, ma di suonare tanto, di arrangiare ascoltando il proprio istinto, il corpo e sopratutto il vibe. Se ci gira bene, se su un palco arriva, se durante il brano si sente quella magia che solo la musica può dare, allora ci si presenta al mondo e si invita tutti a viaggiare con noi, senza neanche pensare al “complesso” o “semplice”. Penso più che mai che quando la musica è bella, è bella, al di là di quanti accordi o modulazioni ci sono. Look out world, here we come!!
Durante i vostri concerti passate da un set completamente elettrico, con batteria, Telecaster e basso Precision a uno completamente acustico in modo assolutamente indolore, con la vista unico senso capace di percepire la differenza. Sto parlando anche di feeling e di carica “interpretativa”. Come riuscite a ottenere questo risultato?
Paola: Ci piace essere vari e poter portare in scena ciò che creiamo. E’ come se avessimo molteplici sfaccettature, da quelle più “cattive” ed elettriche a quelle più “freack folk” acustiche. Il tutto arriva sul palco con naturalezza e viene interpretato secondo i nostri singoli sentimenti. Basta sentirsi l’un l’altro.
Paola, tu sei una musicista di impostazione classica, perchè hai deciso di frequentare il conservatorio in una città tanto lontana dalla tua?
Paola: Nessuno mi aveva mai etichettato come musicista di impostazione classica. E i miei trascorsi lo testimoniano. Dopo due improbabili anni di scienze per la comunicazione a Catania, decido di partire per Roma, decisissima a studiare musica. Non altrettanto decisa su quale strumento scegliere
Alla fine propendo per il canto. Dopo 3 anni di una scuola privata prendo un diploma, che non è laurea. Decido allora di iscrivermi al conservatorio di Frosinone, sempre per continuare gli studi di canto. Ma l’attività concertistica con i birdies aumenta a dismisura e la frequenza obbligatoria mi impone una scelta. Facile immaginare quale sia stata. Da sempre si nascondeva in me la voglia di studiare musica. Ho scelto Roma perché la trovavo una città un po’ a metà tra l’espatrio verso nuove esperienze e l’aria di Italia e quindi di casa. Col senno di poi, però, posso affermare con ferma certezza che sì, gli studi sono importanti, ma poi bisogna mollare ogni regola, teoria, schema, e andare (come si dice qui a Roma) “de panza!”.
Cajaffari è un tuo brano cantato in dialetto catanese. E’ autobiografico?
Paola: Bè un po’ di me c’è di sicuro. La classica esclamazione “che devo fare” mi appartiene molto, sia in quanto P-birdie che in quanto sicula doc che spesso si lamenta di ogni cosa. Parla un po’ dell’amore, e della voglia di viverselo liberamente (anche questo leggermente parte della mia vita). Parla di chiunque abbia voglia di sentirsi leggero come una farfalla, e folleggiare e destra e a manca.
Monique afferma che sei tu quella che prepara le coreografie della band. E’ vero?
Paola: Questa domanda è molto divertente. In realtà tra i birdies sono l’unica che ha alle spalle 10 anni di danza classica e contemporanea quindi si, qualche consiglio l’ho dato, ma la fantasia dei ballerini è stata fondamentale.
Paola, Stonehand Express è seguito da parecchi appassionati di ukulele, strumento che anche tu suoni, facciamoli felici e parliamone un po’. Come l’hai incontrato e perchè l’hai scelto?
Paola: L’ukulele, in scala cronologica, è l’ultimo strumento che ho incontrato e che adesso suono durante i live. Lo trovai per caso, perché un amico ce l’aveva e me lo prestò per sperimentarci sopra. Il risultato è stato che non l’ho più mollato! E’ perfetto in grandezza, praticità, e tipo di atmosfera che crea. A proposito: sai che per il compleanno me ne hanno regalato uno nuovo tutto per me? E sai pure che in hawaiano ukulele vuol dire “pulce che salta”? fantastico!
Paola, qual’è il tuo punto di forza e quale il tuo punto debole?
Paola: Il mio punto di forza potrebbe, e sottolineo potrebbe, essere la dolcezza intensa. Nel senso, sono una persona molto solare, nella musica e nella vita in genere, ma mi piace anche concretizzare le cose ed essere il più pratica possibile. Il mio punto debole, e te ne cito solo uno se no è la fine, potrebbe essere la permalosità. Tutto il resto è storia!
A ognuno di noi, assistendo a qualche famoso talk show, è venuto spontaneo cercare una propria versione delle repliche che gli ospiti in studio fanno a quei quesiti rituali che l’anchor man di turno inevitabilmente pone loro. Grazie a Stonehand Express quelle risposte che avete tenuto dentro per tanto tempo ora possono diventare pubbliche! le ultime sei domande di ogni intervista sono sempre le stesse, tre tratte da storici programmi televisivi di chiacchiera e tre completamente originali: sono gli Standards di Manodipietra. Let’s go:
Raccontami un aneddoto.
Paola: Mentre rispondo a questa domanda preparo le valigie per le mie vacanze in Sicilia, e quindi a casa. L’aneddoto che mi viene da raccontare riguarda il mare, che quest’anno bramo e attendo come non mai. Ero piccolina, e passavo intere giornate a mare. Adoravo stare a mollo nell’acqua. Un pomeriggio di settembre iniziò a piovere, di quella pioggia che scroscia e scende giù impetuosamente. Ma, in fondo, era solo acqua e quindi perchè non unirla ad altrettanta acqua…e allora splash!!! Bagno a mare con onde che si mescolavano alla pioggia…una purificazione tra avventura e pericolo che ancora ricordo con malinconia.
Cosa c’è dietro l’angolo?
Paola: Dietro l’angolo c’è un gatto bianco. Sta accoccolato li’, proprio in quell’angolo, sereno e assopito.
Di che colore è la notte?
Paola: La notte è indiscussamente blu. Di quel blu intenso e pacifico, che permette di vedere le stelle e fantasticare su cosa ci sia al di là di tutto quello che i nostri occhi non riescono a vedere.
Com’è il tuo rapporto con gli intervistatori?
Monique: Ottimo, grazie. E un piacere essere intervistata, soprattutto quando le domande sono ricercate, interessanti e pertinenti.
Il tuo piano per salvare il mondo?
Monique: Continuare a creare e suonare musica dal vivo per riempire il mondo con un esplosizione di colori, suoni psichedelici, testi stimolanti da far finire le discriminazioni, e una valanga di positività. Come dice Tom Zé, “la felicitá è inevitabile”.
Hai qualcosa da aggiungere?
Monique: No grazie, giusto un caloroso invito ad un nostro prossimo concerto! Cheers!!
Grazie per l’intervista, e scusate per tutto il resto.
Paola: Grazie a te Manodipietra e Stoneheand Express!
That’s all. Avrei voluto fare ancora qualche domanda, in particolare sull’importanza del boa di struzzo nell’economia di un concerto, sul charango e sui campanelli colorati, ma visto che l’intervista è già lunga così, ho pensato di tenermi buoni questi argomenti per la prossima volta che i Birdies decideranno di perdere un altro po’ di tempo con me. Riuscirete ad aspettare fino ad allora, cari i miei 7 lettori?