Ho lasciato tutto acceso – Enrico Farnedi
Il mio iPod, come del resto il vostro, tiene traccia di tutto quel che ascolto e può creare una playlist con la classifica dei miei brani preferiti. Tenetevi forti, cari lettori, perchè codesta classifica sta per essere svelata e voi riuscirete a scoprire, vostro malgrado, quali sono le 15 canzoni che Stonehand ascolta più spesso!
Al primo posto troviamo I Shall Be Released, di Bob Dylan eseguita però dalla Band, con la struggente interpretazione vocale, in falsetto, del compianto Richard Manuel. Una canzone che non mi stanco mai di ascoltare e che anche voi dovreste ascoltare più spesso, infedeli! Al secondo posto troviamo I Feel Like I’m Fixin’ to Die Rag, di Country Joe Mc Donald, l’inno contro la guerra più attuale di tutti i tempi, basta sostituire la parola Vietnam con quella del posto dove è stata lanciata l’ultima “missione di pace” et voilà, il gioco è fatto, provare per credere. Subito dopo viene un tradizionale americano, Buffalo Gals, nella bellissima versione contenuta nelle Seeger Sessions di Bruce Springsteen e dopo ancora troviamo la magica Ripple, dei Grateful Dead. Alla posizione 5 c’è la bellissima How Can A Poor Man Stand Such Times And Live di Blind Alfred Reed, tratta ancora dalle Seeger Sessions mentre al ottavo, nono e undicesimo posto ci sono tre famosissimi brani ancora dei Grateful Dead: Friend of the devil, The Golden Road e Casey Jones, al dodicesimo posto, infine, ecco Erie Canal, contenuta anche lei nelle famose Seeger Session.
Come dite? mancano sei brani per arrivare a quindici e in particolare le posizioni 6, 7, 10, 13, 14, 15? Lo so, e la cosa più strana è che queste misteriose canzoni sono entrate nel mio iPod da un paio di settimane appena mentre gran parte delle rimanenti 4000 ci vivono ormai da tempo immemorabile e di conseguenza hanno avuto molteplici occasioni per essere ascoltate e salire molto in alto nella classifica in questione…questo vuol dire che le canzoni di cui non vi ho detto debbo averle ascoltate veramente tanto, considerando il breve tempo trascorso dalla loro immissione nella mia scatoletta musicale. Non ve ne dirò i titoli, per ora, vi basterà sapere che sono tutte contenute nell’album Ho lasciato tutto acceso, di Enrico Farnedi.
Enrico Farnedi è di Cesena e si capisce subito. A essere onesti non è che se ne capisce proprio la città di provenienza, si capisce più che altro che viene da quelle parti là, per quel modo che solo i romagnoli hanno di vedere la vita: tristemente tragica ma con un mucchio di mare, ombrelloni e non poche ragazze svedesi. La Romagna è la terra promessa di ogni poeta o cantastorie, il luogo ideale dove poter convivere con il proprio, Joyciano, monologo interiore e mandarlo a farsi benedire, almeno per il tempo che serve per un buon bicchiere di Sangiovese o magari una birra oppure una sbirciata a quella tedesca che quanto sarà alta? due metri? La Romagna è il luogo più cosmopolita della terra ove chiunque può diventare cittadino onorario per almeno 15 giorni, è il luogo dove la più cocente delusione d’amore non può essere presa seriamente, non se sta passando l’uomo con il cocco, la Romagna è il posto dove Guccini sarebbe dovuto nascere e dove sarebbe diventato il poeta massimo d’Italia, altro che Dante. Quando Enrico ride ci vedi subito la Romagna e intuisci subito dove andrà a parare con la sua musica. Parlo per esperienza personale, naturalmente, perchè io Enrico Farnedi l’ho conosciuto a Caldogno, in occasione dello Youkulele Camp, e mi sono fatto fare una bella dedica sul disco che contiene quelle canzoni che momentaneamente stanno occupando le posizioni 6, 7, 10, 13, 14, 15 della mia personale classifica di canzoni preferite di ogni tempo, ma che potrebbero, chissà, anche ambire a salire molto più in alto, tra qualche giorno.
Enrico Farnedi non è l’ultimo arrivato e se andate sul suo sito (www.enricofarnedi.it), nella sezione “discografia”, ve ne accorgerete subito: non solo suona la tromba nei Good Fellas essendone anche il principale arrangiatore, ma ha collaborato con una infinità di musicisti di primissimo piano tra i quali Vinicio Capossela, Quintorigo, Sam Paglia, Montefiori Cocktail, Tanita Tikaram, Cesare Cremonini, Steve Coleman, Cheryl Porter, Cochi & Renato e la mitica Françoise Hardy, roba che per cantare con Francoise Hardy io scalerei l’Everest in canottiera. Un pedigrèe niente male per un cantautore debuttante, non lo pensate anche voi, cari lettori? perchè con “Ho lasciato tutto acceso” Enrico Farnedi fa un doppio salto carpiato, abbandona, momentaneamente o apparentemente, swing e jazz e si butta a capofitto nel mondo dei cantautori, sventagliando sulla faccia dei suoi colleghi non solo una bella raccolta di canzoni, ma un modo di farle, le canzoni, molto raro, che si può incontrare solo in autori come Capossela, Jannacci o Gaber. Eh, ma però Enrico è di Cesena, capite, è romagnolo e quindi multiculturale e multirazziale già a partire dal DNA, e così nelle sue canzoni potete trovarci qualunque cosa vogliate, qualunque cosa riusciate a immaginare. Non ci credete? provate ad ascoltare il disco e, come è successo a me, scoprirete proprio la musica che voi preferite, quella che amate di più, plasmata e adattata per la voce e l’ukulele di Enrico Farnedi. Miracoli della Romagna, la terra dove sarei dovuto nascere, se solo fossi stato un po’ più furbo o nel quale mi sarei dovuto trasferire, se fossi stato meno coglione.
Io nel disco di Enrico ci ho pescato il beat, il rock, il blues dilaniato di Hendrix, gli Stones e altro ancora, ma è solo perchè la mia cultura musicale è limitata e non si muove dai pascoli in cui poltrisce da ormai troppo tempo. Voi che questa cultura l’avete assai più elevata, nel disco di Enrico sono sicuro che riuscirete a intravedere molto di più perchè, vedete, non ci si può mai allontanare troppo da quello che si è ed Entrico Farnedi è un musicista davvero preparato e tutta la sua preparazione, la sua esperienza musicale, non può mica essersi persa solo perchè ha imbracciato uno strumento a quattro corde, tutto questo è sempre dentro di lui e lo guida, anche quando si avventura in terreni più popolari e divertenti, anche quando deve declinare il tutto per ukulele.
Prima di mettersi all’ascolto del disco è necessario ricordare che Enrico Farnedi è un arrangiatore di primissimo livello e che ogni pausa, suono, assenza, intreccio, che ascolterete da lui non è casuale ma vi è stato regalato deliberatamente affinche possiate rifletterci, capire e imparare, se siete musicisti seri, o per farvi divertire e basta, se non lo siete o avete le mani di pietra come me.
Il disco. “Due minuti” descrive una situazione comune a molti artisti cioè il momento in cui si assapora l’ultimo dispiacere, l’ultima delusione, prima di scaricare tutto in musica. La voce di Enrico è sommessa, ma non così triste come avrebbe dovuto essere, e se avete seguito tutto il discorso sulla Romagna capirete anche il perchè. In sottofondo ci sono un po’ di ukulele che recitano sè stessi senza trucchi e senza inganni. Questa è la canzone che occupa il posto numero 6 nel mio iPod, ed è una tranquilla introduzione a tutto l’album con qualche elemento straniante nel testo che ben ci fa sperare per il resto. Il resto spara subito una delle bombe da 90. “Corso Sozzi” sono i Rolling Stones nell’interpretazione di Enrico Farnedi: le chitarre, anzi gli ukulele, lottano e si inseguono proprio come nella mitica Brown Sugar con la sola batteria elettronica Antonelli a ricordar loro di rimanere con i piedi ben piantati per terra. Il testo è esplosivo e descrive perfettamente con che tipo di poetica abbiamo a che fare: decadente, esistenzialista ma soprattutto, e scusate se continuo a ripetermi, romagnola dove sotto sotto c’è sempre il suggerimento di non prendere troppo sul serio quel che si sta ascoltando. “Corso Sozzi” è al 13 posto nel mio iPod. “Fotografia” vede la presenza di un ospite alla batteria, Mauro Gazzoni ed è la canzone che occupa la posizione 7 della mia classifica. “Fotografia” è un brano da grandi stadi e grandi rockstar, con la strofa che si dimena sinuosamente prima di tuffarsi dentro un chorus orecchiabilissimo. E’ un brano che se fosse cantato da Vasco Rossi farebbe strappare i capelli a un sacco di fan, invece nell’interpretazione di Enrico scivola via dolcemente, parlandoci del rapporto problematico con qualche ragazza. “Due sorelle” ci regala un momento intimo e delicato, completamente strumentale, con Rico all’ukulele soprano. “Julie” mi riporta ai sapori anni ’60, forse perchè è in inglese, forse perchè sembra scritta da Reg Presley dei Troggs e sembra pure suonata dai Troggs in versione minimalista con secchi e tamburelli al posto della batteria. “Cuore a Metano” è un altro momento personale e delicato con Rico e i suoi ukulele a ricamare uno stralunato racconto virato seppia. “Ci penserò lunedì”, suonata con il solo ukulele elettrico e distorto e con l’ausilio di Filippo Farnedi ai cori, ha un sapore piuttosto grunge che punta non alla Seattle dei Nirvana ma alla New York di Lou Reed, con vette di esistenzialismo romagolo davvero splendide: svegliarsi con il cuore pesante e pensare al Nesquik da usare per la colazione…se non è genio questo, ditemi, dove è il genio? “Informagiovani” è un brano, a mio parere, che posto in questa posizione del disco non è molto valorizzato e non lo merita perchè mischia sonorità acide con un testo molto intelligente sulla disoccupazione, forse il brano più coraggioso e sperimentale di tutto l’album. “Salsa di lumache” è una travolgente fuga verso la follia che Enrico Farnedi compie con la complicità di Estrema Riluttanza. Non chiedetemi chi è Estrema Riluttanza perchè davvero non lo so, dovreste chiederlo a Enrico, so che è una donna con un timbro di voce molto accattivante che ben si sposa con quella più squadrata di Enrico. A Caldogno, durante la sua esibizione nello YOUkulele Camp, Enrico ci chiamò tutti sul palco, per eseguire questa canzone, un momento travolgente e folle proprio come la canzone stessa. In “Salsa di lumache” per la prima volta sentiamo la tromba, anzi il trombone a pistoni… aspettare otto canzoni per sentire la tromba è un po’ troppo, Enrico, nel prossimo disco metticene di più, per favore. Salsa di Lumache occupa la posizione 14. “Norma” è un brevissimo interludio strumentale, all’ukulele concerto, che introduce perfettamente “Lena”, un affettuoso ricordo di chi non c’è più, venato di sana malinconia e di una tromba appena accennata, quasi non volesse disturbare. “Ho lasciato tutto acceso” non è solo la title track e non sta solo al posto 10 della mia personalissima classifica, è anche un allucinato Manifesto che ben ci spiega quali sono gli obbiettivi del nostro e le vie per raggiungerli: un normale momento che è capitato a chiunque, nella vita, descritto con l’aiuto di scatole di latta, scatoloni, tamburelli, battimani, basso e ukulele resonator fino a raggiungere una zona di competenza Hendrixiana. Un piccolo capolavoro. “Lonely Planet” è una interpretazione da parte di Enrico di un brano di Matt Johnson sul quale non posso esprimermi non conoscendo bene questo autore e quindi passo direttamente alla canzone che segue: “Kabir”, un altro ricordo denso di affetto e malinconia, un piccolo acquerello nel quale un momento di adolescenza serena, in compagnia del cane Kabir, è immortalato con delicatezza e per sempre. “Quanto piangere”, nonostante sia inspiegabilmente al numero 15 della mia classifica è il brano che preferisco e che considero il migliore in assoluto. Mi piace al punto che non credo di essere in grado di parlarne, posso però dirvi che contiene tutto quel di cui abbiamo discusso finora: la Romagna e il suo decadente esistenzialismo da non prendere troppo sul serio, ma con la balera e un tempo di valzer appena velato di un leggero sapore messicano, una introspezione che ha bisogno di qualcuno con cui parlare, e Fellini più in là che sembra orchestrare il tutto con furbizia e ironia. E’ davvero difficile, ai giorni nostri, ascoltare una canzone di questo livello e invito pubblicamente i conduttori radiofonici più seri a trasmetterla a più non posso durante le loro trasmissioni perchè, signori, è vero che in Italia i talenti scarseggiano, ma quando ne nasce uno come Enrico Farnedi, eh bè, dovreste scattare tutti in piedi e darvi un po’ da fare per non farlo andar via. Perbacco! Cribbio! Ciao!