Essere belli negli anni Ottanta: Wham!, Last Christmas (1984)
Chi c’era ricorderà quanto era difficile, essere belli negli anni Ottanta. Innanzitutto, negli anni Ottanta, per essere bello dovevi avere una bella faccia, perché il resto non si vedeva. Non è che potevi dire “ho la faccia di Pippo Baudo, ma guardate qui che culo”, perché il culo era deturpato da pantaloni a vita alta che ti rendevano fisicamente indistinguibile da Giovanni Lindo Ferretti. Era inutile puntare sulle spalle perfettamente dritte e rotonde che reggevano una testa fatta a forma di lampadina – perché le spalle spioventi dell’amico belloccio, dalla faccia ovale e dalla testa rotonda, erano corrette da un bel paio di imbottiture che le rendevano in tutto simili a quelle di Arnold Schwarzenegger.
A parte questo, negli anni Ottanta essere belli era difficile anche perché richiedeva grande sforzo – persino i belli dovevano durare fatica, per essere belli. In primo luogo dovevi essere perfettamente aggiornato sulle scarpe e sui vestiti belli che occorreva indossare per essere belli, e avere un reddito sufficiente – o genitori con un reddito sufficiente – per poterteli permettere. Poi dovevi modellarti i capelli con prodotti anch’essi costosi e dannosi per la flora e la fauna, e se eri una femmina non dovevi mai uscire senza esserti truccata tanto da sembrare un urside in estinzione – e consapevole di essere uno degli ultimi superstiti della tua specie. Io ho fatto qualche sforzo per essere bello verso la metà del 1985, dopodiché mi sono accorto che erano sforzi vani – non avevo né le basi né le capacità di applicazione – e mi sono messo ad aspettare gli anni Novanta.
Per me, il video di Last Christmas è una perfetta illustrazione di quel che significa essere belli negli anni Ottanta. Alcuni degli attori e delle attrici che recitano nel video sono notati, a guardarli bene, di notevole bruttezza – eppure nel video, e negli anni Ottanta, sono tutti belli. Le facce degli uomini sono come incastonate nei capelli tinti e scolpiti, quelle delle donne circonfuse di una luce che viene dalla pelle, non certo dagli occhi. Tutto quello che succede e si muove nel video è vuoto, luccicante e patinato – provate a immaginare di metterci Kurt Cobain, in quel video, e vi verrà un fastidioso prurito al cervelletto. L’eroe della piccola vicenda raccontata dalle immagini, George Michael, ovvero Georgios Kyriacos Panayotou, è una specie di sintesi dell’estetica di quegli anni: un omaccione greco-cipriota, scuro e irsuto che si presenta come un delicato e belloccio biondino; un idolo delle ragazzine di tutto il mondo che è in realtà un ventiduenne londinese omosessuale.
Per fare giustizia al povero Georgios, bisogna però dire due cose della canzone, e in particolare del testo. La prima è che le parole sono molto più oneste del video – se uno ci fa caso, si capisce benissimo che in Last Christmas si parla di amore omosessuale. La seconda è che questo ragazzone greco-cipriota, allora appena ventunenne, non scrive neanche male: versi come “I keep my distance, but you still catch my eye” o “Merry Christmas – I wrapped it up and sent it” dimostrano che il finto biondino sa già raccontare una storia in una manciata di parole, e che gli inglesi, anche quando fanno musica ignorante, non riescono davvero a essere ignoranti del tutto.
Insomma, lo perdono, Georgios, anche se lui e Simon Le Bon hanno reso gli anni Ottanta invivibili, sul piano estetico. Lo perdono anche perché ho scoperto, guardando in rete per scrivere queste poche righe, che lui la canzone l’aveva chiamata Last Easter, la scorsa Pasqua. Provate a immaginare il video di Last Christmas riadattato a un pranzo pasquale, magari sempre con Kurt Cobain, e vi tornerà quel fastidioso prurito al cervelletto.
Ihihihih che ridere!!!