Due chiacchiere con Enrico Farnedi. Parte II
Seconda puntata dell’intervista a Enrico Farnedi. La prima parte puoi leggerla qui.

Opera di Davide Bonazzi
Hai scritto due canzoni sul mese di agosto, “Agosto a Cerdanyola” e “Quanto piangere”, entrambe piuttosto tristi. E’ un caso o hai proprio qualcosa contro questo mese?
Cerdanyola non è triste per niente! E’ sonnacchiosa, è rilassata, è la cronaca di una fruttuosa raccolta di bei ricordi. L’altra invece è triste sì, ma forse perché abito sulla via Cervese e, con tutte quelle macchine che vanno al mare, ad agosto girare a sinistra su quella strada lì è impossibile.
Le tue canzoni contengono tutte una sorta di anima malinconica. Questo significa che non senti il bisogno di comporre quando sei contento o felice?
Non ci avevo mai pensato, ma a questo punto direi di sì.
Alcuni grandi artisti soprattutto americani, consci di questo, in passato si diedero a un’esistenza ai limiti, vivendo pericolosamente e scendendo sempre più in basso, proprio per poter avere lo stato d’animo adatto a scrivere nuove canzoni. Tu cosa sei disposto a fare in proposito?
Al massimo potrei saltare qualche pasto o fare il bagno prima che siano passate le tre ore dal pranzo. La vita ha già le sue grane (che, come dice il mio amico Sarno, non finiscono mai) senza che io me ne crei ad hoc per diventare più creativo.
Quanto il posto in cui vivi influenza la tua scrittura, le tue canzoni?
Molto.
In che modo?
Con la campagna, i condomini sulla spiaggia a Valverde di Cesenatico, la gente che lavora e lavora e lavora e non vede altro, le serre delle fragole che si vedono dalla mia camera da letto, i fossi lungo le stradine della centuriazione romana su cui ogni tanto vado a correre, gli alberi in file ordinate, il mare qua vicino tutto l’anno. Un sacco di cose.
Sii sincero, quando componi cerchi a volte di imitare lo stile di qualcun altro?
Quello che faccio (e quello che dovrebbe fare chiunque si dedica a un’attività creativa) è di cercare di mettere insieme qualcosa che mi piacerebbe ascoltare se andassi a un concerto, anche fatta da altri. Alle volte ci riesco, altre meno, ma non mi preoccupo tanto se alla fine suono come qualcun altro, purché mi piaccia quello che sento.
Cosa mi dici del Jazz?
Mi piace il jazz bello, e trovo vomitevole il jazz brutto, ma ho idee tutte mie su ciò che è bello e ciò che non lo è. Di sicuro Louis Armstrong mi ha influenzato tantissimo, e continua a farlo, buon per me.
C’è qualcosa di davvero brutto che si dice su di te?
Ah non lo so. Ne morirei, per cui spero di non saperlo mai, ma credo qualcosa si dica (tipo che in casa lascio tutto acceso).
Cosa ne pensi della scena musicale italiana?
Non posso dire di conoscerla benissimo. Conosco i musicisti che incrocio e seguo pochissimo il resto. La scena jazzistica mi pare un po’ arenata, negli ultimi anni, forse per una deriva un po’ autoindulgente che l’ha allontanata dal pubblico di non specialisti. Quella cantautorale è vivacissima e variegata, anche se purtroppo rimane quasi sempre un fenomeno locale.
Consiglia ai lettori di Stonehand Express cinque dischi da ascoltare assolutamente.
Oddio oddio oddio! Non lo so non lo so. Credo una raccolta a caso di Louis Armstrong; poi, Lucio Dalla di Lucio Dalla (quello con L’anno che verrà); Rock of Ages di The Band; Ci vuole un fiore di Sergio Endrigo; A Hard Day’s Night (sai tu di chi).
Ma ce ne sarebbero milioni di altri da ascoltare assolutamente, da Randy Newman, Duke Ellington, Bill Frisell, Ry Cooder, Carla Bley, Jimmy Giuffre, Roy Eldrige, Bob Dylan, Mingus, Neil Young, aiutooooo!
Lo capisco da me che è difficile suonare la tromba e contemporaneamente cantare, ma per fare il cantautore avevi davvero bisogno di un ukulele? non potevi farti accompagnare da qualcuno, un chitarrista per esempio, e continuare a strombettare allegramente? Secondo me un cantautore trombettista avrebbe attirato l’attenzione dei media molto di più.
L’ukulele è stato un po’ un cavatappi che mi ha aiutato a tirar fuori le canzoni, e di sicuro mi ha influenzato molto, col suo suono e il suo essere così piccolo. In più nelle mie canzoni la tromba non è che ci stia poi sempre bene. Poi non vorrei fare come quelli che mettono assoli ovunque per far vedere che sanno suonare bene. Prima viene la canzone, poi il resto.
L’ukulele è letteralmente esploso, negli ultimi anni, ma le band lo usano quasi sempre in modo marginale. Pensi ci voglia qualcosa di particolare per fare acquistare a questo strumento il ruolo centrale in un gruppo o ha dei limiti troppo grandi per riuscirci?
I limiti oggettivi dello strumento sono tanti: poca estensione, poche corde che non permettono accordi troppo complessi, poco volume, ecc ecc. E’ un colore interessante, ma di sicuro non copre tutta la gamma di frequenze che copre una chitarra o un pianoforte. Poi io me ne frego e ne ho fatto lo strumento principale del mio concerto e delle mie canzoni, e regolarmente arriva qualcuno che mi dice “che è limitato”. Ma secondo me i limiti son divertenti anche perché ti costringono a ingegnarti per superarli, ed ecco che arrivano delle cose che non ti aspettavi.
I limiti di solito non sono negli oggetti, ma nelle teste! in fondo sono limitati anche strumenti come il mandolino, il banjo, il violino, e guarda dove sono arrivati! Occorrerà attendere un grande profeta dell’ukulele affinchè tutto si sblocchi? un Segovia delle 4 corde oppure un Hendrix che si porti via tutto il passato, crei un futuro tutto nuovo e che magari ci lasci la pelle così, tanto per alimentare il mito?
La forza dell’ukulele secondo me sta nel non avere una storia “importante” e pagine e pagine di letteratura dedicate a lui, e questo è anche il motivo del suo successo; non intimorisce, e conosco molti adulti che hanno deciso per la prima volta di avvicinarsi alla musica proprio grazie all’ukulele.
Non saprei se arriverà mai un profeta dell’ukulele, e sinceramente spero che non arrivi, in modo da lasciare lo strumento in balia di chi vorrà suonarlo, con qualsiasi finalità, ricreativa, seriosa, ludica, per pagaiare lungo il fiume.
Con quale strumento componi?
Per lo più con l’ukulele, ma anche senza strumenti.
Hai sempre un sacco di pupazzetti colorati intorno, sia sul palco che a casa. Soffri della sindrome di Peter Pan o sei solo infantile?
Nessuna delle due cose: mi piacciono i pupazzetti colorati. Per me i giocattoli hanno lo stesso valore di un’opera d’arte, quando sono belli, e in più servono per giocare, che è un bonus mica mal.
Il tuo spazio all’interno dei Good Fellas si va ampliando sempre di più, è stata una evoluzione naturale all’interno della banda?
Direi che ho lo stesso spazio di prima: dal 1997 suono la tromba, canto e scrivo molti degli arrangiamenti che suoniamo; in più ho solo aggiunto l’ukulele in una canzone, ma la suoniamo 3 volte l’anno!
Che rapporto hai con gli strumenti musicali? li usi e basta o sono qualcosa di più che semplici oggetti che ti permettono di far musica?
Non potrei stare senza strumenti, e vorrei imparare a suonarne sempre di nuovi, ma sono strumenti. Preferirei che mi rubassero l’auto, piuttosto che la tromba rossa o il mio ukulele preferito, ma comunque non mi strapperei i capelli, anzi, avrei la scusa per cercare altri strumenti per un po’!
Che rapporto hai con la tecnologia?
Medio. Uso molto il computer per navigare, social network e così via. Poi lo uso per registrare musica e altre cosette medie, ma per il resto non sono appassionato di tecnologia, né per quel che riguarda il quotidiano né per quel che riguarda la musica.
A ognuno di noi, assistendo a qualche famoso talk show, è venuto spontaneo cercare una propria versione delle repliche che gli ospiti in studio fanno a quei quesiti rituali che l’anchor man di turno inevitabilmente pone loro. Grazie a Stonehand Express quelle risposte che ti sei tenuto dentro per tanto tempo ora possono diventare pubbliche! le ultime sei domande di ogni intervista sono sempre le stesse, tre tratte da storici programmi televisivi di chiacchiera e tre completamente originali: sono gli Standards di Manodipietra. Let’s go:
Raccontami un aneddoto.
Una delle prime serate che feci con l’orchestra Castellina-Pasi: eravamo in ritardo e stavamo correndo verso il camerino per cambiarci mentre il capo stava smadonnando. Cercavo di fare più in fretta che potevo quando il sassofonista mi disse una frase molto saggia: “Vai tranquillo, che tanto finché non ci sei anche te sul palco non si comincia”. Non ero meno importante degli altri.
Cosa c’è dietro l’angolo?
Non lo so non lo so (ma non è mica male come prospettiva)
Di che colore è la notte?
A seconda
Com’è il tuo rapporto con gli intervistatori?
Di solito buono
Il tuo piano per salvare il mondo?
Ognuno dovrebbe seguire la propria vocazione, non sprecare cibo ed energia, lavorare il meno possibile e coltivare le proprie passioni.
Hai qualcosa da aggiungere?
un disco alla lista di prima: O’ brother where art thou?
Non posso che essere d’accordo con quest’ultimo consiglio. Grazie per la tua attenzione, Enrico, e scusa per tutto il resto.
Grazie a te, ci mancherebbe!