Due chiacchiere con Enrico Farnedi. Parte I
Due chiacchiere con Enrico Farnedi, tromba e arrangiatore dei Good Fellas nonchè innovativo cantautore armato di ukulele. Stonehand Express ha già parlato di lui un paio di anni fa, in un articolo ormai storico e molto visitato su internet (e che potete e dovete leggere qua), da allora Enrico ha concesso interviste, ha fatto centinaia di concerti, è stato ospite di radio e televisioni ed è addirittura diventato prestigioso collaboratore della nostra Webzine dando vita a Pianeta Farnedi, una rubrica molto bella che vi consiglio di andare a esplorare proprio adesso.
Vi esorto vivamente a trascorrere un po’ di tempo sui vari siti di Enrico Farnedi (elencati più in basso), dove potrete anche ascoltarne la musica, e poi a comprare i suoi dischi che le canzoni son proprio belle belle, scritte in un modo in cui non le scrive più nessuno e, se ci metterete un pizzico di attenzione nell’ascoltarle, vi accorgerete che la sua voce vi ricorda un po’ quella del grande Enzo Jannacci. Se vi capita, infine, e casomai gli girasse di venire a suonare dalle vostre parti, correte a vederlo dal vivo che non avrete nessun modo di pentirvene: il soggetto è simpatico, lo spettacolo divertente e la musica d’alto livello. Impossibile riuscire a trovar di meglio.
Ecco i Link (solo i più importanti, che il nostro su internet è presente praticamente ovunque!): http://www.enricofarnedi.it/, http://www.youtube.com/enricofarnedi, http://www.reverbnation.com/enricofarnedi, https://www.facebook.com/pages/Enrico-Farnedi/147049725336162, http://www.rhapsody.com/artist/enrico-farnedi.
Ed ecco a voi le chiacchiere con due piccole avvertenze: 1- la filosofia e il modus operandi che come intervistatore seguo potete conoscerli seguendo questo link. 2- I frequenti “non lo so non lo so” non sono errori di battitura, sono citazioni da Corso Sozzi, famosissima canzone del Farnedi (“E non lo so. non lo so, Corso Sozzi non lo so…”).
Ciao Enrico, tira pure un respiro di sollievo perchè in questa intervista salteremo a piè pari tutta la biografia infantile e le varie influenze musicali giovanili (argomenti che ci terremo buoni per la prossima volta) e cercheremo di concentrarci su altre cose. Dunque tu sei un artista serio e preparato, diplomato al conservatorio, jazzista, compositore, arrangiatore, turnista richiestissimo. Cosa c’entra con tutto questo la tromba rossa?
Ciao Manodipietra, eccomi qua.
Mi son trovato fra le mani questa che suonava da dio e che mi piaceva più di tutte le altre che avevo appena provato, però era rossa e oro, con incisioni floreali sulla campana: piuttosto appariscente, anche per me, ma la fabbrica aveva chiuso e non c’era verso di trovarne una dal colore più tradizionale. Ci ho pensato per una settimana e l’ho comprata, per vedere dove mi avrebbe portato. Il mio primo ukulele era entrato in casa da pochi mesi e nella mia testa c’erano cose a cui prima non avevo mai pensato
Poi, se vogliamo, serio e serioso son due cose diverse. Son sempre stato serissimo nel fare musica, al meglio delle mie capacità. Il fatto che la musica che produco e che il mio atteggiamento non siano seriosi come ci si aspetta da un musicista “titolato” è un’altra cosa. Sicuramente c’è chi non mi prende sul serio, per questo modo di fare, ma non è un problema mio.
Una insana curiosità tutta mia: hai mai pensato di piegare la tromba, possibilmente a mani nude, come faceva Dizzy Gillespie?
No, poi nella custodia non ci sta più.
Chi sono i trombettisti italiani che ti piacciono di più?
Non ho trombettisti favoriti viventi, ehehe.
E in generale? ci deve pur essere qualcuno a cui ti sei ispirato e che hai studiato, non credo che al conservatorio insegnino improvvisazione jazz!
In realtà dagli anni ’90 il conservatorio propone anche vari corsi di musica jazz, anche se io ci sono arrivato che ero già grandicello e navigato. Come trombettista, forse i miei ispiratori sono stati principalmente Louis Armstrong e Wayne Jackson dei Memphis Horns, anche se la sua influenza mi è stata chiara in tempi più recenti. Per tutto il resto un sacco di altri musicisti, i collaboratori di Duke Ellington e di Charles Mingus, Bob Brookemeyer, Marc Ribot, Sonny Rollins e altri. Sono un po’ tanti, lo so, ma son tutti in qualche modo nel mio modo di suonare. Quello che più di tutti ritrovo quando suono la tromba però forse è Lucio Dalla, i vocalizzi di Pezzo Zero o della sua cover di You’ve Got a Friend, le sue variazioni, il suo modo di essere estroverso ed efficace. Ma non lo so, non lo so, non ho mai avuto il periodo di fissa per qualcuno tanto da trascriverne vita morte e miracoli, e il jazz lo conosco in maniera un po’ personale e poco allineata.
Marc Ribot, in ambito jazzistico, è uno dei chitarristi che apprezzo di più e che, soprattutto, riesco a capire, la prossima volta magari ne parliamo un po’.
Come sei passato dal ruolo di strumentista a quello di cantautore?
Un po’ per caso, forse. Era arrivato il momento giusto, una serie di circostanze che si sono incrociate, e mi ci sono ritrovato. E’ ancora una cosa piuttosto nuova per me, e comunque continuo ancora a essere anche uno strumentista.
Hai una lista di collaborazioni con altri artisti prestigiosa e impressionante. Questo ti aiuta, oltre che sul piano finanziario, a crescere come musicista?
Sul piano finanziario la cosa migliore sarebbe stata comprare un impiantino nel 1990 e cominciare a fare pianobar. Sicuramente il confronto con altri musicisti è sempre una cosa positiva e, nel migliore dei casi, illuminante.
C’è a volte anche della competizione?
Quando collaboro con qualcuno in studio o dal vivo c’è solo collaborazione e confronto. In realtà competizione, almeno per quel che ho visto io, ce n’è sempre poca, anche ai concorsi a cui ho partecipato. C’è sì il desiderio di vincere, ci mancherebbe, ma poi quando vince qualcun altro sei contento per lei/lui. C’è invidia per chi è sul palco mentre tu sei sotto perché, quando sei musicista, il palco è il posto migliore in cui essere.
Non sono completamente d’accordo con l’ultima frase, alcuni musicisti (io sono uno di quelli) starebbero meglio lontani dal palco, magari al bar.
Dopo “Ho lasciato tutto acceso”, che è del 2010, ricordo a tuo nome solo il contributo al “Calendisco” con “Agosto a Cerdanyola”, la partecipazione alla raccolta “Addosso” con la bellissima “Vendemmia” e l’adesione a qualche altro disco collettivo di Garrincha. Nessun nuovo disco ancora. Hai esaurito la vena compositiva o sei solo sfaticato?
La musica mi viene fuori facilmente; arrivare a essere soddisfatto di un testo è molto più difficile e scriverlo è un’operazione piuttosto lunga e dolorosa. Mi dà una grossa mano Chiara, la mia compagna, coi suoi consigli e spunti, però di sicuro non sono molto veloce a scrivere, e si capiva già dal fatto che ho pubblicato il mio primo disco di canzoni a 38 anni suonati (ma ne dimostro meno, mi dicono). Poi mi piace prendermela comoda e ho un sacco di fumetti da leggere.
“Ho lasciato tutto acceso” è un disco maturo con canzoni quasi tutte di alto livello, magari anche a causa della lunghissima gestazione. Dover creare un successore all’altezza ti crea qualche problema? ti fa rallentare o ti frena in qualche misura?
Ho lasciato tutto acceso è nato un po’ per caso e non doveva neppure essere pubblicato, almeno per l’80% del suo contenuto. Per cui tutto quello che ha ottenuto dopo (riconoscimenti, belle recensioni, ecc ecc) è arrivato come una gradita sorpresa. Il prossimo lavoro invece sarà una raccolta di canzoni nata per essere pubblicata e sicuramente questo pensiero un po’ mi spaventa. Ma vedremo. Le canzoni che ho scritto nel frattempo, per raccolte varie, non mi dispiacciono, quelle nuove che ancora non ha sentito nessuno neppure, sono abbastanza fiducioso. Spero solo che chi ha amato il disco precedente abbia voglia di ascoltare quello nuovo e pazienza.
Stai per fare uscire un EP in vinile che si intitola “Respira bene”, ce ne vuoi parlare?
E’ un disco che, sotto la copertina coloratissima che fa un po’ da parodia a quella di Ho lasciato tutto acceso, raccoglie quattro canzoni: una nuova, Neve, più Vendemmia e Corso Sozzi in versioni leggermente diverse dalle precedenti. Infine, una cover di cui parliamo dopo. Oltre a Chiara Benzi, hanno collaborato al vinile gli amici Marco Bovi e Mauro Gazzoni con cui suono regolarmente dal vivo e Riccardo Lolli, una delle magnifiche persone che ho incontrato in questi anni da cantautore.
Ti piace particolarmente il vinile o si è trattato semplicemente di una idea come tante?
E’ una gioia vedere il mio nome su un supporto che, insieme alle audiocassette, era l’unico su cui potessi ascoltare musica da bambino. Il vinile ha un rito di ascolto tutto suo, più tranquillo, meditato (non entro nei dettagli della qualità del suono, perché non sono un tecnico). Gli appassionati di musica spesso preferiscono il vinile, anche per la bellezza dell’oggetto in sé.
“Neve” è un omaggio al pop anni ’70 (Battisti, Formula 3, Flora Fauna e Cemento) o la sensazione è dovuta alla mia totale incompetenza?
Non saprei, anche perché conosco poco Battisti, pochissimo i Formula 3 e per nulla Flora Fauna e Cemento. Di sicuro c’è un po’ di suono anni ’70, forse derivante dai miei ascolti di Fleetwood Mac, Warren Zevon, e così via.
Probabilmente anche Battisti & Co. ascoltavano Fleetwood Mac & Co.
O viceversa.
L’arrangiamento di “La casa molto Mariachi” è davvero molto bello, come e perchè è nata l’idea di questa cover?
Qualche anno fa, la Chiara ha avuto l’idea di fare un disco per i nostri nipotini, invece dei soliti regali standard. Dalla stessa “session” (fa ridere chiamarla così, perché in realtà ero io da solo in cantina, circondato da microfoni e strumenti) è uscita anche la versione di Salsa di lumache di Donati&Olesen che è poi finita su Ho lasciato tutto acceso. Un disco che doveva essere solo ascoltato dai nostri nipotini e dai loro genitori. Poi ha avuto successo fra amici e parenti che se lo sono masterizzato a iosa. La Chiara dice che suona così fresco perché non pensavo alla pubblicazione, ma solo a far contenti i bambini e a divertirmi io. Chissà, in futuro…
Ah ah, una sorta di Nebraska versione Farnedi!
Torniamo indietro a “Ho lasciato tutto acceso”, ho sempre pensato che le canzoni più “vendibili” fossero la title track, “Ho lasciato tutto acceso” e soprattutto “Fotografia” che ha un respiro largo, da grandi arene, e mi ricorda addirittura alcune cose di Roberto De Simone. Come mai tu hai sempre spinto di più Corso Sozzi?
Ecco, di nuovo le citazioni di artisti che non conosco! (…vado su Google…) Ecco! Infatti il nome di De Simone mi suonava, dalla canzone di Bennato (lui lo conosco meglio). Corso Sozzi mi rappresenta molto, quando ho pubblicato il disco era una delle ultime cose che avevo scritto, mentre Fotografia risaliva a quasi 10 anni prima, e la sentivo un po’ lontana da me, per quanto musicalmente è forse uno dei brani che mi piacciono di più. Negli anni mi sono reso conto che, soprattutto dal vivo, Corso Sozzi, arriva subito a chi ha voglia di ascoltare le parole; c’è chi ride e basta e c’è a chi viene un po’ di magone sul finale (le dichiarazioni dell’ultima strofa rappresentano per me uno dei momenti più “eroici” di tutte le mie canzoni).
Voglio precisare che il riferimento a Roberto De Simone non era relativo al suo lavoro di etnomusicologo ma alla sua breve esperienza cantautorale nella quale, con le dovute differenze, mi è sembrato ti scorgere delle assonanze tra voi due.
“Corso Sozzi” è una canzone non solo divertente, ma anche un manifesto politico/culturale derivato direttamente da quella specie di riflusso intellettuale che ci travolse tutti alla fine degli anni ’80, quasi un movimento o meglio non-movimento. Ma tu, come musicista d’alto livello e di preparazione accademica sei proprio l’antitesi di questo non-movimento. Mi spieghi allora il vero significato di “Corso Sozzi”?
“Da bambino vomitavo i cetrioli, se li mangio adesso non lo faccio più, mi spaventa chi non mangia i cetrioli e le cose nuove non le manda giù“. E’ una canzone sulla capacità di rimanere curiosi e sul non avere paura delle proprie incertezze.
Ma non è anche una canzone sul rifiutare di prendersi troppe responsabilità? aprirsi alle cose nuove è doveroso, ma farlo senza crearsi delle opinioni è suicida o, appunto, stile anni’80!
Io le mie opinioni le ho, ma non sono inamovibili. Mi prendo le responsabilità che mi competono, ma non più di quelle. E basta con questa cosa di prendere gli anni ’80 come pietra di paragone per tutto il peggio del peggio. C’erano i Milli Vanilli, ok, ma ci sono stati anche Andrea Pazienza, Alan Moore e Frank Miller (lo so che sono autori di fumetti, ma da soli bastano a risollevare quel decennio, e qualsiasi altro che abbia bisogno di essere risollevato).
Negli anni ’70 l’Italia ospitava la gioventù meglio preparata culturalmente, politicamente e musicalmente del mondo. Alla fine degli anni ’80 ci potevi trovare laureati in lettere semianalfabeti. Qualcosa deve pure essere successo nel mezzo, no? Hai idee politiche o fingi di non averne?
Non mi piace parlar di politica, in generale, quindi neppure nella musica, anche se poi vado a toccare temi come il lavoro (in Neve, per esempio, ma anche in altre canzoni che sto scrivendo ora), e da lì si capiscono alcune cose. Sono a favore della ricerca della felicità per tutti, della parità tra i sessi (quella vera), del lavorare il meno possibile (magari cercando di capire bene quello che si vorrebbe fare), sprecare il meno possibile, aprire le frontiere il più possibile, e un po’ di altre cose del genere.
Il giallo è solo una sfumatura di verde?
Non lo so non lo so, ma stanno bene insieme.
La seconda parte dell’intervista la trovi qui.