Dark controvoglia: Joy Division, Love Will Tear Us Apart (1980)
La canzone è del 1980, ma io nel 1980 andavo ancora alle elementari, e facevo il calcolo di quanti anni avrei avuto nel 2000. La prima volta che l’ho sentita, però, sarà stata verso la fine del decennio, in una delle mie pochissime sortite in discoteca. Io non ballavo, anche perché non sapevo come ballare – oggi ballo volentieri, proprio perché non so come si balla – ma guardavo da sempre quelli che lo facevano, e sembravano mulinare gambe e braccia con un qualche incomprensibile metodo. Ma per questa canzone, gambe e braccia si muovevano pochissimo. Su una pista da ballo di pochi metri quadrati, molti dei quali liberi, ballerini vestiti di nero, acconciati a muretto, dondolavano avanti e indietro con un mezzo ghigno da zombi entusiasti.
Io non sapevo che la canzone era di dieci anni prima, che il cantante si era ammazzato poco prima della sua pubblicazione, e che i giovani dark che crollavano la testa al suo ritmo sempre uguale erano in ritardo di almeno un lustro. Da poco ero diventato, mio malgrado o comunque in maniera indipendente dalla mia volontà, il chitarrista di un gruppo dark che faceva canzoni in italiano. Il gruppo portava il nome didascalico di Arianera, aveva una grafica dark studiata dalla Beba, ed era la creatura quasi esclusiva del cantante e autore delle canzoni, Franco, oggi Francobeat, che allora era Francodark, il moroso della Beba e uno zombi fra i più entusiasti.
Come c’ero finito, negli Arianera? Più o meno come per tutte le cose importanti della mia vita, le decisioni le avevano prese gli altri. Per iniziativa del mio amico Matteo, qualche anno prima ero entrato in un gruppo musicale di compagni di classe che aveva preso il nome prima di Dinosauri, poi di Phòbia – sì, Phòbia, con il Ph e l’accento sbagliato. Avendo il problema di non saper suonare, avevamo pensato di risolverlo imbarcando via via altra gente che sapeva suonare ancora meno di noi, fino ad arrivare alla formazione-tipo di sette elementi: un batterista, un bassista, due chitarristi, due tastieristi e una corista di cui non abbiamo mai potuto apprezzare la voce. Per dare un’idea del suono che sprigionava questo supergruppo, la nostra cover di Roxanne era una specie di negativo sonoro dell’originale: mentre i Police, in tre, riempivano lo spazio-tempo di suoni in movimento, noi, in sette, insistevamo tutti sul battere.
Per fortuna i Phòbia, come capita a ogni organismo complesso, crescendo avevano inglobato il virus che doveva finire per distruggerli. Uno dei due tastieristi era infatti Franco, che nel giro di pochi mesi, invece di fondare un nuovo gruppo, decise di convincere me – che in origine ero il cantante – a cacciare tutti tranne lui e l’altro tastierista. Lusingato per essere stato scelto come chitarrista – io che suonavo a occhio e a peso, e non Matteo che sapeva le scale – mi ritrovavo a fare parte di un gruppo di musica tecno-dark in italiano. Io, che non sapevo nemmeno chi erano i Joy Division e avevo forse visto un paio di video dei Depeche Mode, senza apprezzarli più di tanto. Io, che non tolleravo e tuttora non tollero più di due canzoni di fila in minore, e i suoni sporchi, e i dischi che si sentono male, e i vestiti neri, e la matita per gli occhi.
Da lì alla metà degli anni Novanta sono andato avanti a suonare la chitarra in un gruppo tecno-dark, producendo suoni mai sentiti in natura grazie a una scatoletta nera che si attaccava direttamente sulla chitarra. Ma in quei cinque o sei anni non ho mai pensato di aggiornarmi, di studiare i classici del genere che suonavo o di capire quel che dicevano quelle canzoni. Solo ora, guardandomi per benino, e per la prima volta, Love Will Tear Us Apart, mi sono reso conto che è una canzone onesta, anche se un po’ troppo piena di parole astratte (del resto, l’autore era un ragazzino). Ma non c’è mai un refolo d’aria, uno spiraglio melodico o testuale nella sua stesura punk – e io, per riuscire a rifarla, ho dovuto rallentarla, darle respiro, e aggiungere un singolo accordo che sospende quella corsa senza senso e dà un po’ di speranza al ritornello.