Crossing the Bridge
Il ponte in questione è quello che collega Istanbul con i suoi quartieri dall’altra parte del Bosforo. E’ la solita storia no? incontro di culture, di continenti, di tradizioni… solo che non è vero niente, la cultura è sempre una, quella turca cioè orientale, che vive da questa parte e vorrebbe sapere se, vivendo in Europa, può dirsi europea o deve continuare a chiamarsi asiatica. Però rispondere a una domanda come questa non è mica facile, cari i miei 7 lettori, poichè prima bisognerebbe capire se davvero abbiamo a che fare con due culture differenti o con due parti della stessa cultura. Io non credo alle culture “orizzontali”, quelle cioè legate ai continenti o ai paesi, ma a quelle “verticali”, cioè legate ai tempi, sono in poche parole convinto che la nostra cultura attuale sia, per esempio, differente da quella medioevale ma che in qualunque parte del mondo viviamo adesso, qualunque legge o tradizione seguiamo, qualunque musica ascoltiamo o suoniamo, siamo sempre una parte della medesima cultura. di conseguenza non so proprio descrivervi il fastidio, addirittura fisico, che provo nel sentir parlare di culture differenti o di superiorità di questa rispetto a quella (quando poi qualcuno arriva a parlare di “civiltà” differenti rimango talmente annichilito che non provo più neppure fastidio, solo incredulità…)
Il regista del film, cari i miei 7 lettori, è Fatih Akin, già autore de “La Sposa Turca”, opera di dolorosa bellezza, di dolorosa diversità, di dolorosa ostinazione, di dolorosa follia e infine di ancor più dolorosa “rinascita”, un film così bello che fa davvero male guardarlo e con questi presupposti potete tranquillamente immaginare con che spirito mi sono avvicinato a “Crossing the Bridge”, i timori si sono però rivelati del tutto senza fondamento, perche questo film tratta semplicemente di un viaggio nella musica di Istanbul, tra i suoi musicisti, sulle sue acque e nelle sue strade e in questo viaggio l’anfitrione è Alexander Hacke, bassista degli Einsturzende Neubauten,
una band tedesca che forse è di avanguardia forse no, che forse fa musica industriale e forse no, una banda indecifrabile, proprio come ciò di cui tratta questa storia. Alexander Hacke aveva curato parte delle colonna sonora de “La Sposa Turca” e per lui è stata una bella occasione per approfondire l’incontro con Istanbul e la sua musica.
Il viaggio è davvero interessante perchè incontriamo musicisti di ogni tipo che cercano di trovare una “via turca” al genere che suonano, a volte riuscendoci, a volte no. Ci imbattiamo quindi in rapper, rokkettari, strani cantautori, musicisti da strada e inconsueti sperimentatori che su barche, nelle piazze o tra le viuzze di Beyouglu si affannano a descriverci la loro originalità, così come farebbe qualunque musicista nostrano, con la differenza che in questo caso l’originalità esiste davvero, ed esiste proprio per via di quel ponte teso tra due continenti che confonde le culture e rende abbastanza unici i musicisti di Istanbul.
Il film diventa davvero interessante, però, quando si tuffa nella tradizione e ci parla di dei Mevlevi rotanti, di musica curda e di musicisti Rom che, in Spagna o in Turchia riescono sempre a produrre una musica meravigliosa, diventa affascinante quando vediamo gli strumenti tradizionali, liuti, saz, darbuke, doumbek, strani banjo ad arco e molti altri,quando sentiamo i tempi della musica turca che, in qualche modo, ricordano a volte quella indiana, quando vediamo i loro doumbek suonati in quel modo così irripetibile, per noi…
Il mio momento preferito è però l’incontro con Orhan Gencebay e il suo saz. Orhan Gencebay è una sorta di icona, in Turchia, essendo un cantante e avendo anche girato una miriade di film di ogni genere (e qui forse il paragone con Elvis Presley non è eccessivo) solo che è anche un meraviglioso virtuoso del saz e a sentirlo suonare si rimane incantati per la sua modernità e per la tensione emotiva che riesce a creare. Secondo il mio piccolo parere solo la parte dedicata a Orhan Gencebay vale da sola l’acquisto del DVD e nel DVD c’è molto altro, compreso un documentario di 40 minuti sempre incentrato sulla musica del “ponte”. Da non perdere, se la musica vi piace anche nei fatti e non solo a chiacchiere…