Alone Again (Naturally)
Vicino al posto ove con gli amici usavamo ritrovarci, c’era una piccola azienda che dava lavoro a una ventina di ragazze, non ho mai capito cosa fabbricassero lì dentro sapevo solo che quando terminavano il turno, alle cinque del pomeriggio, alcune tornavano a casa mentre altre, che chiamavamo amiche, venivano a perder tempo insieme a noi. Tra loro ce n’era una dai capelli biondo scuro che mi piaceva e della quale non ricordo più il nome, perciò la chiameremo Anastasia. Anastasia aveva diciassette anni mentre io ne avevo solo quattordici dimostrandone probabilmente meno e a quell’età, lo sappiamo bene, questa differenza è un ostacolo pressochè insormontabile. Se poi considerate il fatto che Anastasia aveva una cotta per Laurento capirete facilmente, cari i miei sette lettori, che di speranze ne avevo proprio pochine. Laurento è un altro nome di fantasia, perchè mai dovrei ricordarne quello vero?
C’era un bar (e ancora c’è) infimo e malfamato, nascosto tra le pieghe più oscure del quartiere che, per ragioni perse in qualche cabalistico processo mentale, venne scelto come base da un gruppo di ragazzi fighetti e quando dico fighetti non butto lì parole a caso come si usa in questi giorni confusi di perdizione mentale e semantica, non uso parole a caso perchè quei giovanotti curavano il look in maniera maniacalmente meticolosa, usando molte più creme di bellezza delle loro sorelle o fidanzate e vestendosi ogni santo giorno come se dovessero andare a un matrimonio. Laurento aveva diciotto anni, era il leader assoluto di quel gruppo di damerini, viaggiava all’interno di un aura mistica e mi tocca ammettere che era decisamente bello.
All’inizio degli anni ’70 erano di moda le feste in casa dove si portavano i dolci, gli snack, i dischi, si ballava e si cercava di conoscere l’anima gemella nella speranza di non collezionare l’ennesima figura sopra o sotto le righe. Io non sapevo ballare ma, essendo un musicista in erba, ero in grado di individuare il tempo di un brano e, come facevo quando ascoltavo le canzoni degli Stones, potevo agitarmi in modo coerente, anche se non così accattivante da vedere ma, badate bene, mi guardavo bene dal partecipare alle feste, che trovavo ideologicamente sciocche. Al contrario i miei amici le adoravano ma occorre tuttavia ricordare che, pur conoscendoci dalle elementari, viaggiavamo su binari completamente differenti, poichè loro si struggevano dal desiderio di diventare come i fighetti di cui sopra e si disperavano dovendo perder tempo a studiare i libri di scuola mentre io tentavo di essere come George Harrison e dimenticavo di studiare i libri scolastici perchè mi appassionava di più cercare punti di contatto tra Jan-Jaques Roussou, Pierre-Joseph Proudhon e il mio amato Lev Tolstoj. Quando però ricevemmo l’invito a una festa organizzata in una bellissima villa circondata da un magnifico parco, gli amici riuscirono inaspettatamente, e con mia stessa sorpresa, a trascinarmi con loro. Fu in quella occasione che per la prima volta vidi Laurento che sapeva ballare assai peggio di me. Lui, elegantissimo, entrava in pista, si piazzava al centro e rimaneva immobile con gli occhi chiusi per tutta la durata della canzone. A volte impercettibilmente muoveva un dito del piede, spostava di pochi millimetri la testa o, se la musica era particolarmente potente, induriva appena le labbra, tutto questo tra le grida di giubilo delle ragazze e molti complimenti alla sua verve danzereccia. “Ma come fate a dire che è bravo?” protestavo “è più piantato di un palo della luce, balla meglio una statua di ghisa”, “Laurento interpreta la musica in questa maniera” mi rispondevano “tu invece sei solo uno scemo invidioso”
Ma torniamo ad Anastasia che, nonostante fosse esageratamente bassa e vistosamente zoppa, sembrava una attrice del cinema e aveva occhi soltanto per il bel damerino, lasciandomi volentieri il ruolo di sfocata tappezzeria di bassa qualità sullo sfondo. Io, se avessi avuto un minimo di sale in zucca, avrei dovuto accettare le avances di Wanda (questa volta il nome è vero, almeno credo) che oltre a essere di appena un anno più grande di me diceva che assomigliavo a Franco Gasparri, anche se non era vero. Wanda non solo mi rivolgeva complimenti di fantasia, era anche la ragazza più ricca e più bella della compagnia e per il suo compleanno mi invitò alla festa che avrebbe tenuto nell’immenso salone di casa sua. All’inizio rifiutai ma quando scoprii che ci sarebbe stata anche Anastasia decisi di accettare. “Porta della musica” si raccomandò “sei quello che ne capisce di più e mi fido solo di te”. Io mi presentai con Alone Again (Naturally) il 45 giri appena uscito di Gilbert O’Sullivan, che suscitò una non molto entusiastica reazione da parte della festeggiata: “Ma chi cavolo è questo? e poi perchè porti solo un singolo mentre io mi aspettavo almeno un 33 giri dei Ricchi e Poveri?” “Mi dispiace” risposi confuso “i Ricchi e Poveri non li ho, ma questa è una canzone bella, anche se molto triste”
La festa iniziò e Laurento, ovviamente al centro del salone, suscitava sospiri femminili e ammirazione maschile, nella sua totale, ma squisitamente fashion, immobilità mentre io, stravaccato su un divano vicino al DJ che faceva molta attenzione a non mettere sul piatto il disco che avevo portato, ebbi un improvvisa epifania capendo di essere un pesce fuor d’acqua e di avere bisogno di nuovi amici, gente che almeno fosse al corrente dell’esistenza dei Led Zeppelin e che avesse anche distrattamente sfogliato qualche libro di Herman Hesse.
Decisi di andarmene alla chetichella ma tutto a un tratto qualcuno urlò che era giunto il momento dei balli lenti e propose quel gioco dove quello con la scopa la consegna al maschio di una coppia danzante, gli ruba la partner e lo lascia con l’incarico di andare a rompere le scatole a un altra coppia. Anastasia e Laurento subito si cercarono mentre io fui agguantato da Wanda: “C’è Giuseppone che mi ha fatto la dichiarazione” disse senza troppe cerimonie “cosa faccio, accetto?” “Assomiglia anche lui a Franco Gasparri?” domandai e lei, dimostrando di non cogliere l’ironia della mia battuta, o di coglierla anche troppo, rispose “No, ma è parecchio meno coglione di te oltre che vestito meglio” poi fece il gesto concordato al succitato Giuseppone che, dopo avermi consegnato la scopa, se la portò via in un vortice di mosse degne del miglior Rudol’f Nureev. Io avrei dovuto buttar via l’imbarazzante testimone ligneo e andarmene invece, contro la mia stessa volontà, lo portai a Laurento che, senza neppure voltarsi bofonchiò: “Levati di torno, ragazzino”. Se lui fosse stato un po’ più profondo si sarebbe accorto che ero sì un ragazzino, ma con dei valori tra i quali il pacifismo e la non-violenza e non avevo alcuna intenzione bellicosa, invece era solo un esteta che viveva la sua vita usando esclusivamente criteri estetici così quando replicai: “Mi spiace, dovrai levarmi di torno tu” si fermò e guardò nel grande specchio che avevamo di fronte. Vide un tizio smilzo in un attillato abito blu scuro, con i capelli impomatati e le scarpe lucide che stava di fronte a un adolescente con i capelli lunghi, un giubbotto di finta pelle tutto consunto, jeans rattoppati e scarponcini ormai da buttare. L’immagine era già di per sé inquietante, poi vide la sua faccia incazzata, credette che fosse incazzato con lui ed ebbe paura. Abbassò la testa, prese la scopa e sparì.
Anastasia era furente “Stavamo per metterci insieme” sibilò “perchè sei venuto a disturbarci?” “Come facevo a saperlo?” cercai di difendermi” e comunque se partecipi a un gioco devi seguire le regole” “Un barbone come te non dovrebbe partecipare a questo gioco” sbottò rabbiosa. Nonostante le parole che ci eravamo detti continuammo a seguire la musica per un po’ finchè, con voce più tranquilla spiegò: “Non è per come ti conci, anche se ti conci da schifo, è che sei troppo piccolo per me”. A quel punto mi accorsi di avere male al ginocchio. Era lei che con il suo lo colpiva ritmicamente, forse a causa della zoppia forse perchè nella danza era anche peggio del suo sogno d’amore. “Magari è anche perchè sei troppo zoppa per me” risposi riportandola allo svilito Laurento “Sarete una bella coppia” li informai prima di abbandonarli a un destino di cerette condivise “ballate di merda tutti e due”.
Ripresi il disco di Gilbert O’Sullivan e passai dalla cucina con l’intenzione di uscire dalla porta di servizio, ma sul tavolo vidi, in attesa del momento di essere portato nel salone, una grosso vassoio di cartone contenente un sacco di paste buonissime. Accanto c’era ancora la carta con la quale era stato confezionato e la usai per riconfezionare in qualche modo il tutto. Proprio come il titolo della canzone che avevo portato suggeriva ero di nuovo da solo (naturalmente) ma, contrariamente a quella del suo protagonista, la mia situazione non era così drammatica: una nuova vita mi aspettava al di là dell’uscio e cominciarla con l’aiuto di tutti quei dolci era un ottima idea. Portarli via a un branco di imbecilli che mi giudicava dai vestiti che indossavo era un sacro dovere. Il mio 45 giri lo lasciai lì e non ne ricordo la ragione precisa, mi piace pensare che facendo esso ormai parte del passato il riprenderlo sarebbe stato, per dirla alla Sergio Caputo, un po’ troppo pleonastico, ma più probabilmente fu perchè essendo tutto preso da quella montagna di dolci, semplicemente me ne dimenticai.