Almost Famous

Dalla tenacissima madre un sacco di ottimi consigli con l’unico difetto di essere non troppo semplici da capire e soprattutto da accettare. Un sacco di ottimi consigli anche dalla sorella ribelle dai molti magici 33 giri, suggerimenti indubbiamente molto più accessibili e chiari ma, stranamente, in netta contrapposizione con quelli della indomita genitrice. Contraddizioni naturali o la banale conferma che la verità non sta nel mezzo perchè la verità (sorry) proprio non esiste? Situazioni bislacche, imbarazzanti e, più che altro, non tanto credibili: ma è davvero l’adolescenza di Cameron Crowe quella che ci saluta, gigioneggiando dallo schermo, o è la desolante idealizzazione di un ricordo che avrebbe dovuto essere migliore e che invece è stato troppo banale per la storia che si deve raccontare? È proprio sua la sorella che va via di casa in bigodini o è che i bigodini stanno divinamente bene sull’invidiabile testa di Zooey Deschanel?
Un fiume straripante di parole e di scontati giochi linguistici con il grande guru emarginato e la certezza che Lou Reed è il più grande di tutti (o magari lo è David Bowie). E’ di Lester Bangs che stiamo parlando ora, mica di un nostrano pennivendolo dalla lingua odorosa, stiamo parlando del nirvana della critica musicale, del faro di conoscenza che non si può spegnere mai e alla sua apparizione il film avrebbe una pazza impennata anche se a interpretarlo ci fosse un attore mediocre invece che uno straordinario, quindi i risultati sono a dir poco fantastici, sicuramente molto al di sopra delle aspettative. Varrebbe la pena di vedere Almost Famous soltanto per godersi la recitazione di Philip Seymour Hoffman e scusate se vi sembra poco, infedeli.
E dunque abbiamo questo autobus che viaggia verso un futuro probabile che potrebbe anche, in un niente, diventare improbabile, un autobus spensierato che corre dritto in direzione del sole, meglio se un sole al tramonto, con dentro tanta gente simpatica e interessata alla musica, groupie più che altro, ma anche qualche elemento accessorio come il nostro giovanissimo e imbranatello eroe dalla metafora facile accompagnato da tutto quello che a noi serve davvero: il batterista ottuso, il bassista sempliciotto, il chitarrista carismatico e il frontman incazzato con il mondo in generale e con il chitarrista in particolare. E poi, come in un azzeccatissimo sogno psichedelico, un caleidoscopio di manager vecchio stile in contrapposizione a quelli imprenditoriali che appaiono e scompaiono insieme ai promoter poco intelligenti, a tour manager dall’elevata pelosità di stomaco e a una vagonata di fauna rock pronta a rispettare ogni luogo comune, ogni segreta aspettativa. Tutta la nostra fottuta immaginazione. Come da copione ci sono gli screzi, i sogni, le avventure, le disavventure, i chilometri di asfalto e quelli sulle ali dei jet, i party fin troppo tranquilli, i colpi di scena, la musica e gli immancabili buoni propositi… Cameron Crowe è quello dei buoni propositi da enunciare pubblicamente un attimo prima del lieto fine, è quello della imbarazzante catarsi, anch’essa quasi finale, che sempre lascia un po’ interdetti noi banali cinefili europei. Prendere o lasciare, s’usa dire in questi casi, e noi deliziati spettatori prendiamo a man bassa perchè il film è maledettamente bello, catarsi compresa, nonostante qualche interprete non proprio adattissimo al ruolo o forse proprio per questo: qualche attore fuori sincrono è probabilmente necessario per bilanciare l’intensità di quelli più che perfetti e non facciamo nomi perchè non è affatto detto che i miei e i vostri giudizi, cari i miei 7 lettori, coincidano davvero.
Si è detto che il film è ispirato alla vita del regista e a quella di alcune famose ragazze che accompagnavano i gruppi, ma non è mica così, si tratta semplicemente di un arazzo rock’n’roll, una visione, di una finestra sui tempi passati e sulla luce che accecava quelle ore piene di trip di ogni tipo, foggia e grandezza, è anche un film sulla voglia di crescere e sulla paura di farlo, su immagini adolescenziali rientrate nel mito dell’adolescenza (qualunque cosa voglia dire), è un film sulla grandezza degli anni andati, sulle leggende di una certa gioventù attraversata da cavalieri discutibili e da donzelle assolutamente, ma discutibilmente, pure.
Ditemi allora: come deve essere un film per entrare stabilmente nei vostri cuori? quanta violenza deve contenere? quanta tragedia? non vi basta, più semplicemente, che contenga una magnifica Tiny Dancer cantata a squarciagola e un pugno di attori bene assortiti capaci di dare vita a una storia ruffiana ondeggiante tra mitologia rock’n’roll, biografia e brufoli che, con l’età adulta, hanno sì lasciato per sempre le nostre facce ma per trasferirsi, subdolamente, nell’anima?
Almost Famous guardatelo nella versione estesa se è possibile, ignoratene i difetti ed anche i pregi: limitatevi a godervelo magari, ma solo per questa volta, con l’aiuto di pop-corn e patatine: è tutto valido perchè si parla di gioia, di amore, di ispirazioni e di innocenza perversa. S’alzerà una sottile magia e per un paio d’ore verrete risucchiati in un universo folle e superficialmente profondo, il vostro cervello andrà in tilt e la prima cosa che penserete è che il vostro amichevole Manodipietra di quartiere aveva dannatamente ragione.
Non fate l’errore di invitare degli amici, le chiacchiere impediranno alla magia di alzarsi e tutto sembrerà più banale: Almost Famous guardatevelo da soli e in santa pace.