Across the Universe (il film)
Quand’ero bambino…
Parliamo del secolo scorso, certo, anche se non è passato un secolo…così pochi anni fa, ma un mondo completamente diverso. Di tutto quello che c’e’ ora non c’era nulla. C’era la televisione è vero, ma aveva una programmazione limitata e per l’infanzia offriva un’oretta appena, al pomeriggio, di cosette molto più interessanti di quelle che offriva agli adulti. E vi posso assicurare che all’infanzia non offriva proprio nulla d’interessante.
Come ci si divertiva quindi? difficile a dirsi, ma ci si divertiva. Si andava in bicicletta, ci si inventava avventure, tra amici, e le si metteva in scena, si andava al cinema a vedere Maciste e Ringo, si correva e ci si sbucciava le ginocchia, si leggevano Jack London e Mark Twain. Qualcuno più coraggioso si avventurava perfino nella scoperta di Louise May Alcott. Non essendoci molto altro si lavorava parecchio di fantasia.
C’erano i dischi, però. Non sto parlando della radio, a quei tempi la radio trasmetteva poca musica, se si escludono le trasmissioni “Hit Parade” di Lelio Luttazzi e “Dischi Caldi” di Giancarlo Guardabassi, e che duravano, comunque, pochissimo. Parlo proprio dei disci in vinile. I 45 giri. Era facile averli a prezzi stracciatissimi. Le bancarelle del mercato rigurgitavano di dischi levati dai Juke Box perchè rimpiazzati da incisioni più recenti. E rigurgitavano di dischi di seconda mano. Anche un bambino con pochi soldi poteva comprarsi, di tanto in tanto un disco.
I dischi raccontavano delle storie. Quasi sempre storie d’amore, è vero, ma comunque delle storie. Noi che eravamo costretti a usare la fantasia entravamo in queste storie e ci guardavamo intorno. Vedevamo muoversi i personaggi, li visualizzavamo in base alla nostra sensibilità, ci domandavamo come erano arrivati al momento descritto dalla canzone, e dopo la canzone dove sarebbero andati. A volte trovavamo un’altra canzone che, in qualche modo continuava o precedeva la storia e magicamente un altro tassello del puzzle trovava la sua collocazione. Spesso non accadeva.
Ma queste canzoni riluttanti non conoscevano fino a che punto poteva spingersi la nostra fantasia[superemotions file=”icon_lol.gif” title=”{#superemotions_dlg.lol}”] e allora ci immaginavamo i personaggi e muovevamo la loro storia affinchè attraversassero le nostre canzoni preferite. Ci inventavamo, senza rendercene conto dei musical. Qualcuno, divenuto più grandicello, provò anche a realizzarli sul serio[superemotions file=”icon_eek.gif” title=”{#superemotions_dlg.eek}”]
Tutto questo è esattamente ciò che ha fatto Julie Taymor con Across the Universe.
Ha scelto un repertorio, quello dei Beatles, e all’interno di questo repertorio ha estratto un gruppo di canzoni. Con queste canzoni ha costruto una storia. E proprio come succedeva a noi ragazzi fantasiosi, la storia funziona perfettamente [superemotions file=”icon_lol.gif” title=”{#superemotions_dlg.lol}”]
È una bellissima, piccola favola, piena zeppa di citazioni beatlesiane, nei nomi dei personaggi, nelle frasi che dicono, nelle situazioni in cui si trovano. Ma c’è anche un delicato omaggio a Janis Joplin e Jimi Hendrix, nei personaggi di Sadie e Jo-Jo, un omaggio alla psichedelia e a tutta la cultura degli anni ’60.
E ci sono i Biechi Blu di Yellow Subnarine, c’è la contestazione, il Vietnam, c’è tutto. Dipinto con leggerezza e nostalgica spensieratezza. E non poteva mancare il mitico concerto sul tetto, come naturale, romantica, conclusione.
Vi sono delle partecipazioni speciali. C’è Joe Cocker che canta, e poteva essere altrimenti? Come Together, impersonando tre personaggi differenti, Joe Cocker che, ricordiamolo, deve il successo proprio alla interpretazione, straordinaria, di un brano dei Beatles: With a Little Help From My Friends. C’è Bono Vox, che interpreta Dr. Robert, una sorta di Guru Lisergico che canta I’m The Walrus. C’è Salma Hayek che non canta ma intrpreta sei (6) conturbanti infermiere[superemotions file=”icon_biggrin.gif” title=”{#superemotions_dlg.biggrin}”]
I protagonisti sono tutti belli e decisamente bravi. Pensate che han cantato tutto, o quasi, in presa diretta in maniera sorprendente. Una citazione particolare per Joe Anderson, che, a differenza degli altri, non è un cantante: oltre a essere sicuramente l’attore più convincente del gruppo è addirittura quello che ha prodotto, probabilmente, le migliori performances vocali. Non ne siete convinti? provate voi a cantare, tra le altre, Happiness is a Warm Gun!