Tanta voglia di lei
Noi italiani con la storia abbiamo avuto sempre grandi problemi, forse perchè gli uomini che la fanno ci han resi diffidenti, forse perchè, come qualche sociologo afferma, 100 anni di emigrazione, soprattutto maschile, hanno privato il paese dei padri, quelli che inculcano le regole e la morale nelle giovani menti, lasciandoli crescere completamente dalle madri che invece, più pragmaticamente, di solito insegnano a cavarsela nel mondo scansando se possibile i guai e a costo di fare compromessi, con l’inaspettato risultato di non riuscire a creare una società matriarcale, che sarebbe già un bel passo avanti, ma esattamente quella che abbiamo adesso, abbastanza di merda, non certo per colpa delle madri ma dei figli che non hanno capito una mazza di quello che gli veniva insegnato. O magari perchè oltre 2000 anni di gaglioffi al potere ci hanno reso impermeabili alla storia, che può andar dove le pare senza che noi si muova un sopracciglio neppure per sbaglio. Oppure perchè politici, storici, donne, emigranti e gaglioffi non c’entrano proprio nulla e noi siamo, molto più semplicemente, un popolo di grandi coglioni senza alcuna memoria, pronti a seguire il vincitore del momento o chiunque parli con l’aria di sapere di che cosa va blaterando.
Prendiamo la beatlemania, per esempio, tutti danno per assodato che ci sia stata anche in Italia pur se in forma più leggera che in altre lande, ma non è vero, questa convinzione ce l’hanno inculcata criticonzoli nati quando i Beatles non c’erano più e che hanno di fatto ricostruito un passato immaginario, un passato che non è mai esistito: da noi i Beatles non se li cagava nessuno, come nessuno si cagava gli Stones, gli Who, i Vanilla Fudge. Con qualche lodevole eccezione qui l’isteria e i dischi venduti, come il mitico Cantagiro dimostrò ampiamente, erano un affare di Gianni Morandi, Adriano Celentano, Claudio Villa, Peppino Di Capri, Massimo Ranieri. Io lo ricordo il Cantagiro e i fan impazziti a correre dietro alla macchina di Bobby Solo o di Rita Pavone. Dal 1966 oltre alla categoria A (i Big), e la B (gli Esordienti), gli organizzatori inserirono nella manifestazione anche la categoria C, che probabilmente significava capelloni, però le macchine degli artisti appartenenti a questa categoria erano spesso inseguite non da fan ma da facinorosi armati di uova e pomodori, che urlavano ai malcapitati musicisti di tagliarsi i capelli.
Negli anni ’60 e all’inizio dei ’70 non avevano il successo che meritavano i gruppi italiani, figuriamoci quelli stranieri. Agli inizi del ’66 però nacquero i Pooh che, dall’anno successivo con Piccola Katy, cominciano a spostare l’attenzione di ragazzine e sorelle maggiori verso quella che diventò una vera e propria beatlemania all’italiana, la poohmania che, senza soluzione di continuità è arrivata fino ai nostri giorni con madri che l’hanno trasmessa a figli che a loro volta l’hanno trasmessa alla propria prole e a chiunque si azzardasse a farsi un po’ troppo vicino. Mi viene in mente una mia collega, ormai in pensione già da molti anni, che organizzava enormi comitive famigliari tutte le volte che i Pooh suonavano nel raggio di un centinaio di chilometri da casa sua e che si riteneva la custode naturale di chiunque affermasse di apprezzare la band, dimostrandolo con torte di molto, ma di molto buone.
I miei amici più vecchi forse rammenteranno, con qualche sforzo, un episodio che a volte capitava, nella seconda metà degli anni ’70 quando, in compagnia, si tirava fuori qualche chitarra e un paio di bonghi per cominciare a suonare in allegria: ogni tanto c’era una furbastra, sempre la stessa e non ne faccio il nome per carità di patria, che a un certo punto gridava “fateci i Pooh!!!”. Non c’era modo di evitare le conseguenze di quel richiamo perchè l’urlo contagiava tutti i presenti e a noi musicanti ci toccava attaccare con il classicissimo Pensiero, cercando di imitare le voci originali con le ragazze che a loro volta imitavano le fan, fingendo di strapparsi i capelli e strillando i nostri/loro nomi Dodiiiii!!! Robbbbyyyyyy! Reeeed! Stefanooooooo! l’ultima canzone era sempre Tanta voglia di lei e quando volgeva al termine (“Mi dispiaceee devo andareeee…”) le fan rompevano gli indugi e ci saltavano addosso mentre noi cercavamo una qualche via di fuga che però, se esistente, era stata preventivamente bloccata. Così finiva tutte le volte che ci strappavano i capelli, senza fingere in questo caso, poi ne approfittavano anche per rifilarci qualche calcio in culo e diversi ceffoni che eravamo abbastanza sicuri di non meritare. L’ultima volta capitò nell’inverno del 1977, bivaccavamo in una baita in montagna, fuori c’era la neve, faceva freddo, s’era dato fondo alle scorte di vino e si suonava tutto il repertorio cantautorale universalemte riconosciuto come “impegnato” quando la solita voce intimò “fateci i Pooh!!”. La situazione ci apparve subito critica e tentammo di rifiutare con vigore ma non fu possibile, avemmo però l’accortezza di proporre l’unione di vari tavoli a simulare un palcoscenico che, astutamente, sistemammo tra le fan e la porta, poi ci lanciammo nell’esecuzione degli evergreen del gruppo emiliano/veneto/laziale/lombardo. L’esibizione, complice anche un barbera piuttosto vigoroso che non stava più nelle bottiglie, fu un vero successo e quando arrivò l’ora di Tanta voglia di lei le fan furono bloccate dal palco improvvisato mentre noi, saltati giù dall’altra parte, inforcavamo abilmente la porta e ci mettevamo in salvo. Accadde però qualcosa di non preventivato: le fan ci inseguirono fuori proprio come capitava ai Beatles o ai Pooh spingendoci a riparare in una specie di ripostiglio esterno dotato di porta robusta e di serratura. L’assedio durò una ventina di minuti poi tutto tacque. Per precauzione rimanemmo rinchiusi lì dentro per oltre un’ora mentre, a cadenze regolari, qualcuno veniva a rassicurarci. “Dai, cosa fate ancora lì? il gioco è finito, venite fuori e andiamo avanti con le nostre vite”. Infine uscimmo perchè effettivamente cominciavamo a sentirci ridicoli. Fu allora che ci acchiapparono e ci gonfiarono come zampogne, ci diedero una sfraganata di mazzate che metà sarebbe bastata per chiedere lo status di calamità naturale al governo, all’ONU, alla CIA e alla CEE, il tutto sempre gridando Dodiiiii!!! Robbbbyyyyyy! Reeeed! Stefanooooooo!
Alla fine la conta dei danni ci restituì una chitarra classica spaccata sulla schiena di qualcuno non bene identificato perchè in mezzo a tutte quelle botte vai tu a riconoscere una chitarra da un bastone o da un morso, e i miei vestiti a brandelli. A brandelli, capite? c’era la neve, faceva un freddo bestia e non avevo più né il maglione né la giacca a vento, inoltre i jeans erano ridotti esattamente come quelli dell’incredibile Hulk. Ma come diavolo avevano fatto a distruggermi i jeans a mani nude? Per tornare a casa bisognava andare a prendere un autobus ad alcuni chilometri di distanza e lì mi arrabbiai un po’, sfanculando parecchia gente, anche se tutto sommato, a parte tutta una serie di preoccupanti lividi, mi ero divertito. Ricordo ancora i sentieri scoscesi affrontati avvolto in una vecchia e bisunta coperta, per raggiungere la fermata e il lungo tragitto fino a casa, una volta arrivati a Torino, percorso tra gli sguardi compassionevoli della gente, che sembravo un barbone raccolto per strada e condotto verso il calduccio e un agognato ristoro da salvifici angeli benefattori.
Da ragazzino mi piacevano tutte le band italiane, quindi anche i Pooh, li ho seguiti nella loro crescita fino al bellissimo tentativo di unire musica progressiva ai cori e alla melodia italiana, tentativo che partendo da tutto il 33 giri Parsifal e passando dal singolo Se sai se puoi se vuoi,
pieno di cambi di tempo e di tonalità, trovò coronamento nel magnifico Un po’ del nostro tempo migliore, album capolavoro che tutti dovreste avere, cari i miei 7 lettori. Le vendite di quest’ultima opera però furono alquanto deludenti così il gruppo pensò di ritornare a una forma canzone più classica, pur se comunque caratterizzata dall’inconfondibile stile Pooh, scelta che non incontrò più il mio favore, anche se fece felici milioni di altre persone, toccandone il cuore sempre con una certa grazia e molto rispetto.
Da tempo considero i Pooh come dei vecchi amici persi di vista, di tanto in tanto mi giungono loro notizie, una canzone che mi tocca delle corde inattive, e così raccolgo qualche informazione, compro un disco, lo ascolto, saluto i quattro e metto via tutto.
Non vuol dire niente, non ci sono drammi, non c’è rammarico per quel che poteva essere e non è stato, io li ho sostituiti con musicisti che suonano cose più nel mio gusto e loro hanno sostituito me con infinite schiere di ammiratori e ammiratrici adoranti. Non ci ha perso nessuno anzi, se proprio debbo essere sincero io, con Tanta voglia di lei, ho guadagnato un ricordo impareggiabile e, man mano che gli anni si accumulano, sempre più spassoso. E non è poco.