La Serie dei Beatles – n° 10: A Hard Day’s Night
Riassunto delle puntate precedenti: la persona che scrive è miracolosamente ritornata indietro nel tempo, nel 1973 o forse 1974, e più precisamente al giorno in cui, pur conoscendo già tramite attente letture la storia di ogni canzone, ascoltò per la prima volta, interamente, l’album dei Beatles che dà il titolo a questo articolo. Ecco la fedele cronaca di quel che fece e pensò in quelle magiche e indimenticabili ore.
(Attenzione! Si tratta di un gioco, non di una cosa seria. Poichè la lingua italiana a volte risulta oscura e misteriosa e non sempre chi ce l’ha tra i piedi riesce a padroneggiarla come si deve e poichè non è detto che l’introduzione di cui sopra sia stata ben compresa dai più, è bene sottolineare che quel che segue non è una recensione e non necessariamente rispecchia le attuali idee di chi scrive, si tratta semplicemente del tentativo di ricordare che cosa l’autore pensò e provò, nella prima metà degli anni ’70, nell’ascoltare per la prima volta l’opera oggetto dell’articolo, un autore appena adolescente e non certo critico musicale. Non che adesso lo sia diventato, critico musicale. Puoi anche leggere una più ampia introduzione qui: www.stonehand.it/wordpress/la-serie-dei-beatles-n-0/ )
Il film l’ho visto al cinema parrocchiale due o tre anni dopo che era uscito al cinema e mi sono divertito come un pazzo, gli amici che erano con me invece lo avevano sdegnosamente considerato una roba per bambini senza tener conto del fatto che noi eravamo davvero bambini e facendo nascere in me considerazioni di vario tipo sulla sanità mentale che tutti ci protegge o ci abbandona senza fornire spiegazione alcuna e senza neppure salutare. Io credevo, allora come oggi, che A Hard Day’s Night fosse un capolavoro a prescindere da sciocchezze come la sceneggiatura, gli attori e la musica. Mi piacevano da matti le inquadrature, i grigi non soffocanti, la luce, e dopo, sì, mi piacevano gli attori, la sceneggiatura e la musica. E poi era divertente, quasi come quel film con Brigitte Bardot del quale non riesco a ricordare il titolo e che vidi sempre al cinema parrocchiale pagando la considerevole somma di 70 lire, che ci ammaliò tutti, maschi e femmine, gettando in un unico calderone risate e bellezza, avventura e simpatia.
Le prime sette tracce di questo disco facevano parte della colonna sonora del film, e un po’ le ricordo, mentre le altre sono per me completamente nuove. Lo sto ascoltando da Michele, con lui, sua sorella che ha solo dieci anni ma che lo supera, in maturità, di varie lunghezze e la madre, grande fan dei Fab Four che, in perfetto stile inglese, porta the e biscottini, si siede con noi e mi chiede se nel the ci voglio il latte. Signora cara, la vita è lunga e avrò tutto il tempo che serve per farmi del male in futuro! Limone, grazie.
LATO A
A Hard Day’s Night, Beatlemania allo stato puro, quella guidata, con polso di ferro, da un Lennon che voleva ferocemente diventare una star. I coretti sono devastanti, la musica incalzante. Mi sta venendo voglia di andarmi a comprare degli stivaletti col tacco cubano….
I Should Have Known Better, ancora di John, a me sembra un forte richiamo a Bob Dylan, e non solo per l’armonica. Certo, la voce è molto migliore di quella dell cantautore americano e la melodia più strutturata rispetto a quella che scriverebbe lui, ma c’è un’atmosfera generale chiarissima, un richiamo, anche se lontano, inconfondibile.
If I Fell è uno splendido armonizzare di voci tra John e Paul che probabilmente è stato fonte di ispirazione durante la composizione altri trentamila brani di artisti a volte ufficialmente grandi a volte ufficialmente improponibili. Inutile aggiungere altro, se non che l’autore è sicuramente John.
I’m Happy Just To Dance With You personalmente mi piace poco, è stata scritta da John per George ma credo che George sia sempre stato più a suo agio con pezzi propri. L’interpretazione, infatti, è piuttosto “monocorde” e tutto quanto diventa noioso quasi subito.
Con And I Love Her Paul, finora quasi in ombra, si riprende istantaneamente tutta la gloria della quale abbisogna. Il riff che accompagna la canzone è meraviglioso, così come è stupenda la melodia e l’arrangiamento delicatamente acustico. Capolavoro assoluto, ben oltre la [[Beatlemania]].
Se cercate una canzone che rappresenti perfettamente i primi Beatles allora Tell Me Why è quella che fa per voi: John guida da par suo uno scatenato coro che lo insegue forsennatamente per oltre due minuti. Il testo in sé è tuttaltro che divertente ma ascoltando Tell Me Why non si può evitare di saltellare qua e là ridacchiando da soli. Ve l’ho già detto, no? è la Beatlemania.
Se dovessi scegliere, tra i due brani di Paul presenti in questo lato A, quello che più mi piace direi subito And I Love Her, ma non sottovaluterei Can’t Buy Me Love, che ha dalla sua parte una struttura blues su un ritmo decisamente rock. Il tempo mi indirizzerà sulla giusta strada, per adesso che siamo nel 1973, forse ’74, me li godo entrambi.
LATO B
Any Time At All mi sembra proprio un riempitivo, firmato John, e questo a causa soprattutto dell’interpretazione, che mi pare davvero poco convinta anche se contiene molti standard vocali lennoniani. Bisogna dire che i riempitivi dei Beatles, in ogni caso, sarebbero considerati manna dal cielo dalla gran parte dei musicisti viventi, quindi…
I’ll Cry Instead non è molto quotata dai critici dei quali ho letto delle recensioni che la considerano un altro riempitivo di Lennon, a me invece piace, perchè è ben costruita e richiama, in qualche modo uno dei musicisti che John e io amiamo: Larry Williams..
Ma quanto è triste e bella Things We Said? ma quanto è bravo Paul quando ci si mette seriamente? Acoltando Things We Said Today la pelle d’oca è d’obbligo e anche una certa nostalgia, di qualunque cosa, di chiunque. Quando si parla di magia nella musica è questo che si intende, è di questa canzone che si sta parlando.
Con When I Get Home ritorniamo ai riempitivi di John Lennon anche se so di dire qualcosa che potrebbe non essere condivisa da nessuno. Il tentativo di arrivare a un risultato soul è evidente, naturalmente, come è evidente che il tentativo è purtroppo rimasto tale.
You Can’t Do That è ancora John che prova a migliorare When I Get Home, riuscendoci piuttosto bene al punto che se all’arrangiamento fosse stata aggiunta una sezione di fiati staremmo ora a parlare di un classico del Rythm’n’Blues, e scusate se è poco.
I’ll Be Back cerca di capitalizzare il riff di And I Love Her, sfoderandone uno simile ma molto più debole. Per il resto John crea una bella ballata densa di tristezza e cantata con quella voce unica al mondo capace di infondere dolore e insoddisfazione perfino nel rock’n’roll più scatenato.
Questo sarebbe quasi un disco solista di John Lennon se non fosse per i tre brani di Paul Mc Cartney. Tre brani, però, di livello altissimo e dal marchio inconfondibile che portano il 33 giri ben oltre la beatlemania della quale sono invece intrise tutte le composizioni di John, perfino le più scure. Tutto sommato un Long Playing veramente bello. Lo comprerò al più presto! E grazie per il the, signora mamma di Michele!