Centomila violoncelli
Ezzy Sheridan, il tenente Sheridan, era un personaggio televisivo che imperversò sugli italici schermi per tutti gli anni ’60, amatissimo dal pubblico al punto che facilmente si confondeva protagonista e interprete, l’ottimo Ubaldo Lay, al punto da generare quasi una Beatlemania tutta italiana con lo spigoloso attore/tenente in luogo dei fantastici quattro di Liverpool. Il nostro fittizio investigatore, appartenente alla polizia di San Francisco, indagava su complicatissimi casi criminali indossando sempre un impermeabile bianco e andando in giro a capo scoperto, che il cappellaccio alla Marlowe/Bogart era esclusivo appannaggio dei poliziotti newyorkesi (anche se Marlowe era di Los Angeles, quindi di che cosa stiamo parlando?), insomma gli sceneggiati del tenente Sheridan erano catalogabili, più o meno, in quel genere letterario/cinematografico che i veri esperti definiscono Hard Boiled e che quelli parecchio meno esperti, come voi ed me cari i miei 7 lettori, si limitano a chiamare “poliziesco bello tosto”. Però l’Italia degli anni ’60 era come un bambino (o un adulto appena risvegliatosi da un lungo coma) e possedeva ancora una morale in larga parte contadina con credenze e superstizioni connesse, di conseguenza si muoveva portandosi appresso un carro pieno di ingenuità delle quali si approfittavano i cementificatori, gli amministratori sleali e tutta quella umanità che, se ha smesso di educarci e ammonirci dal videoschermo, lo ha fatto esclusivamente per farsi rimpiazzare da figli e nipoti, figli e nipoti che ci educano e ammoniscono per gli stessi identici scopi che avevano i loro padri negli anni ’60. Per gli italiani intrisi di semplicità che guardavano la televisione in quel periodo di cosiddetto boom economico, questi thriller avevano un non so che di gotico, e parlo soprattutto di quello intitolato La Donna di Cuori, dove il nostro intrepido tenente viene coinvolto anche sentimentalmente in un caso parecchio intricato e avvincente, che non vi sto a raccontare soprattutto perchè non lo ricordo più. In questi sceneggiati RAI d’epoca c’era sempre una scelta molto intelligente della musica, in particolare per quel che riguardava quelle che allora si chiamavano sigle e che adesso vantano la più moderna definizione di Titoli di Testa e Titoli di Coda, un esempio eclatante fu Vincent, delicatissima composizione di Don McLean dedicata a Vincent van Gogh (e lo capite da soli che una canzone del genere non avrebbe avuto una sola possibilità in un paese come il nostro) che ottenne un successo straordinario perchè usata magistralmente nel famoso sceneggiato Lungo il fiume e sull’acqua.
La Donna di Cuori non faceva eccezione e usava due ottime sigle: Whisky, cantata da Sergio Leonardi in chiusura e Centomila Violoncelli affidata alla capace ugola di Italo Janne in apertura. Curiosamente però, secondo il mio modestissimo parere, i due brani avrebbero avuto tutta un altra efficacia se le loro posizioni fossero state invertite. Whisky, infatti sarebbe stata una ottima introduzione all’atmosfera hard boiled che lo spettatore si aspettava di incontrare nelle scene a venire poi, naturalmente, il retrogusto gotico si sarebbe lentamente fatto strada raggiungendo il suo inevitabile climax in Centomila Violoncelli che in qualche modo richiamava le migliaia di monaci buddisti che John lennon sognava per il suo Tomorrow Never Knows, che infilava il sospetto romantico/orrorifico direttamente sotto la pelle, con un arrangiamento drammatico e la voce carica di pianto di di Italo Janne, al di là dell’effettivo testo della canzone che, come sempre trattava d’amore. Se gli autori avessero scambiato le sigle il successo dello sceneggiato sarebbe stato addirittura epico, invece fu solo travolgente. Peccato.